Non so se le recenti manifestazioni dei docenti siano servite a sensibilizzare i cittadini sui problemi della scuola, come auspicato dagli organizzatori, o piuttosto a rafforzare i pregiudizi contro gli insegnanti, come parrebbe da certe “ voci del pubblico”. Probabilmente hanno avuto entrambi gli effetti, con il risultato di rendere ancora più difficile il dialogo.
Proverò comunque ad esaminare le cose nel modo più spassionato possibile. Il punto di partenza sta, come noto, nella difficoltà di far quadrare i preventivi dello Stato per il 2004.
Si dirà che le previsioni sono dipinte volutamente a tinte fo- sche, che la causa delle difficoltà sta semmai negli sgravi fiscali decisi gli scorsi anni, e che il deficit potrebbe comunque essere coperto aumentando il debito pubblico.
C’è probabilmente un po’ di vero in tutte e tre queste obiezioni. Sta però di fatto che gli sgravi fiscali sono popolari ( tanto che nessuno se l’è sentita di contestarli mediante referendum) e che, viceversa, il debito pubblico preoccupa. È quindi verosimile che l’obiettivo dei risparmi, di per sé, sia condiviso da molti. È chiaro tuttavia che l’adesione teorica al contenimento delle spese cede il passo a “ distinguo” e contestazioni non appena si scende nel concreto ( perfino i risparmisti più agguerriti insorgono quando i “ contenimenti di spesa” li toccano direttamente!).
Nel Preventivo, i risparmi sono perseguiti soprattutto in quattro settori: spese sociali, gestione del territorio, rapporti con i Comuni e ( appunto) scuola. Oggettivamente, rispetto ai tagli con la scure previsti per case- anziani, colonie, centri giovanili o antenne, i sacrifici richiesti ai docenti sono moderati. Va pure dato atto all’on. Gendotti di aver accantonato le ipotesi estreme, proponendo la misura meno dolorosa e con minori conseguenze sulla qualità dell’insegnamento. Ciò non significa però che la stessa sia innocua. La tanto derisa ora settimanale in più si traduce infatti in un aumento dell’onere lavorativo del 4% circa, il che equivale ( a parità di altre condizioni) ad una riduzione, sempre del 4%, dei posti di lavoro. Ed equivale pure a una diminuzione, nella medesima percentuale, dello stipendio orario. Per chi è impiegato a tempo pieno il calcolo è un po’ teorico, ma per chi insegna a tempo parziale ( magari non per scelta sua, ma perché mancano le ore) il tutto si tradurrà in un assottigliamento reale della busta- paga. Nessuno morirà di fame per questo, ma sarei curioso di vedere se coloro che in questi giorni danno libero sfogo ai loro pregiudizi contro i docenti sarebbero poi disposti – loro – ad accettare riduzioni analoghe del proprio stipendio. Ancora in ambito retributivo, un accenno va fatto anche all’ipotesi di mettere a carico dei docenti ( e dei funzionari) una delle pochissime misure di aumento delle entrate, ossia il pagamento dei posteggi per il tempo di lavoro.
Per banale che sia, anche questa misura comporterebbe infatti una riduzione reale degli stipendi ( pare fra i 600 e i 1’ 500 franchi all’anno). Non è una cifra enorme, ma è pur sempre una dimostrazione di quanto poco l’attività dei dipendenti pubblici sia considerata; dimostrazione che non può che accrescere la frustrazione della categoria. A quanti accusano i docenti di essere degli scansafatiche, sempre in vacanza e mai contenti, vorrei dire una cosa sola: provino loro ( anche senza contare la preparazione, le correzioni, le riunioni, i colloqui ecc.) a tener desta l’attenzione di 20- 25 persone, per giunta in età giovanile e con attitudini e interessi diversificati, per 50 minuti di seguito; cercando di coinvolgere tutti, evitando che alcuni si distraggano, altri si mettano a chiacchierare, altri ancora facciano disegnini su un foglio o cose simili! E questo non una volta, ma 24 ( o 25) volte la settimana, per 37 settimane l’anno e per 40 anni di fila! Se questo poteva essere relativamente facile quando la famiglia istillava negli allievi certi “ riflessi condizionati” ( rispetto per gli adulti, silenzio quando parla il maestro ecc.), oggi la situazione è ben diversa. È vero che in altri Cantoni le ore d’insegnamento sono più numerose. Per un confronto corretto occorrerebbe però tener presente che in quei Cantoni le classi sono molto più omogenee, e che il tasso di riuscita dei loro studenti agli esami di maturità (come ha ricordato anche l’on. Gendotti in televisione) è nettamente inferiore a quello degli studenti ticinesi. Il che significa una cosa sola: dove le condizioni di lavoro dei docenti sono peggiori, peggiora anche la riuscita degli allievi.
L’ora in più, nonostante gli inconvenienti ricordati, non è un sacrificio insopportabile. Posso anche capire che lo “ sciopero” di qualche giorno fa (sulla cui opportunità ho anch’io i miei dubbi) abbia irritato molti. Attenti però a non lasciarsi prendere la mano da quella vocazione forcaiola che traspare da certe lettere ai giornali o da certi discorsi d’osteria.. A farne le spese sarebbe proprio la qualità della formazione!