Vivere in un clima di continua tensione non fa bene a nessuno, men che meno a un'istituzione delicata e fondamentale per la vita di ogni comunità come è la scuola. In quest'ottica, non si può non guardare con preoccupazione allo scontro che attorno ad essa si è svolto in Ticino, sul piano politico, nelle scorse settimane: uno scontro per molti versi "forte" fra l'autorità politica da un Iato e il corpo insegnante dall'altro, sfociato nel voto popolare dello scorso 16 maggio. Se pare ormai inutile discutere una volta ancora sui torti e le ragioni delle due parti in causa in questa specifica circostanza, non sembra in ogni caso fuori luogo esprimere un auspicio che assume anche le vesti dell'invito pressante: quello cioè che tutti i diretti interessati sappiano presto mettersi attorno a un tavolo per discutere seriamente ciò che va inevitabilmente discusso con onestà intellettuale e spirito di servizio: la possibilità di intelligenti risparmi (uno "spazio di manovra" che pure deve esistere) e nel contempo il fermo mantenimento della la qualità dell'offerta formativa sinora garantita ai ragazzi.
Non c'è da credere che si tratta di un'insanabile dicotomia. Piuttosto si tratta di dar corso a una rifIessione seria sugli obiettivi che si intende tutti assieme perseguire nell'interesse generale e nel solco della nostra tradizione storica (per altro riaffermata con vigore dai cittadini il 18 febbraio del 2001 e non certo sconfessata dai discorsi che hanno accompagnato i festeggiamenti per il bicentenario del Cantone).
Va detto tuttavia che i tempi non sonO propizi dal punto di vista "ideologico", sull'onda di un neoliberismo invadente che ancora non ha smesso di far sentire ben forte la sua voce globalizzante e che inevitabilmente si applica anche alla scuola. Basti pensare a quel che avviene ai "piani alti" del sistema, nelle università, dove ormai sta dilagando il cosiddetto "sistema bolognese" che altro non è che un'americanizzazione dell'organizzazione degli studi accademici: corsi di diploma sempre più brevi, bassamente utilitaristici, accompagnati da un'indecifrabile nebulosa di "master" che ben pochi di fatto seguiranno, convinti che una laurea, pur dimezzata, è pur sempre una laurea che può bastare e persino avanzare. Con buona pace, va da sé, della serietà della preparazione dei professionisti di domani (magari a cominciare da quelli che aspirano a sedersi proprio dietro le nostre cattedre).
E se questo è l'indirizzo che si ama vantare come ottimo nel terzo piano dell'edificio, cosa accadrà nel secondo, quello dove stanno i licei, cosa accadrà - per logica conseguenza - nel primo? Qualcosa di sicuro capiterà a mo' di cascata, e i segnali in questa direzione non mancano, se non ancora in Ticino almeno nel resto della Confederazione. Cosa dire altrimenti dell'idea grigionese di introdurre il numero chiuso per limitare l'accesso dei giovani alle scuole medie superiori? Che si tratta di un'indegna proposta risparmistica? Certo, ma intanto è quella la strada che si intende battere, con buona pace dei molti principi d'ogni antica conquista sociale.
E cosa dire altrimenti del "progetto pilota" che il Canton Zurigo varerà a partire dal prossimo anno in un liceo di Wetzikon, dove in alcune classi gli allievi dovranno fare a meno dei docenti in alcuni ambiti principali (tedesco, inglese, matematica ecc.)? Ogni settimana quei ragazzi siederanno in classe un'ora soltanto per materia, il restò del tempo lo trascorreranno dove parrà loro bene a svolgere i compiti e a interloquire con i professori tramite internet. Scopo dello splendido esercizio che si ha la sfrontatezza di definire "pedagogico"? Risparmiare, per la sede prescelta dall'esperimento, circa 180 mila franchi annui sulla massa salariale dei docenti. Complimenti! E tanti complimenti ovviamente ai pesci che accetteranno di abboccare a quell'amo scintillante: siccome non c'è limite alla dabbenaggine, non mancheranno.
L'elenco degli esempi di questo genere, indici di tendenze per molti versi perverse nel loro "minimalismo", potrebbe proseguire anche senza voler uscire dai confini nazionali e cercare altrove, purtroppo, altre inesauribili miniere (per noi ticinesi emblematico è quel che sta capitando nelle aule italiane delle tre "i" berlusconiane e morattiane).
Il senso di responsabilità, il ricordo dei moniti fransciniani, basteranno ad allontanare dalla scuola ticinese la (facile) tentazione di simili "derive"? C'è da sperarlo, come c'è da sperare che lo spirito che si era manifestato il 18 febbraio di tre anni fa, uscito un po' appannato dallo scontro ancora "caldo" del 16 maggio, non vada perso per strada nella sostanza della sua essenza corale. Ad andarci di mezzo non sarebbe questo o quel politico, questo o quel sindacalista, questo o quel funzionario, questo o quell'insegnante. A perderci sarebbe l'intero sistema nella sua complessità e nella sua odierna alta valenza morale e civile.Chi può permettersi di gettarlo a mare senza ricavarne poi, oltre al danno certo e immediato, anche l'inevitabile e proverbiale beffa?