ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Scuola e visioni dello Stato


Diciamo pane al pane e vino al vino: se in Ticino nell'ultimo decennio si è creato un «asse politico» trasversale che ha superato in termini pragmatici le divisioni storiche fra i partiti maggioritari nel Paese, questo è stato determinato da una visione culturale riduttiva del ruolo e della funzione dello Stato. Non c'è dubbio infatti che liberisti laici da un lato e determinati ambienti di matrice cattolica dall'altro hanno stretto di fatto un'alleanza forte, d'opportunità. Un'alleanza «spregiudicata» perché diverse sono in realtà le finalità ideali delle componenti di quest'«intesa»
Il cemento che li unisce è uno soltanto: appunto il fastidio con il quale guardano al complesso sistema che ha sin qui retto la vita e i principi della nostra comunità, che a loro giudizio è da riformare nel segno dell'acquisizione di una maggiore libertà individuale, di più elastici «spazi di manovra» operativi.
Specchio emblematico di quanto detto è il fronte maturato attorno alla questione del finanziamento pubblico delle scuole private. A sostegno del progetto, da un lato c'è la parte liberista del PLR (pur con qualche prudenza nella fattispecie, come ne è testimonianza l'idea della ricerca di un compromesso lanciata da Marina Masoni e poi diventata controprogetto parlamentare all'iniziativa); dall'altro c'è la Lega che notoriamente («et pour cause») aborre qualsiasi ingerenza del «pubblico» nel suo rozzo «privato»; e dall'altra ancora ci sono quei cattolici che negli ultimi anni hanno creato con zelante impegno nuove scuole private per i propri rampolli. Questi appartengono pressoché tutti a Comunione e Liberazione (movimento che è alla vera origine dell'iniziativa messa in votazione il prossimo 18 febbraio), che è sì un'associazione con finalità religioso-spirituali, ma che da tempo ha abbinato tale lodevole vocazione con l'attività di un «braccio secolare» assai organizzato che tende ad occupare, giocando a tutto campo (sull'unico modello di riferimento possibile a livello internazionale, cioè quello italiano della «Compagnia delle Opere»), nel solco di una netta visione integralista della società, il maggior numero possibile di spazi.
La ragione del fastidio di costoro nei confronti dello Stato è naturalmente diversa rispetto a quella dei liberisti laici: per quest'ultimi è riconducibile alla percezione di un'invadenza sostanziale in quelli che sono (o potrebbero essere) i propri «comodi»; per gli altri al persistere di un nodo conflittuale di natura storica fra liberalismo e clericalismo, quasi che il «lutto» patito per le «offese» subite dal Papa Re Pio IX non fosse ancora stato da loro elaborato. Ne fa fede, ad esempio, l'insistenza con la quale questi contrappongono, in via del tutto strumentale, lo Stato alla cosiddetta «società civile» (magari «movimentista»), come se le due realtà fossero per forza di cose in perenne antagonismo, l'una ovviamente «buona», l'altro «cattivo».
Dire e scrivere, come pure si continua a fare, che la questione del finanziamento pubblico delle scuole private racchiude in sé la contrapposizione fra modernità e passatismo, voglia di cambiamento e conservatorismo, intendendo che nell'ambito dei primi termini stanno i fautori dell'iniziativa e in quello dei secondi i contrari, sta quindi a indicare una visione fuorviante del nocciolo del problema: un atteggiamento che a livello intellettuale appare persino disonesto nella forma e nella sostanza.
Qui non si tratta, infatti, di chiarire chi «sta avanti» e chi «indietro», chi è progressista o passatista, chi è cattolico e chi non lo è: qui si tratta soltanto di saper dire in quale modello di Stato ci si riconosce. Quello, perfettibile e da perfezionare, che è stato fin qui faticosamente costruito e del quale è parte fondante la scuola pubblica, o quello sempre più «privatizzato», indebolito a vantaggio degli specifici interessi di singole persone o di singole associazioni.

 

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