ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Un liberale attento vota due no


Il signor Diego Colombo, intervenendo nel dibattito sul sussidiamento pubblico delle scuole private, afferma perentoriamente che «un vero liberale vota «Sì» il 18 febbraio» (v. Corriere del 3 corr.). Anche se un'affermazione così apodittica sembra negare il diritto di esistenza a qualsiasi opinione divergente, personalmente sono invece del parere che i liberali attenti - e più in generale i cittadini che non si lasciano abbagliare dagli slogan - non potranno che votare 2 «No» convinti. E questo per la semplice e buona ragione che il 18 febbraio non si tratta di esprimersi sui «massimi sistemi». Tanto meno sugli slogan, impregnati di ideologia, che i paladini del «Sì» vanno diffondendo a piene mani (grazie anche all'arruolamento forzato del povero Franscini, del quale vorrebbero servirsi per distruggere quanto lui creò!). Si tratta, invece, di esprimersi su una proposta concreta, anzi su due - di cui però una è peggiore dell'altra! - che non mantengono affatto quanto promettono.
Dietro belle parole e princìpi altisonanti, le due proposte gemelle mirano infatti a promuovere lo «sviluppo separato» fin dalla prima elementare. Orbene, che ciò sia legalmente consentito, è fuori discussione. Ma che questo spirito «separatista» debba venir favorito - e perfino stimolato - con i soldi di tutti i contribuenti, è perlomeno discutibile. Ancora più discutibile è la pretesa che un diritto dei singoli debba venir finanziato ipso facto dalla comunità. I fautori del «Sì», tutti presi dalla frenesia per la «libertà di scelta della scuola», dimenticano infatti che questo non è l'unico diritto garantito dalla Costituzione. Applicando lo stesso criterio si dovrebbero perciò finanziare, ad esempio, anche tutti coloro che vogliono costruire o affittare una casa (diritto all'abitazione), comprare un'automobile (diritto alla proprietà), pubblicare un giornale (libertà di stampa), costituire un corpo di polizia privato (diritto alla sicurezza) e così via. Ebbene, a parte il fatto che in tal caso ci si dovrebbe anche chiedere dove andare a prendere i soldi per far fronte a tutte queste spese (altro che «meno Stato!») a me sembra che una simile impostazione abbia ben poco di liberale, ma risenta semmai diÉ socialismo reale.
La sprezzante definizione di «carta teorica e straccia» data dal signor Colombo (e da don Grampa) dei diritti non pagati, ricorda infatti quella che davano i regimi sovietici delle «libertà borghesi!».
Al di là di questo, l'altro grosso argomento messo in campo dai paladini del «Sì» è quello della concorrenza fra pubblico e privato, che a detta di molti stimolerebbe il confronto e arricchirebbe la stessa scuola pubblica. Anche qui, gli slogan nascondono però una realtà ben diversa. Il signor Colombo – da «liberale moderno che ha a cuore i diritti dell'individuo e della società», quale afferma di essere - dovrebbe infatti tener presente che la concorrenza non può funzionare senza regole. Tanto meno, può funzionare quando una parte è libera di fare autonomamente le sue scelte, mentre l'altra dipende dalle decisioni di organi politici e amministrativi, in cui gli amici dei privati sono presenti in misura massiccia, per cui faranno in modo che la «concorrenza statale» non sia troppo performanteÉ Il precedente delle Casse malati - che vide le casse pubbliche «divorate» da quelle private - è significativo al riguardo: nella gara fra pubblico e privato il primo, presto o tardi, è condannato a scomparire, poiché la concorrenza, inevitabilmente, è a senso unico!
Il timore che l'iniziativa e/o quello pseudo «controprogetto» che la fiancheggia minaccino seriamente la scuola pubblica e tutto ciò che essa rappresenta (rispetto di tutte le opinioni, uguaglianza di «chances» per tutti, presenza capillare sul territorio ecc.) è dunque tutt'altro che infondato. Così stando le cose, la pretesa che i liberali (che della scuola pubblica sono pur sempre stati gli artefici principali!) diano una mano a chi vuol smantellarla, mi sembra davvero eccessiva. Anche perché il liberalismo ticinese, nonostante tutto, ha ancora (maggioritariamente) un senso dello Stato e un rispetto della sua storia che non permettono di confonderlo con il «tatcherismo» o con il berlusconismo?

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