ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Cronache del Terzo millenio.
La controversia sulle scuole private.


Nel 1999 venne definitivamente modificato l'articolo 33 della costituzione: enti privati avrebbero potuto da quel momento costituire scuole di ogni ordine e grado a spese dello stato, e ogni famiglia avrebbe potuto iscrivere gratuitamente i figli alla scuola che meglio rispondesse al proprio ideale educativo. Unico vincolo era naturalmente che gli insegnanti assunti dalle scuole private fossero stati giudicati idonei da un esame di Stato, ma era implicito che ciascuna scuola fosse poi libera di assumere docenti le cui convinzioni fossero coerenti con gli intendimenti della scuola stessa.
Questa trasformazione del sistema scolastico si rivelò ben presto vantaggiosa per tutti: le scuole private riuscivano a conciliare efficienza ed economia meglio che l'istituzione pubblica, la totalità delle famiglie avevano inviato i figli (gratis) alle scuole private, e lo Stato spendeva, per finanziarle, la metà di quello che prima spendeva per finanziare la vecchia scuola pubblica, ormai smantellata.
Si erano inoltre subito acquietati i timori di quegli inguaribili anticlericali che temevano di vedere la Chiesa guadagnare particolari privilegi. Non si era valutato a sufficienza che, dal momento che la Costituzione imponeva di finanziare qualsiasi iniziativa privata, anche altri gruppi si sarebbero avvalsi di quella opportunità. Nel giro di un anno erano nate alcune scuole protestanti, con scarsa affluenza quelle d'impostazione luterana, ma con notevole successo le elementari e i licei valdesi, e non solo in Piemonte e Val d'Aosta, ma anche nelle regioni meridionali. Buoni risultati in Lombardia avevano avuto gli asili Leoncavallo, a cui inviavano figli e nipoti le migliaia di ex sessantottini che lavoravano per Mediaset.
Il successo più travolgente lo ebbero i licei della catena Risorgimento, come il Siccardi, il Giordano Bruno, il Paolo Sarpi, il Garibaldi, che alcuni volevano direttamente finanziati da logge massoniche, ma che avevano riscosso il consenso della borghesia laica e della sinistra moderata. "L'Osservatore Romano" in una sua inchiesta aveva puntato il dito contro certi eccessi di zelo laicista, come i Laboratori d'Ateismo, o l'uso (al Pasquino di Roma) nell'ora di storia delle religioni di quel "Toledot Jeshu", antichissimo libello di origine ebraica, nel quale si ricostruiva la storia di Gesù come mago e mestatore, nato da una prostituta e da un certo Pantera. Ma era stato facile al preside del Pasquino dimostrare anzitutto che l'insegnante aveva passato con successo l'esame di Stato e che il "Toledot" era stato letto in molte comunità ebraiche medievali, tal ché metterlo in questione poteva venire inteso come manifestazione d'antisemitismo.
Ma non erano solo le scuole laiche a preoccupare le autorità vaticane: con l'intensificarsi del flusso migratorio (si ricordi la legge Pivetti del novembre 2000, che conferiva automaticamente la cittadinanza a chiunque ponesse piede sul suolo italiano) nei primi due anni del Terzo millennio erano nate moltissime scuole private musulmane, e quelle d'ispirazione fondamentalista attraevano anche molte famiglie cattolico-tradizionaliste, che vi vedevano difesi valori come la soggezione della donna all'autorità maritale. Inoltre si erano diffuse le scuole delle varie sette, come i ginnasi dianetici, e una grande popolarità stavano via via assumendo le scuole materne degli Adoratori di Satana (culto regolarmente riconosciuto, dopo che la setta aveva formalmente ripudiato i sacrifici umani), che avevano fama di essere molto divertenti e spregiudicate.
Si era però giunti al punto che le scuole cattoliche incontravano solo il favore del venti per cento delle famiglie, contro, per esempio, il quaranta per cento dei licei Oxalà, che affascinavano gli studenti perché la maggior parte dell'insegnamento era impartito su ritmi afrobrasiliani da bellissime mulatte seminude - né lo Stato poteva intervenire (in nome della libertà di culto) a sindacare le forme della didattica, se i nomi delle materie risultavano conformi ai programmi ministeriali. Fu a quel punto che il nuovo pontefice Camillo Benso I (già cardinal Biffi), aveva rotto ogni indugio. «La Chiesa», aveva proclamato, «chiede che lo Stato si assuma le sue responsabilità e si faccia promotore di una istruzione pubblica unificata, togliendo ai privati il diritto di costituire scuole, e alle famiglie quello di fare scelte avventate. Non si può tollerare che i cittadini con le loro tasse sovvenzionino ogni forma di eresia solo per un malinteso principio di libertà religiosa. La Chiesa cattolica vuole impartire, nelle proprie parrocchie, la dovuta educazione cristiana a fanciulli che non siano stati corrotti da scuole che sfuggono al doveroso controllo dello Stato. Libera Chiesa in libero Stato, questo chiede ogni vero credente e solo così potremo garantire a tutti la vera libertà, che è anzitutto libertà dall'errore».

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