Alla recente seduta del Comitato cantonale del Partito liberale radicale ticinese la consigliera di Stato Marina Masoni ha avanzato una via mediana tra i fautori dell’iniziativa popolare che propone un sussidio cantonale a favore delle famiglie con figli che frequentano scuole private riconosciute e coloro che vi si oppongono. Sul ‘Corriere del Ticino’ di mercoledì 13 settembre scorso l’onorevole Masoni ha esposto le ragioni che stanno alla base della sua proposta in un articolo intitolato: “Scuola: per una scelta di libertà”.
In sostanza l’autrice argomenta che:
il dibattito sull’iniziativa per la libera scelta della scuola non dovrebbe limitarsi alla semplice contabilità ma dovrebbe cercare “di uscire dagli schemi o dai dogmi che purtroppo in Ticino lo hanno sempre condizionato e stravolto”;
ci sarebbe un paradosso – nel dibattito sui rapporti tra scuola pubblica e privata – “che dovrebbe far riflettere soprattutto chi sostiene i principi della società aperta e dello Stato liberal-democratico”. Da questo profilo Marina Masoni ricorda che la libertà di scelta della scuola è un postulato autenticamente liberale per il quale si sono battuti grandi pensatori del pensiero liberale;
“il no dei partiti liberali alla libera scelta della scuola ha motivazioni storiche note: l’affrancamento dell’istruzione dal controllo della Chiesa”. Per Marina Masoni detti principi non sarebbero più attuali e giustificati nel 2000.
Dopo aver considerato che le scuole private diventano discriminanti e selettive sul piano sociale quando costano molto al cospetto di una scuola pubblica gratuita e che “le nostre scuole private non sono quindi scuole per ricchi” l’articolista conclude che una via mediana potrebbe essere trovata “limitando il bonus alle sole scuole dell’obbligo”.
Con ciò il costo annuo per il cantone Ticino sarebbe inferiore ai 5 milioni di franchi.
Dissentendo da questa impostazione ho intanto apprezzato il chiaro indirizzo emerso dall’intervento di Gabriele Gendotti, neo direttore del Dipartimento istruzione e cultura, alla sua accennata riunione del Comitato cantonale del Plrt.
Contrariamente a Marina Masoni non mi pare che il nocciolo del dibattito consista nell’essere capaci o meno di “superare il logoro schema che divide fronte Laico e fronte Privatista”.
Lasciar credere che negare il bonus scolastico significhi impedire una scelta di libertà vuol dire attuare una finzione. Infatti il problema vero è quello di sapere se s’intende riconoscere o meno il ruolo effettivo della scuola pubblica in una realtà socio-politica come la nostra.
Da Stefano Franscini ai giorni nostri il liberalismo ticinese e gli spiriti più aperti di altre aree politiche si sono battuti affinché lo Stato mettesse in atto ogni sforzo per garantire un’istruzione diffusa e ideologicamente laica. È ben vero che storicamente e in origine l’obiettivo di fondo era l’affrancamento dell’istruzione dal controllo della Chiesa. Il fatto però che queste premesse oggi non esistano più – giacché anche in questo contesto v’è pure stata l’evoluzione del pensiero e dei costumi – non è evidentemente sufficiente per ridurre semplicisticamente il discorso della libera scelta della scuola a una decisione eminentemente pratica e/o finanziaria.
Se così fosse, ridurremmo la politica a scelte di mera opportunità, perfettamente in linea con il materialismo e l’egoismo oggi imperanti!
Del resto è noto a tutti che la libertà di fondare e gestire scuole private è formalmente riconosciuta dallo Stato. È questo il risultato di un’evoluzione del livello socio-culturale di un intero paese e soprattutto è sintomo di un pensiero liberale aperto, tollerante ed evolutivo. Da questo punto di vista ogni cittadino è pertanto completamente libero di rinunciare all’educazione pubblica a favore di una scuola privata, sia essa d’impronta religiosa o di altra indole. È evidente che ciò non può far nascere contemporaneamente il diritto al sostegno finanziario da parte dell’ente pubblico.
Per chi conosca da vicino la politica comunale di questi tempi è facile rilevare che già oggi viviamo con realtà incredibili e stucchevoli. Non è infatti raro il caso di persone che – afflitte dai debiti, molto spesso contratti con disinvoltura – non trovano di meglio che chiedere il condono fiscale. Il che è di per sé legittimo e comprensibile nei limiti in cui la legge lo consente e pur dato atto che la crisi economica degli anni ’90 ha condotto intere famiglie in una situazione di disagio economico effettivo.
Non è tuttavia ammissibile che, al momento di esaminare i cespiti d’entrata e le spese ricorrenti dei richiedenti, si debbano scorgere poste rilevanti per il pagamento delle rette presso le scuole private! Si tratta di comportamenti chiaramente poco o punto rispettosi dell’ordinamento statuale e dell’interesse pubblico generale.
È ovvio che quella tendenza potrebbe tranquillamente generalizzarsi nel caso in cui l’iniziativa popolare fosse per avventura accolta. Ma ciò che più deve far riflettere è che il primato della scuola pubblica è per giunta confortato da una qualità e da una serietà che non sono minimamente poste in discussione.
Per il che non v’è nessuna ragione plausibile a favore della scuola privata in alternativa a quella pubblica. Capita anzi spesso di sentire che le scelte avvengono con motivazioni futili o di comodo e non per una valutazione effettiva dei contenuti pedagogici. Ci mancherebbe altro che l’ente pubblico debba assecondare anche quei capricci!
In conclusione l’iniziativa – già di per sé fuorviante nel titolo – ha da essere bocciata dal Gran Consiglio ticinese e semmai in seguito dal popolo poiché il problema non si pone in termine di concorrenza della scuola privata nei confronti di quella pubblica ma per il fatto che le scelte liberali e avveniristiche dell’Ottocento hanno da essere confermate senza paura di essere tacciati di dogmatismo.
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