Da quasi trent’anni insegnante alla scuola media pubblica, ritengo, al pari della maggior parte dei miei colleghi, di svolgere con professionalità – e a volte ancora con passione – un compito tutto sommato di grande responsabilità. Credo altresì nelle capacità cognitive e nella sensibilità dei ragazzi d’oggi, quindi non “ educo salami”, tanto per recuperare l’ironico anagramma di “ scuola media” di Ersilia Zamponi, bensì giovani dotati di spirito critico pronti a sfruttare le opportunità grazie alle competenze acquisite.
Le gratificazioni e gli attestati di stima non mancano e non sono certamente mancati.
Ora però scopro, grazie alla polemica sulle finanze cantonali, di dovermi caricare di sensi di colpa per non aver lavorato abbastanza. Infatti la decisione politica di aumentare di un’oralezione l’impegno settimanale dell’insegnante della scuola media pubblica risulterebbe un’imposizione definitiva, quindi non un semplice contributo per un momento temporaneo di difficoltà per le casse dello Stato, peraltro causate anche da discutibilissime scelte di politica economica. Secondo logica, in caso di crisi, i sacrifici li dovrebbero veramente fare tutti, per un lasso di tempo limitato come capitò in passato, finché l’emergenza rientra. Ma non mi risulta che sia così.
Scrive l’avv. Gendotti, ministro dell’educazione, su “ Opinione liberale”: “ Mi chiedo come giustificheranno ( i sindacati) ai loro affiliati la solidarietà fra l’addetto alla pavimentazione che lavora 42 ore alla settimana per 48 settimane sotto il sole d’agosto e al freddo dell’inverno e chi si butta sui binari perché in un momento particolarmente difficile deve purtroppo accettare un aumento a 24 ( 25) ore del carico di lavoro settimanale per 36,5 settimane all’anno”. Astraendo dal linguaggio figurato di dubbio gusto, appare chiaro da questa affermazione che “ in un momento particolarmente difficile” si prenda una decisione politica definitiva e scorretta con probabili conseguenze negative sulla scuola, sui giovani insegnanti e sulla società di domani. Inoltre, limitandosi a sostenere che l’insegnante del settore medio lavora 23 ( 24) ore per 36,5 settimane, Gendotti fa della demagogia oppure dà l’impressione di non conoscere molto bene la realtà scolastica. Possibile che il ministro dell’educazione non sappia che l’impegno del docente non si riduce alle sole lezioni? Mi potrei dilungare in spiegazioni sull’attività dell’insegnante ( lo hanno già fatto in molti) e sull’esclusione della mia categoria dalla vita politica di un paese a lungo “ dominato” dagli avvocati, ma sono fatti oramai arcinoti.
Si sa che talvolta la politica è fatta di mezze verità, di omissioni, di bugie e di smentite: lo dimostrano ampiamente le questioni di politica internazionale (vedi amministrazione Bush), ma anche quelle di politica economica cantonale, come ad esempio gli sgravi fiscali, a proposito dei quali “ non si è detto quali potevano essere le conseguenze”( Argante Righetti).
Auspico, per concludere, che i cittadini ticinesi, il 16 di maggio, sappiano dire di no prendendo le distanze da chi grida: “ Al fuoco, al fuoco!” dopo aver contribuito ad appiccare l’incendio e non cedano di fronte ai goffi ricatti di chi sventaglia lo spettro dell’aumento delle tasse qualora le cosiddette misure di risparmio dovessero essere bocciate.
Una “ lezione spagnola” insomma, che costringa perlomeno all’elaborazione di proposte più eque e ragionevoli.