ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Segnali di cambiamento



All’orizzonte della scuola e della politica scolastica ticinese si notano segnali incoraggianti. Prima di entrare nel merito di tali indizi, giova uno sguardo al passato, giusti?cato dal fatto che quest’anno ricorre un anniversario importante: la 1° legge sulla formazione professionale festeggia i 100 anni. Evento interessante e signi?cativo per diverse ragioni. Quella legge vide repentinamente la luce dopo la ripetuta disfatta del progetto che, a giusto titolo, può essere considerato il tentativo più ampio e coraggioso che la nostra politica formativa abbia mai intrapreso per riformare la scuola in modo organico e innovativo. Promosso dall’allora consigliere di Stato Evaristo Garbani-Nerini, il disegno di legge, comprendente tutti i settori della scuola, quindi anche la formazione professionale, approdò per la prima volta in votazione popolare nel 1908. Ma le contese ideologiche relative all’insegnamento religioso e alla vigilanza dello Stato sulle scuole private ne segnarono la triste sorte. Se Garbani-Nerini non si era dato per vinto e aveva rilanciato, il popolo ticinese fu inamovibile e nel 1911 sentenziò il tracollo della politica formativa d’inizio secolo, con conseguenze la cui portata dovrebbe interessare gli storici intenzionati a capire i molti risvolti della cronica arretratezza del nostro Cantone. Garbani-Nerini diede le dimissioni e la disfatta spinse alla deriva la scuola nel suo insieme. Complici ovviamente eventi di grande portata come le guerre mondiali e la crisi economica, la scuola si trascinò stancamente per mezzo secolo, ?no al 1958 quando vide la luce una nuova legge scolastica. In quel clima difficile, la formazione professionale salvò il salvabile. Non essendo stati oggetto di dispute particolari, i relativi capitoli del progetto Garbani-Nerini vennero frettolosamente trasformati in due leggi autonome, varate dal Gran Consiglio già nel 1912. Ciò ebbe in effetti una certa utilità per la formazione professionale, fondata da quel momento su basi legali assai ampie, ma, nel contempo, fu anche una sorta di peccato originale, perché contribuì ad isolare il settore professionale dal resto della scuola: uno stigma che ne ha condizionato le sorti ?no ad oggi.

Che insegnamento possiamo ricavare da queste vicende storiche? Essenziale ci pare l’opportunità di attingere a quel grande tentativo di riforma per promuovere di nuovo una visione d’assieme della scuola. Serve in particolar modo una valorizzazione di tutto il settore della formazione professionale che, per il futuro vicino e lontano, può rivelarsi determinante ai ?ni dell’evoluzione della società ticinese. Proprio in questa direzione vanno i segnali a cui abbiamo fatto riferimento. Il primo, particolarmente importante, è venuto dal consigliere di Stato Manuele Bertoli. Quanto il capo del Decs ha affermato al telegiornale principale di lunedì 3 settembre, in occasione dell’apertura delle scuole, può essere sembrato a molti di importanza marginale. In verità, ha tutti i crismi per dare luogo ad un vero cambiamento di paradigma nella politica scolastica ticinese. Testualmente, il consigliere ha affermato che la tradizionale tendenza dei ticinesi ad imboccare la strada del liceo, a scapito della formazione professionale, ha da essere retti?cata. Più precisamente: « L’idea che la via della formazione professionale sia una via di serie B è sbagliata e va corretta, anzitutto nella pancia delle famiglie ». In questo modo, Bertoli ha evidenziato come si abbia a che fare con un problema culturale e con una mentalità, assai tipica in Ticino, che privilegia la prestigiosa strada della formazione accademica, negando nel contempo dignità alle professioni artigianali e industriali. Al contrario, proprio la realtà elvetica mostra che la via della formazione professionale non solo è altrettanto dignitosa, ma anche foriera di successi invidiabili dai punti di vista sia economico sia del riconoscimento sociale. « Far scendere un po’ il tasso di licealità » in Ticino, come ha richiesto Bertoli, un tasso che, va ricordato, è il più alto a livello nazionale, non signi?ca certo manifestare ostilità nei confronti del liceo o, peggio ancora, osteggiare la vocazione democratica della scuola ticinese. Al contrario, corrisponde ad una indispensabile presa di coscienza del fatto che socialmente e culturalmente un certo laissez faire nelle scelta dei percorsi formativi alimenta illusioni, carica la scuola di oneri e pressioni insostenibili e, non da ultimo, origina costi sociali e anche ?nanziari nocivi e improduttivi. Un plauso quindi al consigliere di Stato che ha saputo prendere posizione contro una sorta di tabu culturale e politico tipicamente ticinese. Forse ciò può essere all’origine di una nuova prospettiva di politica formativa, volta sia a considerare l’insieme delle componenti della scuola in una visione organica ed equilibrata, sia a valorizzare sul piano politico e culturale il settore professionale, ?nora colpevolmente trascurato nella storia del nostro Cantone. Importante è comunque che il messaggio del consigliere di Stato non cada nel vuoto, ma che sia l’inizio di un confronto sui problemi essenziali della scuola e sulle scelte di politica formativa. Un secondo segnale di buon auspicio viene dall’imminente avvicendamento ai vertici della Divisione della scuola. Sappiamo che i funzionari di alto rango possono avere, nel bene e nel male, un’in?uenza decisiva sugli orientamenti politici e sulle trasformazioni della realtà. Basti ad esempio pensare al ruolo avuto dallo scomparso Sergio Caratti per la rigenerazione della scuola dell’obbligo negli anni Settanta o da Vincenzo Nembrini per l’assestamento istituzionale della formazione professionale a partire dagli anni 80.
L’arrivo di Emanuele Berger, che dispone di buone carte, è dunque di buon augurio: ha solide competenze scienti?che, conosce sia il dibattito nazionale e internazionale sulla scuola che l’insieme della scuola ticinese, e non ha preclusioni nei confronti della formazione professionale. Può quindi farsi promotore e garante di una visione d’assieme e di rapporti di collaborazione produttivi tra le varie componenti della scuola. Ma soprattutto, può portare idee e fornire stimoli decisivi affinché la politica formativa piuttosto che gestire lo status quo cerchi vie nuove, con la formazione professionale ad assumere un ruolo decisivo. Sarebbe, tra l’altro, un modo per valorizzare il notevole lavoro che in molti, fra i dirigenti della Dfp e gli insegnanti, negli ultimi anni hanno profuso per valorizzare e far riconoscere la formazione professionale.

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