ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Scuola ticinese, chissà se verrà


Le novità presenti nel progetto di riforma del Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport non mancano di far discutere, dal 2017 fino al 2021 si passerà alla fase di sperimentazione

Chissà cosa verrebbe fuori se lasciassimo realizzare agli allievi, bambini e ragazzi, la scuola che desiderano? Sarebbe un esperimento interessante, ma non siamo ancora a questo punto e, verosimilmente, mai lo saremo. La proposta di riforma della scuola dell’obbligo presentata dal DECS la scorsa primavera è infatti il frutto del lavoro di 19 specialisti, perlopiù collaudati esperti ai vertici degli Istituti e del Dipartimento. Nessun docente della scuola dell’obbligo (infanzia, elementare o media) ha avuto il privilegio di partecipare a questo gruppo. Chissà cosa verrebbe fuori se lasciassimo pensare a un rinnovamento della scuola ai docenti che la fanno tutti i giorni? 

Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento, riafferma l’importanza dei pilastri della scuola ticinese, che deve essere «equa, inclusiva e di qualità» e spiega che negli undici anni di percorso formativo obbligatorio «abbiamo l’impegno morale come collettività di accoglierli al meglio e di investire sulla loro capacità di costruire vele più forti possibili per affrontare i venti della vita adulta». La società è sempre più eterogenea e la scuola dell’obbligo, per offrire a tutti la possibilità di riuscire nel modo migliore, deve adeguarsi a questa situazione, che rende ancora più difficile il mestiere dell’insegnante. Per gestire l’eterogeneità, la riforma propone di puntare sulla personalizzazione e sulla differenziazione. 

La personalizzazione si declina con una ristrutturazione dell’insegnamento che non sarà più basato esclusivamente sulle classiche lezioni. A queste si aggiungono i laboratori, gli atelier e le settimane o giornate progetto. I laboratori privilegiano la ricerca e la scoperta e gli allievi sono in numero limitato («indicativamente tre gruppi ogni due classi»). L’atelier, alle medie, è un momento in cui gli allievi esprimono una loro autonomia e il docente non prepara la lezione, ma «si mette a disposizione elaborando interventi didattici mirati».

Queste novità richiedono una riorganizzazione della griglia oraria. La scuola che verrà propone due modelli, da discutere nei prossimi mesi, che prevedono l’alternarsi di blocchi di cinque settimane e una nuova organizzazione del tempo scolastico, fra lezioni classiche, atelier, laboratori, settimane progetto e opzioni.

La differenziazione è l’altro concetto cardine. Differenziare vuol dire adattare l’insegnamento alle possibilità di ogni allievo. Un compito non facile per il docente che, se vuole, già oggi lavora in questo modo. «La diversificazione delle strategie di insegnamento, dell’approccio e delle pratiche didattiche è funzionale all’ottenimento di un’eguaglianza di risultati (dove per eguaglianza si intendono i migliori risultati possibili per ognuno), il che equivale a produrre equità». L’obiettivo è meritevole, ma sembra anche molto teorico. Un docente potrà diversificare e personalizzare, ma da solo sarà difficile che possa seguire venti o più allievi con un percorso individuale per ciascuno. Per questo la riforma prevede di ricorrere maggiormente alla collaborazione tra docenti e, in alcuni casi, al co-insegnamento. Ma ci saranno le risorse per aumentare il numero dei docenti? E quante saranno le nuove forze in più? 

La valutazione è l’altro capitolo che ha già fatto molto discutere. Oggi ci sono le note e alla fine della scuola media bisogna ottenere una media del 4,65 per poter accedere alle scuole medie superiori. Ora la riforma sancisce un cambiamento radicale. La nota classica sulla pagella sarà sostituita da una valutazione che figurerà sulla «cartella dell’allievo», formulata con tre approcci diversi: diagnostico (raccoglie le informazioni generali sull’allievo), formativo (consiste nell’osservazione continua dell’evoluzione dell’allievo e dei suoi apprendimenti) e sommativo (descrive la padronanza dei contenuti e si fonda ancora sulle note). Dunque non si abolisce il sistema delle note, ma si arricchisce, grazie a un ulteriore sforzo dei docenti, chiamati a redigere in dettaglio il giudizio su ogni singolo allievo.

Altra novità è l’abolizione delle licenze di scuola elementare e media, ritenute superflue: «Al termine della scuola obbligatoria l’allievo riceverà un certificato di proscioglimento, accompagnato dalle note ottenute e dal quadro descrittivo degli apprendimenti che attesterà le competenze sviluppate nel corso del percorso formativo appena concluso». Parallelamente le scuole medie superiori prepareranno delle raccomandazioni con le indicazioni necessarie per accedervi. Magari – aggiungiamo noi - spunteranno anche gli esami di ammissione.

Che ne sarà dei docenti, confrontati con questa mole di cambiamenti e novità? Pensiamo soprattutto a quelli della scuola media, l’ordine più sensibile e in cui ci sono i giovani nella fase più delicata della loro carriera scolastica. È un tema che rimane aperto: qualche tempo fa il DECS aveva proposto un nuovo «Profilo del docente», un catalogo di compiti e responsabilità che è stato ritirato perché investito da «quasi unanime forti dubbi e molteplici perplessità», come si legge ne «La scuola che verrà». Era infatti un testo ripetitivo, ridondante, prolisso e scritto male.

Il vero problema della riforma, che ha indubbi aspetti positivi, è l’ulteriore carico di lavoro che viene assegnato ai docenti, in una fase in cui sono già confrontati con il nuovo Piano di studio varato l’anno scorso (che imposta l’insegnamento per competenze), con il profilo del docente, che verrà riproposto, e con le ripetute misure di risparmio. In sostanza le innovazioni non possono essere applicate senza un aggravio dell’impegno del corpo insegnante. Il documento sottolinea che i «docenti sono i principali attori del cambiamento, ed è quindi necessario fornire loro le condizioni quadro necessarie».  

In questi mesi è in corso una consultazione fra i docenti e coloro che si interessano al tema. L’intero Paese dovrebbe preoccuparsene, perché la scuola dell’obbligo appartiene a tutti e dalla qualità di questa istituzione dipende anche la qualità e il futuro della società. La scuola, inoltre, come dice la legge, è composta dai docenti, dagli allievi e dalle famiglie, quindi ascoltare tutte le voci può solo far bene: un primo progetto è stato presentato nel dicembre di due anni fa e sono già stati pubblicati parecchi pareri, anche critici. Fra i politici non è mancato chi ha detto che non si può lasciare nelle mani di un solo dipartimento una riforma tanto importante. Il progetto dovrà, dopo la fase di sperimentazione, prevista tra il 2017 e il 2021, passare in Parlamento. Il rischio, conoscendo il nostro Paese, è che, invece di discutere del merito, si finisca per cercare contrapposizioni basate sulle solite schermaglie partitiche. 

In ambito sindacale si esprimono riserve sul carico di lavoro dei docenti, ma si sottolineano anche dubbi su alcuni aspetti della riforma, che viene considerata calata dall’alto, e rischia di indebolire il ruolo del docente con la frammentazione dell’insegnamento. C’è chi ritiene che le discipline perdano rilievo a vantaggio delle competenze trasversali. Altra preoccupazione, espressa da più parti, è che la scuola media attuale sia di fatto più inclusiva rispetto a «La scuola che verrà», oppure che la personalizzazione finisca per ridursi a un appiattimento generale verso il basso. Insomma, non mancano le adesioni al progetto, ma si manifestano anche critiche puntuali. Sarà interessante vedere in che misura le osservazioni provenienti dai docenti saranno accolte dal DECS.

La spesa per attuare le misure viene preventivata in 32 milioni di franchi. Il costo complessivo della scuola ammonta a 465 milioni, quindi il maggiore investimento si situa al 5,4 per cento. Forse fin troppo poco per un cambiamento così significativo. Va ricordato che il Cantone spende un bel mucchio di milioni per il settore universitario (USI e SUPSI). Soldi ben spesi, ci mancherebbe, ma sulla scuola obbligatoria, essenziale per la formazione di una società, lo Stato non può più risparmiare.

Sul ruolo sociale della scuola dell’obbligo rimane sempre vivo lo sguardo lungimirante della Scuola toscana di Barbiana: «Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno – scrivevano i ragazzi di don Milani in Lettera a una professoressa - vi proponiamo tre riforme: 1) Non bocciare. 2) A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a tempo pieno. 3) Agli svogliati basta dargli uno scopo. Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare». Correva l’anno 1966.

Manuele Bertoli risponde alle critiche

La diversificazione dell’insegnamento, che può realizzarsi anche con una «promozione delle disuguaglianze», non rischia di perpetuare queste differenze piuttosto che superarle? E, inoltre, non sfavorirebbe i più dotati?
Un trattamento analogo di persone diverse produrrebbe disparità, non parità. Oggi già trattiamo diversamente i più deboli, cercando di dar loro giusta attenzione, ma questo concetto va esteso anche ai più bravi. Insomma, differenziare l’insegnamento diretto a persone che per loro natura sono diverse con l’obiettivo di andare a prenderle là dove sono e portarle tutte il più lontano possibile.

La creazione degli atelier, dei laboratori e dei gruppi di progetto non crea una frantumazione eccessiva della classe, a scapito anche del rapporto tra docente e allievi?
Non è automatico che gli allievi vengano in contatto con più docenti di quanto accada oggi, qui semmai il lavoro da fare va nella direzione di docenti con più abilitazioni e non una sola. Quel che è certo è che queste forme didattiche consentono agli allievi di passare più tempo in ogni disciplina approfondendo maggiormente la materia. Ad esempio, storia e geografia non saranno più offerte per 2 ore a settimana entrambe, ma in un blocco di 5 settimane si avrà 4 ore di storia e in un altro blocco 4 ore di geografia. Il che è meglio per allievo e docente.

La valutazione che si fonda sulla «scheda dell’allievo» non rischia di creare un documento che possa danneggiare l’allievo debole?
Le sole note sono ben più grossolane e stigmatizzanti di un documento più completo. Certo non si potrà e dovrà nascondere la realtà dell’allievo, che comunque salta sempre fuori, ma mettere in luce anche le competenze non prettamente scolastiche, accanto a quelle che oggi e domani sono e saranno riassunte dalle note. E questo consentirà di valorizzare proprio gli allievi deboli.

Il nuovo sistema di valutazione non è una rinuncia a una selezione che la scuola dovrebbe in qualche modo garantire? 
Alla fine della scuola dell’obbligo gli allievi non avranno tutti la stessa valutazione e queste differenze si vedranno ed avranno un impatto anche sulle scelte postobbligatorie. Ma durante la scuola dell’obbligo non vogliamo dividere gli allievi in strutture separate (oggi i livelli), ma costruire percorsi diversi all’interno delle stesse classi grazie alla presenza di più docenti che possano fornire soluzioni differenziate flessibili. Sono cose che accadono in parte già oggi, ma con pochi mezzi e grazie solo alla buona volontà di docenti eccezionali. La selezione deve avvenire in base ad una conoscenza più approfondita degli allievi.

Non si pretende troppo dai docenti? Quanti docenti in più sono previsti nella scuola media?
I maggiori costi della riforma sono essenzialmente destinati ad avere più docenti per gli stessi allievi. Questo però non semplicemente facendo classi più piccole, ma introducendo meccanismi di collaborazione tra docenti che permettano di avere le risorse per gestire la differenziazione. Inoltre la riforma prevede di creare delle condizioni quadro che faciliteranno il lavoro dei docenti.