Aumentano nel Paese i sintomi di un desiderio diffuso di cambiamento nella organizzazione dell'insegnamento della religione nelle nostre scuole.
La necessità di andare oltre a quello che appare sempre di più come un compromesso che ha fatto il suo tempo la si legge ora anche sui giornali tendenzialmente sonnecchianti e autoreferenziali e non è più un tabù parlare chiaramente di incongruenza quando si accenna al modo con cui i nostri giovani a scuola vengono a contatto con la problematica religiosa.
Appare ormai anacronistico che alla tavola delle molteplici confessioni e delle varie visioni religiose e non religiose della vita venga presentato all'allievo soltanto il piatto della religione cattolica, con possibilità di astenersi.
Niente conoscenze di altre religioni (non quella di Mehmet, il compagno di banco di Antonio per esempio, o, mettendoci nei panni di Mehmet, non quella di Antonio compagno di banco di Mehmet), niente presa di conoscenza dell'esistenza di visioni serenamente atee e di almeno pari dignità ed importanza di qualsiasi altra visione postulante un creatore e contabile supremo, niente sana e vivace discussione in classe tra allievi di credo diversi, niente perciò nobile ed imprescindibile esercizio dell'arte della tolleranza.
Finita la scuola, dissipato il tempo delle opportunità, ognuno continuerà il viaggio sul suo proprio binario, lo sguardo fisso sulle traversine.
Certo, cambiare su questo punto la legge della scuola vuol dire incidere anche nella carne e nella sensibilità di chi nel cambiamento teme perdita di potere, di visibilità, di (ahhi!!!) franchi in busta paga: è inevitabile ma anche trascurabile.
I tempi sono ormai maturi e la Politica, per paura della politica, non potrà più far finta di niente per molto tempo ancora.