Il tema del finanziamento pubblico dell’insegnamento privato approderà nei prossimi giorni in Gran Consiglio, dopo l’analisi commissionale. In quella sede si è profilata una “terza via” sostenuta della deputata ppd, signora Monica Duca Widmer: lo Stato dovrebbe limitarsi a sostenere soltanto le scuole private nella fascia dell'obbligo scolastico. Pare che questa posizione trovi il consenso anche della signora Marina Masoni. Si tratta di una proposta di compromesso? Non lo crediamo. Anzi.
Il dibattito sulla scuola mette bene in rilievo che esiste pur sempre una diversità tra le posizioni di destra e quelle di sinistra. In passato, su questo tema si confrontavano (o si scontravano) i cattolici con i laici. Per fortuna, la discriminante religiosa è ora superata ( anche se non manca qualche rigurgito). La discriminante si pone ora sul ruolo dello Stato. Lo Stato deve favorire lo spirito di iniziativa privata quale motore del nostro sistema economico e politico oppure deve assumere un ruolo di regolatore sociale nella distribuzione delle risorse economiche e culturali tra le varie componenti sociali? Il tema in discussione consentirà una verifica delle attuali forze che, in un eventuale sistema maggioritario, si situano in un’area di centro destra e, rispettivamente, di centro sinistra. Ha quindi ragione Saverio Snider quando scrive (Corriere del Ticino, 25.10.00) “…c ‘è solo da sperare che il dibattito vero si concentri (…) sul nocciolo autentico del dilemma, che è quello della necessità o meno d’applicare anche nell’ambito della scuola (…) i principi filosofici del liberismo, cominciando (…) ad introdurre pure in questo contesto una “diversificazione” degli impegni dello Stato.”
Ma vi è un altro nocciolo autentico del dilemma: quale allievo vogliamo formare? Viviamo in un mondo sempre più scisso e complesso, caratterizzato da profondi e rapidi cambiamenti, dalla mobilità delle persone, dalla pluralità delle culture e dei linguaggi e quindi dalla diversità delle regole. La società diventa multi-etnica e multi-etica. Di fronte a questi cambiamenti è necessario garantire una forza di coesione che sappia trasmettere valori di solidarietà e di cooperazione. È appunto questo il compito della scuola dell’obbligo: essa è l’unica istituzione che accoglie i figli di tutte le categorie sociali, senza distinzione, li accomuna in un’esperienza educativa che rispecchia le reali condizioni della società. Il più forte lavora con il più debole, l’indigeno opera a fianco dello straniero. È proprio la scuola dell’obbligo che assume questa funzione, accettando tutti gli allievi nella loro diversità. Se favoriamo la disgregazione della scolarizzazione e il sorgere di scuole che accolgono allievi secondo il loro credo religioso, la loro cultura di origine, la forza finanziaria dei genitori, allora favoriremo un modello educativo di divisione sociale.
La scuola pubblica in Ticino ha profonde radici e si è progressivamente strutturato un sistema educativo di qualità, capace di accogliere, istruire ed educare i figli di tutte le categorie sociali. Si è voluto garantire una frequenza per tutti, ritardando la selezione e favorendo l’accesso agli studi con adeguati sostegni alle famiglie meno favorite. Questo modello consente di integrare la diversità come arricchimento e non come discriminazione. Si deve sottolineare la grande disponibilità e l’impegno che la scuola pubblica continua a dimostrare nel tener conto delle esigenze degli allievi problematici (difficoltà di apprendimento, di comportamento, di origine sociale e culturale), anche se non mancano le imperfezioni (vi sono problemi che la scuola - né pubblica, né privata - non può risolvere).
Se è vero che nella scuola si riflette la complessità sociale, deve essere pur vero che nella società ritroviamo anche gli effetti del sistema educativo. Facciamo un esempio: oggi, in tutta Europa e in Svizzera, si assiste con grande preoccupazione alle manifestazioni di gruppi giovanili di estrema destra che si caratterizzano per comportamenti violenti, intolleranti e razzisti. In Ticino queste manifestazioni sono fortunatamente molto contenute. Il nostro paese ha una tradizione di rispetto e di tolleranza delle diversità e la scuola pubblica ha sicuramente dato, e continua a dare, un importante contributo in questa direzione.
Quindi la "terza via", in realtà, non rappresenta una vera alternativa, né tanto meno un compromesso. Se proprio si vuole cercare un compromesso, si potrebbe allora rovesciare la proposta: lo Stato finanzi solo le scuole private postobbligatorie. In questo settore il contributo delle iniziative private potrebbe arricchire il ventaglio delle formazioni. Potrebbero sorgere utili sinergie, a condizione che lo Stato non debba utilizzare le sue limitate risorse a scapito delle strutture pubbliche.
La speranza è che il dibattito che ci accompagnerà nei prossimi mesi possa diventare l'occasione per ribadire, nella scuola, la centralità del bambino e del suo processo di socializzazione e di integrazione sociale.
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