ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


“La scuola pubblica per tutti”
a 10 anni dalla votazione che ha determinato il rifiuto di finanziare le scuole private


Care co-presidenti dell’Associazione per la scuola pubblica del Cantone e dei Comuni Katya Cometta e Loredana Schlegel, cari membri del comitato, stimati relatori Raffaello Ceschi, Fabio Pusterla e Saverio Snider, gentili signore, egregi signori,

la giornata di oggi ha un significato e un valore che vanno ben oltre la semplice ricorrenza di un avvenimento di grande rilevanza in sé, cioè una votazione popolare con un risultato chiarissimo per la difesa della nostra scuola pubblica. Quella votazione, indelebile nella storia del Ticino e nella memoria dei ticinesi mantiene sempre attuali i suoi elementi cardine, le sue riflessioni di base e – così mi sembra di vedere – anche le sue contrapposizioni ideologiche.

Oggi, come dieci anni fa, siamo sempre chiamati a dare risposte puntuali e convincenti a una serie di domande che si ripresentano, soprattutto in periodi pre-elettorali come quello attuale, più o meno nella stessa forma e con gli stessi contenuti e spesso, purtroppo, poste dalle stesse persone.

Perché lo Stato difende il primato della scuola pubblica rispetto alle scuole private? Perché non vi può essere parità fra le due? Perché siamo contrari al finanziamento pubblico delle scuole private?

Le risposte – è bene sottolinearlo – non partono da atteggiamenti ostili e pregiudizievoli contro le scuole private, con le quali c’è buona collaborazione, ma richiamano con forza i principi fondamentali sui quali la scuola pubblica ticinese ha costruito e continua a costruire – anche grazie al voto del 2001 – il proprio operato. Essa è l’espressione di uno Stato laico e democratico, in cui vi è la preminenza delle sue leggi rispetto a quelle imposte da credi religiosi, assicura pertanto la neutralità confessionale, anche nei confronti di quelle fedi che sono professate da un gran numero di persone; è strumento di integrazione e di coesione, è palestra di vita, è luogo di incontro fra persone di estrazione diversa, è espressione di pari opportunità di accesso allo studio, se necessario attraverso la concessione di borse di studio, indipendentemente dalle etnie, dalle lingue, dalle religioni, dalle ideologie, dalle condizioni economiche e sociali delle famiglie; persegue l’eccellenza, senza però dimenticare il principio dell’equità, in modo che ogni sede scolastica, indipendentemente dalla sua ubicazione sul territorio cantonale, possa essere un’opportunità di riuscita per le allieve e gli allievi che la frequentano.

Quello dell’educazione e dell’istruzione resta uno dei compiti fondamentali dello Stato e al quale lo Stato non può derogare, dandolo in appalto a privati. La scuola pubblica non è un’azienda, il suo scopo non è il profitto economico, non ragiona in termini di concorrenza, non risponde alle leggi del mercato. La scuola pubblica non può occuparsi solo degli allievi migliori. Troppo facile. La vera sfida di questa società è quella di non perdere per strada giovani in difficoltà, lasciarli in un angolo, trasformarli in involontari parassiti a carico a vita delle assicurazioni sociali.

Chi, in altri Paesi, ha perso di vista questi valori, oggi ne paga le conseguenze. Le scuole pubbliche di chi si è adagiato a certi modelli anglosassoni fondati sulla concorrenza a tutti i costi sono velocemente scadute, diventando di serie B, se non di serie C. E per frequentare le scuole private, a garanzia di una formazione adeguata, le famiglie devono assumere il coraggio di indebitarsi. Ciò costituisce la negazione, non solo del tanto enfatizzato principio della democratizzazione degli studi, ma anche del diritto garantito ad ogni persona dalle nostre costituzioni di “poter beneficiare di un’istruzione e di una formazione adeguata conformemente ai suoi desideri e alle sue attitudini”.

Non sono un fanatico dei test Pisa, non ho mai voluto né enfatizzare, né però prendere sotto gamba risultati comunque rilevati in maniera scientificamente seria: poiché questi dati coinvolgono tanto le scuole pubbliche quanto quelle private viene giudicato il sistema scolastico come tale. Io prendo atto che ad esempio in matematica la Svizzera è ai primissimi ranghi, l’Inghilterra e l’Italia addirittura sotto la media OCSE al 29 e al 36 posto. La situazione per questi Paesi in cui si è penalizzato dal profilo finanziario la scuola pubblica a favore di quella privata è ancora peggiore quando si analizza l’indicatore forse più importante per la scuola dell’obbligo, vale a dire quello che misura l’equità.

La scuola pubblica ticinese è naturalmente perfettibile e migliorabile. Ci mancherebbe altro. Direi che rientra proprio nella natura del suo mandato la capacità di mettersi continuamente in discussione e di saper trovare, di volta in volta, i cambiamenti o gli aggiornamenti di cui ha veramente bisogno. Cambiamenti e aggiornamenti che investono il suo modo di organizzarsi, la preparazione dei suoi docenti, l’impostazione pedagogico-didattica dei sistemi d’insegnamento, la relazione con allieve ed allievi e con l’intera comunità educativa, e più in generale il modo di relazionarsi con la società.

Queste scuola in continuo movimento si contrappone all’immagine di una scuola immobile che qualcuno – e naturalmente anche qualche candidato al Consiglio di Stato – continua a voler veicolare come se fosse corrispondente al vero.

In realtà in 10 anni abbiamo fatto molti passi avanti nella scuola pubblica. E altri, naturalmente, se ne faranno ancora, ma sempre un passo dopo l’altro, secondo necessità e, soprattutto, con l’obiettivo prioritario di migliorarne continuamente la qualità.
Le mense e i doposcuola sono servizi pubblici importanti, ma hanno poco a che vedere con la qualità della scuole e con quella che è la sua missione.

La nostra scuola non ha bisogno di rivoluzioni, non è necessario reinventare l’acqua calda, basta la capacità di affrontare di volta in volta quelle riforme in risposta alle nuove esigenze di una società che evolve a ritmi veloci.

La buona scuola la fanno i bravi docenti, e questi vanno pertanto formati nel miglior modo possibile, sia a livello di formazione di base, sia a livello di aggiornamento continuo.
Negli ultimi anni a livello svizzero e anche di CPDE si è pasticciato parecchio, si sono forse anche dati segnali contraddittori, ma questo ha permesso di fare autocritica, di intravedere la giusta strada da seguire. I

n questo senso sono convinto che abbiamo fatto un passo importante con l’integrazione dell’Alta scuola pedagogica di Locarno nella SUPSI, con il nuovo Dipartimento della formazione e dell’apprendimento. Dopo un avvio inevitabilmente difficile, si stanno delineando i vantaggi di aver portato la formazione dei docenti abilitati ad insegnare nelle nostre scuole a un livello veramente universitario.
Raccoglieremo i frutti fra qualche anno.

L’elenco delle cose fatte sarebbe lungo e forse risulterebbe anche noioso. Vorrei però ricordare alcuni capitoli, tanto per restare all’ultima legislatura, che ritengo importanti, come l’adesione all’accordo HarmoS sulla scolarità dell’obbligo che ci impone una riflessione sulla nostra scuola e ci induce a ripensare i nostri piani di studio, così come l’adesione all’Accordo intercantonale per le borse di studio, i messaggi sulla cantonalizzazione e il potenziamento del Servizio del sostegno pedagogico e sulla nuova Legge sulla pedagogia speciale, o progetti specifici che hanno richiesto un particolare lavoro di preparazione, come l’avvio della sperimentazione dell’ora di “Storia delle religioni”.

Vorrei anche sottolineare quanto si è fatto nell’ambito dell’edilizia scolastica. Sono state realizzate ex-novo o ampliate o totalmente rinnovate – in alcuni casi i lavori sono in corso – molte sedi di scuola media – Balerna, Morbio Inferiore, Riva San Vitale, Barbengo, Gravesano, Bedigliora, Camignolo, Cevio, Bellinzona 1 e Bellinzona 2 – la sedi dei licei di Locarno e Lugano, nonché molte sedi di scuola professionale – Chiasso, Mezzana, Mendrisio addirittura in due istituti, Lugano in tre istituti, Trevano, Locarno, Bellinzona. In dieci anni sono stati votati crediti per le scuole pubbliche cantonali per 305 milioni di franchi.

Ecco, questa scuola, che migliora e fa passi avanti, è spesso bersaglio di critiche ingenerose, poco rispettose del lavoro quotidiano di chi le dedica le sue energie migliori, anzitutto i docenti. È diventata anche terreno di scontro politico, soprattutto di questi tempi, in cui si sprecano l’improvvisazione e l’approssimazione nel presentare proposte miracolose per colmare quelle che si ritengono lacune gravissime, disfunzioni, impostazioni da correggere assolutamente, come per esempio chi vorrebbe togliere i livelli della scuola media.
O chi oggi critica a raffica, ma si dimentica di aver condiviso proposte di aumento del numero di allievi per classe, la trasformazione di tutti gli assegni di studio in prestiti, o la soppressione dell’offerta di una scuola dell’infanzia ai bambini di tre anni.
È con una certa fierezza che posso dire che i tempi sono cambiati e che settimana prossima il Gran Consiglio voterà il principio di un’offerta obbligatoria in tutti i Comuni di una scuola d’infanzia gratuita per tutti i bambini di tre anni.

Questa scuola si scontra però con la realtà oggettiva di chi la scuola pubblica ticinese l’ha misurata con criteri scientifici. Abbiamo appena presentato la seconda edizione del volume “Scuola a tutto campo”, studio del CIRSE che attesta che la scuola pubblica ticinese, nel complesso, gode di buona salute. E come ho fatto in conferenza stampa, invito chi vuol parlare di scuola a leggerlo o almeno a consultarlo.

Vi sono poi i soliti argomenti, uguali a quelli di 10 anni fa, con i quali si rimprovera alla scuola pubblica di non fare abbastanza per i servizi parascolastici, come nel caso delle mense scolastiche. A parte il fatto che bisognerebbe chiedersi se con il potenziamento di questi servizi, per quanto utili possano essere, si migliora davvero la qualità della scuola, che per finire è chiamata ad ottemperare ad altre finalità, prima fra tutte l’educazione e l’istruzione delle allieve e degli allievi.

Ma anche questo genere di richieste sono fuori bersaglio. Da una recentissima verifica effettuata dalla Divisione della scuola risulta che le scuole dell’infanzia che beneficiano di un servizio di refezione scolastica sono nella misura del 95,2% del totale; mentre per le scuole elementari sono più di due terzi (il 67,3%), quando nel 2005/2006 non raggiungevano la metà (il 44,4%).

C’è anche chi continua ad enfatizzare una presunta penuria di candidati docenti, visto che la professione non sarebbe più interessante. I dati mostrano un quadro ben diverso. Per esempio, per la formazione di base per la scuola dell’infanzia e per la scuola elementare al DFA della SUPSI sono ammessi in totale 60 studenti per ciascuno degli anni 2011-12, 2012-13 e 2013-14, mentre è già sin d’ora certo che ci sarà un numero almeno doppio di candidati.

Resta ancora inevasa – lo ammetto e mi dispiace – una richiesta tutto sommato legittima. Alludo alla questione di un aumento salariale per i docenti. Si tratta di un’istanza che più volte è stata formulata all’indirizzo del DECS, magari senza un preciso confronto intercantonale, visto che in realtà il Ticino non è messo così male come viene dipinto, soprattutto se si tiene conto del raggiungimento già dopo 13 anni del massimo dello stipendio o del numero delle settimane d’insegnamento. Ciò nonostante, tenuto conto dei sempre maggiori compiti attribuiti al docente, della maggiore durata degli studi (abilitazione compresa) e del fatto comunque che la qualità della scuola passa dalla qualità dei suoi docenti (aggiornamenti compresi), reputo che nei prossimi anni si dovranno trovare le risorse per procedere a questo auspicato adeguamento degli stipendi, non tanto quelli in entrata, quanto quelli in corso e in fine carriera.

Ma questa delle risorse è un altro tema centrale per chi vuol bene alla scuola pubblica che va affrontato con la dovuta serietà e l’attitudine di una visione d’assieme che tenga anche conto del contesto finanziario in cui si è chiamati ad agire.
Serve a poco richiamarsi al principio, condiviso da tutti, che la formazione è un investimento e non una spesa, se poi le risorse finanziarie necessarie non ci sono o, peggio ancora, sono in competizione con altri compiti dello Stato che sono ritenuti altrettanto prioritari.
Aver senso dello Stato significa anche saper individuare e fissare delle priorità e quindi rinunciare a spese non altrettanto mirate o persino elargite ad innaffiatoio o in contrasto con altri servizi dello Stato più performanti ed efficienti.
I tre o quattro milioni, per fare un solo esempio, ma ne potrei fare parecchi altri, inventati per dare 1’000 miseri franchi ad ogni neonato avrebbero potuto essere utilizzati per finanziare una prima tappa dell’adeguamento degli stipendi dei docenti.

Care amiche e cari amici della scuola pubblica se siamo qui oggi è anche perché vogliamo bene a questa componente istituzionale essenziale dello Stato di diritto, liberale, laico e democratico. È perché siamo convinti che la battaglia di 10 anni fa andava combattuta e perché siamo consapevoli che certe conquiste non sono mai acquisite per sempre, che il nemico è sempre in agguato, che 10 anni fa il popolo ticinese ha saputo resistere alle tentazioni del “nuovo che voleva avanzare e che per nostra fortuna non è avanzato”. Ma restiamo vigili.

In questi giorni mi sono letto due classatori di articoli di giornale. Ho trovato passi illuminanti, come quello di Argante Righetti, all’indomani della vittoria: «Per volontà delle cittadine e dei cittadini il pensiero di Stefano Franscini con i suoi valori vive e vivrà ancora in Ticino. La pubblica istruzione resta il primo e il più alto dovere dello Stato».

Ho però anche trovato dichiarazioni e opinioni di chi, allora come oggi, difendeva il finanziamento pubblico delle scuole private. Ancora poco prima del voto qualcuno scriveva: «Nelle scuderie dei partiti si respira la paura della sconfitta, poiché molti lo sanno ma pochi lo dicono, vincere o perdere questa votazione potrebbe significare legittimare definitivamente il nuovo che avanza oppure “dopare” ancora un po’ il vecchio che non se ne vuole andare». Il nuovo che avanza era in generale il liberismo che ha quasi fatto fallire l’UBS e provocato l’ultima pesante crisi economica, in Ticino era l’indebolimento della scuola pubblica, la privatizzazione di Banca Stato e AET e l’investimento flop della Thermoselect.

Io me ne vado, senza dover esser dopato, ma spero proprio che con me non se ne vadano anche quei valori e quegli ideali per i quali, da Stefano Franscini ad oggi, in molti si sono battuti per avere in Ticino una scuola pubblica che altri Paesi ci invidiano.

Vi ringrazio per l’attenzione.

jordan 6 black infrared coach black friday jordan 6 black infrared jordan 13 barons jordan 11 legend blue jordan 11 legend blue legend blue 11s jordan 13 bred jordan 6 black infrared black infrared 6s michael kors black friday louis vuitton outlet beats by dre black friday michael kors black friday the north face black friday hologram 13s jordan 11 legend blue black infrared 6s north face black friday north face black friday north face cyber monday jordan retro 6 coach black friday jordan 11 legend blue beats by dre cyber Monday deals louis vuitton outlet black infrared 6s coach black friday black infrared 23 13s michael kors black friday jordan 11 legend blue louis vuitton outlet sac louis vuitton jordan 11 legend blue beats by dre cheap jordan 13 hologram beats by dre outlet uggs cyber monday cheap jordans barons 13s