Siamo alla fine dell’anno scolastico, un anno che ha fatto parlare molto di scuola, soprattutto per la presentazione del progetto ‘La scuola che verrà’. È un documento importante; è da molto che non si produceva, nel nostro cantone, una riflessione così approfondita sulla scuola dell’obbligo. Finalmente viene proposta una visione coerente di un modello adeguato per rispondere alle sfide che l’istituzione scolastica è chiamata ad affrontare. Per alcuni, si tratta di una visione utopica, ma sono convinto che sia utile e necessario poter definire i principi che si vogliono seguire per poter dare (...)senso e coerenza alle proposte di riforme che la nostra scuola richiede e che sono in atto. Il progetto ha il pregio e il coraggio di indicare chiaramente che una scuola equa non può essere una scuola uguale per tutti. Infatti, come ben hanno spiegato i sociologi dell’educazione, il miglior modo per creare discriminazione tra gli allievi è quello di trattarli tutti in modo uguale. Infatti, soprattutto nella scuola dell’obbligo, gli allievi sono molto diversi tra loro per tutta una serie di fattori: potenzialità di base, contesto sociale, stile di apprendimento, carattere ecc. Il documento, a questo proposito, propone indicazioni molto chiare su come gestire questa eterogeneità che è elemento di ricchezza e non certo di ostacolo. Gestire l’eterogeneità consente di superare quell’appiattimento pedagogico e didattico che è fonte di noia e di carente motivazione ad apprendere. Spesso si dice che la scuola è molto cambiata: è vero per molti aspetti, ma per altri, invece, è rimasta sempre la stessa. Oggi, come in passato, si fa scuola in un grande edificio suddiviso in ampi locali chiamati aule che contengono file di banchi per circa 20 allievi (in passato erano anche 30 o 40). Davanti (al centro o lateralmente) vi è un tavolo più grande per il docente e sulla parete, dietro alla cattedra, vi è una lavagna (un tempo era di ardesia e oggi è elettronica). Oggi, come in passato, a ore prefissate, entrano nell’aula gli allievi e si siedono ai banchi e poi entra il docente che inizia a parlare. Oggi, come in passato, l’insegnamento è suddiviso in lezioni di 45 o 90 minuti. Per affrontare l’eterogeneità, per favorire la motivazione nei diversi tipi di allievi, è necessario andare oltre a questi schemi rigidi di funzionamento ed è quello che avviene già parzialmente oggi e che giustamente il progetto del Decs intende generalizzare. Credo che la sfida più significativa del progetto, ma anche l’aspetto più difficile, sia quella di rifondare un reale concetto di scuola dell’obbligo, chiarirne gli obiettivi e dare gli strumenti funzionali per perseguire questi obiettivi. Attualmente la scuola dell’obbligo presenta una forte differenza di funzionamento tra scuola elementare e scuola media, che si concretizza con due apparati amministrativi diversi e in due distinte basi legali: la prima è di competenza comunale e la seconda, cantonale. L’introduzione della scuola media è stata un’importante conquista degli anni 70, favorendo un reale, quanto necessario, processo di democratizzazione; infatti, la scelta della scuola da seguire, dopo la 5 elementare, era allora determinata dalle origini socioeconomiche della famiglia. Dal punto di vista concettuale, ma anche legislativo, la scuola maggiore era considerata come completamento della scuola elementare e rientrava nel quadro della scuola obbligatoria; il ginnasio, invece, era il primo grado della scuola secondaria, propedeutico quindi all’istruzione superiore. L’innovativo progetto di scuola media doveva fondere queste due anime, garantendo a tutti una valida formazione di base. Ma con il passare degli anni è innegabile che la scuola media ha tendenzialmente assunto il modello ginnasiale: un professore (con titolo universitario) per ogni disciplina e quindi una griglia oraria suddivisa in lezioni disciplinari. A controbilanciare questa tendenza la scuola media ha fatto e continua a fare grossi sforzi per riuscire ad accogliere e formare l’insieme della popolazione scolastica dandosi strumenti per sostenere anche gli allievi meno favoriti e per proporre progetti e occasioni educative coinvolgenti e motivanti. Ma la pressione per caratterizzare la scuola media come preparatoria agli studi superiori è per sempre presente. Basti pensare alle dure reazioni emerse verso la proposta del Decs che intende rivedere le modalità valutative, favorendo quelle orientative. Il sistema delle note si trasforma sovente in una sorta di trappola: quella di sostituire il piacere di apprendere con la rincorsa alla buona nota. La pratica dei lavori scritti, a volte chiamati “blitz” (il linguaggio bellico andrebbe vietato nella scuola!), si può trasformare in un nefasto svuotamento del valore della conoscenza, sostituendola con il ricatto dell’insufficienza e con la rincorsa alla buona media delle note.
La sfida di HarmoS
L’introduzione del concordato HarmoS ha dato avvio ad una revisione dei programmi (nuovo piano di studio per la scuola dell’obbligo) per garantire una migliore continuità educativa tra scuola dell’infanzia, elementare e media. Ma per garantire un reale impatto di queste nuove proposte programmatiche, si rendono necessari anche dei cambiamenti strutturali e il progetto ‘La scuola che verrà’ indica proposte interessanti: accanto alle lezioni tradizionali si dovranno prevedere laboratori, atelier e attività progettuali che renderanno necessario lo sviluppo del lavoro in team dei docenti e consentiranno di dare migliori occasioni di apprendimento alle diverse tipologie di allievi. Ma è proprio sulla formazione dei docenti chiamati ad agire nella scuola dell’obbligo che occorrerà produrre un ulteriore sforzo di riflessione. Attualmente i futuri docenti delle Elementari e quelli delle Medie seguono due curricoli completamente diversi e separati, quindi senza occasioni di conoscenza concreta dei due ordini di scuola. Paradossalmente, la formazione dei docenti di scuola media è molto più vicina a quella dei docenti del medio-superiore, dove prevale l’importanza delle conoscenze disciplinari. Per portare a buon termine le lodevoli intenzioni del progetto ‘La scuola che verrà’ è indispensabile prevedere, oltre alla formazione continua, che anche la formazione iniziale dei docenti sia in sintonia con i principi educativi espressi. Sono infatti i docenti, che andranno coinvolti nella riforma, i veri attori del cambiamento: questi nuovi stimoli danno grande valore al loro ruolo e auspicano un lavoro in rete che consenta di superare la pesante situazione di isolamento nella quale a volte si trova il docente nell’affrontare situazioni delicate: ci si muove quindi verso una scuola concepita come una comunità di apprendimento. L’augurio è che, dopo la meritata pausa estiva, ci si possa ritrovare a settembre per dare forma concreta alle buone idee formulate: arrivederci.