Carol Dweck è una famosa professoressa e ricercatrice americana che ha dedicato buona parte della propria esistenza allo studio della motivazione e della personalità negli individui, con particolare attenzione all’ambito scolastico: fra i temi da lei indagati emerge, per la sua rilevanza, il concetto di impotenza appresa. In sintesi, dalle ricerche da lei condotte, risulta che un certo numero di persone, quando confrontate con ripetuti insuccessi, sviluppano una sensazione di impotenza che li conduce poi nel tempo alla desistenza. Ad esempio, nelle nostre aule scolastiche, a chi non è mai capitato di sentire l’affermazione “io non sono portata/o per…”, in riferimento a determinate discipline di insegnamento? Nei fatti, i soggetti che esprimono questa convinzione concepiscono le proprie capacità di apprendimento come qualcosa di “fisso” (detto in altri termini: “la dote”) e inadeguato. Si tratta di una credenza priva di fondamento, in quanto le capacità di apprendimento, pur variando fra un individuo e l’altro, non possono essere considerate come un’entità immutabile e definita a priori: tale atteggiamento può però essere efficacemente contrastato dal fatto di vivere delle situazioni di riuscita, come dimostrano varie esperienze.
La differenziazione pedagogica
La differenziazione pedagogica è in grado di contrastare il fenomeno dell’impotenza appresa, che conduce tanti alunni ad una progressiva disaffezione verso quanto propone la scuola. Infatti, utilizzando un approccio didattico di questo tipo, l’insegnante propone delle attività che tengono conto delle caratteristiche, degli stili e dei ritmi di apprendimento dei vari allievi. Chiaramente, proprio per le sue caratteristiche, un insegnamento differenziato dovrebbe prescindere dall’uso preponderante di lezioni frontali, centrando invece il processo di insegnamento-apprendimento maggiormente sull’allievo. Tale spostamento di centro di gravità è postulato, tra le altre cose, a partire dalla considerazione che l’apprendimento non è tanto il frutto di una trasmissione e riproduzione di saperi, quanto piuttosto di un’assimilazione di informazioni da parte del soggetto ai propri quadri mentali pre-esistenti, oppure di una riorganizzazione di questi ultimi. È inoltre importante tener presente che il tema della differenziazione pedagogica non è fondato solo su teorie, ma anche e soprattutto su evidenze provenienti da realizzazioni coronate dal successo in vari contesti educativi a livello internazionale.Franco Lepori aveva visto giusto
Nel progetto di riforma scolastica “La scuola che verrà”, la differenziazione pedagogica gioca un ruolo di rilievo. Un altro degli obiettivi di tale riforma è quello di realizzare una vera scuola media unica. In effetti, vale la pena riflettere su quale debba essere il ruolo della scuola dell’obbligo: quello di “scremare” gli allievi, oppure quello di fornire ad ognuno di essi una valida formazione di base e un orientamento corrispondente alle proprie inclinazioni e capacità? Vale la pena ricordare che il primo progetto istitutivo della scuola media proposto da Franco Lepori già proponeva una soluzione unitaria, sulla base di considerazioni pedagogiche. Tuttavia, il corso degli eventi prese un’altra strada, e la questione assunse ben presto una valenza politica, con la sinistra orientata verso l’unicità, e lo schieramento dei partiti borghesi che, più prudentemente, optò per una soluzione di compromesso, che superasse il dualismo ginnasio - scuola maggiore, pur mantenendone in qualche modo alcuni aspetti. Il risultato fu che le sezioni B, poi trasformate in livelli per alcune materie, non funzionarono mai bene, e anche l’attuale sistema con corsi base e attitudinali solo in matematica e tedesco, pur costituendo un miglioramento, non risolve alcuni nodi fondamentali. Infatti, fra chi frequenta i corsi per così dire “di seconda scelta” il numero di coloro che sviluppano un’impotenza appresa è sicuramente consistente, e il risultato è spesso una disaffezione verso la scuola che si manifesta sotto forma di indisciplina, comportamenti trasgressivi, apatia ecc. D’altro canto, la ricerca mostra come questa organizzazione del curricolo, nota come tracking, non produca praticamente mai esiti positivi. In fin dei conti, Lepori aveva visto giusto.E il futuro?
Rivolgiamo ora il nostro sguardo verso il futuro. Dalle esperienze di riforma scolastica realizzate in più contesti, risulta come gli approcci top-down – ossia dall’alto al basso, nei quali si realizzano per così dire dei “pacchetti” preconfezionati – tendono nella gran parte dei casi a non funzionare. Infatti, la scuola intesa come sistema, e ancor più l’istituto scolastico, è un organismo allo stesso tempo vivente e culturale, che dispone di meccanismi di autoregolazione, e che tende a riprodursi, replicando nel tempo i propri processi, oppure ad adattarli ad influenze che giungono dall’esterno, mantenendone tuttavia le caratteristiche di fondo. Per far sì che tale organismo sviluppi dei cambiamenti realmente significativi e profondi, è necessario che lo faccia nel contesto di una dinamica che includa sia stimoli provenienti dall’esterno, sia motivazioni, bisogni e convinzioni presenti al proprio interno, sia influssi “laterali”, come ad esempio il networking tra istituti. Proprio per questo motivo, a mio giudizio, l’attuale proposta della riforma “La scuola che verrà” non è definita fin nei dettagli: una messa a fuoco più precisa può avvenire solo nel contesto di una futura sperimentazione – peraltro già prevista – nella quale gli istituti scolastici non possono certo essere considerati alla stregua di soggetti da laboratorio, ma avranno invece l’opportunità di prendere parte attivamente alla costruzione dell’esperienza. Recentemente, Franco Zambelloni ha comparato l’azione di chi vuole cambiare la scuola dell’obbligo del nostro Cantone con quella di chi comprava schiavi per poi liberarli: buone intenzioni, ma esito disastroso, in quanto l’effetto fu quello di aumentare lo schiavismo. In realtà, la similitudine è solo apparente, dal momento che la riforma proposta si fonda non solo su principi etici, ma anche su concrete evidenze, tanto pratiche che teoriche. Gli europei e americani che liberarono gli schiavi erano invece mossi, come dice l’autore, dalla pura e semplice carità cristiana. Mi sembra che Zambelloni veda gli alberi, ma non la foresta: nei fatti, quello che conta è che, malgrado errori e correzioni di rotta (come spesso, se non addirittura sempre, avviene nel progresso umano) lo schiavismo sia poi stato abolito. Nessuno si illude che il cammino proposto sia facile. Tuttavia, vorrei ricordare che la legge della scuola afferma che quest’ultima “si propone di correggere gli scompensi socio-culturali e di ridurre gli ostacoli che pregiudicano la formazione degli allievi”. A mio giudizio, quanto viene oggi proposto con la riforma “La scuola che verrà” tenta di andare proprio in questa direzione. Gli obiettivi sono quelli di mantenere l’equità del sistema migliorandone allo stesso tempo i risultati a più livelli. La differenziazione pedagogica è un elemento importante nel raggiungimento di tale risultato. E, d’altra parte, è utile ricordare come, in un mondo globale sempre più competitivo e caratterizzato dall’espansione dell’intelligenza artificiale, il nostro cantone abbia bisogno delle teste dei nostri giovani. Di tutte le loro teste.