ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Voglio anch'io. No, tu no!


Quando avremo finanziato le scuole private di Cl e affini (se il 18 febbraio passano l'iniziativa o il controprogetto, che sono poi la stessa cosa), ci toccherà pagare anche per quelle di Scientology? La domanda ce l'eravamo già posta quattro anni fa (cf. 'laRegione Ticino' del 23 aprile 1997) dopo che il Foglio ufficiale aveva riportato l'intenzione di un'associazione che si richiama a L. Ron Hubbart di voler aprire una sua scuola a Giubiasco "con contributi del governo". Dovesse passare la presente votazione (non importa se l'iniziativa o il controprogetto), perché non dovrebbero farsi avanti, con Scientology, tutte le sette o religioni o movimenti che volessero catechizzare in tutta discrezione i propri simpatizzanti approfittando dell'aiuto finanziario dell'ente pubblico? Anche loro, come tutti i cittadini cattolici, protestanti, ebrei, musulmani godono delle libertà generali e dunque, come argomentano i sostenitori del 18 febbraio, dovrebbero essere aiutati finanziariamente per "poter esercitare concretamente la libertà di scegliere il progetto educativo per i propri figli". Avremo così domani scuole islamiche, evangeliche, ebree, di meditazione orientale e quant'altro, scuole che i singoli ticinesi con le loro imposte dovranno finanziare perché non si potrà legalmente dire di no dopo aver aperto alle scuole cattoliche?

Certo, tali iniziative dovranno essere riconosciute dal cantone e per questo dovranno rispondere a una serie di requisiti. Ma si tratta di condizioni tecniche e burocratiche per lo più ovvie o comunque di scarsa o di incerta portata, come ha ben dimostrato Silvano Gilardoni venerdì su queste stesse colonne.

Quanto alle ideologie veicolate (è per questo che si fanno le scuole private, o no?) quali norme potranno mai controllarle? E d'altra parte perché "controllarle"? Limitarle non si deve, è ben giusto che possano esprimersi, entro i limiti costituzionali, in omaggio alle libertà fondamentali tanto invocate. Solo che non tocca alla comunità finanziarle. È questo, in sostanza, che sostengono gli oppositori all'iniziativa e al controprogetto.

C'è, è vero, una condizione-chiave per il riconoscimento (e ovviamente il finanziamento) delle scuole private. È che siano "aperte, entro i limiti della capacità di accoglienza, a tutti gli allievi". È sicuramente una buona norma e sembra un ostacolo insormontabile per evitare le scuole chiuse su una dottrina e una prassi educativa esclusive (come potrebbero essere, per fare un esempio, le scuole coraniche). Ma è proprio così che funziona? Le scuole private attuali accolgono proprio tutti coloro che chiedono di essere ammessi? Si conoscono casi in cui dei richiedenti sono stati rifiutati (e altri potrebbero venire alle luce, denunciati dagli interessati), ma don Mino Grampa, rettore del Collegio Papio, ha addirittura rivendicato il diritto di escludere, anche nel periodo della scolarità obbligatoria, gli allievi troppo deboli intellettualmente o scolasticamente, come ha documentato mercoledì sul nostro giornale il professor Giancarlo Reggi del liceo di Lugano.

Ovviamente la scuola privata, ogni scuola privata, tende ad avere una popolazione scolastica omogenea e intellettualmente soddisfacente per poter conseguire e vantare risultati di alto livello: risultati che poi servono per "vendere" il proprio prodotto educativo ai potenziali clienti. È normale ed è anche giusto che sia così, ma tocca proprio alla collettività finanziare tali operazioni di tipo tutto sommato commerciale?

La collettività è proprietaria della scuola pubblica, le ha affidato i compiti educativi nella loro totalità con l'obbligo di farvi fronte anche nelle peggiori difficoltà. È saggio ridurre il sostegno a questa scuola pubblica per invece allargare i cordoni della borsa con altre esperienze private? E non si dica che sono quisquilie, 5 o 10 milioni su 700, meno dell'uno per cento! È in gioco un principio, ed è in gioco anche una prudente valutazione di quanto potrebbe succedere domani: l'uno per cento moltiplicato per chissà quante volte e soprattutto la porta aperta a una evoluzione che ridurrà (lo si è visto e lo si vede altrove) la scuola pubblica a parente povero dell'intero sistema educativo, a servizio chiamato (e obbligato) a raccogliere i più deboli, i rifiutati, coloro che hanno e costituiscono dei problemi. Insomma un'educazione a due velocità, a spese però dello Stato.

Si può scegliere di modificare le cose in questo senso, purché lo decida il popolo sovrano in piena conoscenza di causa. È possibile puntare sull'istruzione privata abbandonando il servizio pubblico al suo destino. Ma è proprio ciò che si vuole? Il 18 febbraio verrà fatto il primo passo per sapere se il popolo ticinese vuole andare, lentamente ma inesorabilmente, in questa direzione.

 

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