Il cantone Ticino ha istituito la scuola pubblica subito e in fretta, ma l’ha costruita adagio, in modo progressivo e a tappe.
Anzi, il cantiere è sempre aperto perché lavora in un contesto economico politico sociale e culturale in costante mutazione.
La prima legge sulla scuola è del 1804. Brevissima e laconica, si limitava a stabilire quanto segue: in ogni comune ci sarà una scuola elementare (dove si insegnerà almeno a leggere, scrivere e i principi di aritmetica), la scuola sarà affidata ai parroci, cappellani o altre persone capaci e probe, i genitori saranno obbligati a mandarvi i figli, i comuni multeranno i negligenti o refrattari.
Il governo aveva proposto un articolo in più che recitava: passati cinque anni nessuno sarà ammesso alla cittadinanza attiva se non saprà leggere e scrivere. Fu stralciato perché la sua applicazione avrebbe creato troppi vuoti nel corpo elettorale.
Le leggi dei primi tempi faticano a imporsi nel cantone, e questa rimane ampiamente inapplicata: lo stato propone, ma sono i comuni a disporre. Eppure è un importante atto fondatore perché afferma con chiarezza la sovranità e la responsabilità dello stato sull’istruzione; afferma il diritto all’istruzione per tutti; afferma il dovere di usufruire dell’istruzione, negando il diritto all’ignoranza; ed è importante che il governo abbia voluto affermare la funzione civica della scuola pubblica. Partiamo da questo principio rimasto sullo sfondo.1. Scuola e cittadinanza.
Le autorità politiche legano da subito il buon funzionamento delle istituzioni democratiche all’istruzione impartita a tutti.
Se il suddito diventa un cittadino, se si emancipa dalla minorità politica, necessita di istruzione per esercitare i propri diritti e i propri doveri. La scuola pubblica è dunque funzionale alla democrazia, e se la democrazia vacilla, la scuola pubblica trema.
Ma c’è di più: la formazione civica apre la strada all’educazione nazionale. Nel corso dell’Ottocento la scuola riceverà il compito non solo di fornire agli allievi gli strumenti intellettuali per l’esercizio consapevole della cittadinanza, ma anche di educare i giovani a riconoscersi in una comunità politica.
L’Ottocento è l’epoca delle aspirazioni nazionali, della formazione degli stati nazionali e poi dei nazionalismi. Anche nel Ticino si chiederà alla scuola pubblica di introdurre i giovani ai valori civici comunitari, di suscitare l’amor di patria, di formare la coscienza nazionale: nei programmi entra così l’insegnamento della storia patria accanto a quello – già presente – della storia sacra. E poi si allargheranno gli orizzonti alla storia della civiltà occidentale e alla storia universale.
Con la storia e la civica la scuola pubblica si fa dispensatrice di valori politici. Un insegnamento non considerato necessario alla vita materiale, a lungo esclusa dai programmi, ora assume una funzione delicata, entrerà presto al centro di polemiche e contese: sarà temuto dai regimi antidemocratici, che preferiscono escludere lo studio della storia recente, oppure imporne una versione manipolata, come dimostrano i loro manuali.2. Scuola per tutti.
La scuola pubblica vuole essere una scuola aperta a tutti, che accoglie e include e non che rifiuta ed esclude, che integra e non che separa. Ma chi erano gli esclusi nel Ticino dell’Ottocento?
All’inizio del secolo gli esclusi erano prima di tutto le femmine, cioè metà della popolazione scolastica potenziale. La prima legge che aveva obbligato ambiguamente i figli, escludeva forse le figlie? Le inchieste fatte all’epoca ci dicono che fino alla metà dell’Ottocento la presenza femminile nelle scuole era eccezionale e occasionale. Ecco perché la seconda legge scolastica cantonale, pubblicata nel 1831, parla in modo esplicito di pubblica istruzione, e stabilisce che deve essere impartita ad ambidue i sessi. Ma poi tra gli esclusi troviamo i non patrizi e i forestieri respinti dalle scuole aperte dai patrizi solo per i loro figli.
Esclusi sono infine i figli dei più poveri fino a quando si chiede alle famiglie di pagare i libri e una minima tassa a favore del maestro. La scuola pubblica sarà così costretta a diventare gratuita. Ma se è gratuita potrà essere obbligatoria.3. Scuola obbligatoria
Nel 1804 l’obbligo scolastico fu enunciato come un obiettivo. Per tutto l’Ottocento la scuola pubblica ticinese dovette infatti confrontarsi con alti tassi di assenteismo perché l’obbligo scolastico metteva in concorrenza, anzi in conflitto, la scuola con il lavoro infantile. Proponeva ai genitori di investire sulla formazione dei figli, piuttosto che di trarre un utile immediato dal lavoro minorile, e la scelta tra opportunità future e necessità presenti non era facile.
L’obbligo scolastico fu chiaramente definito solo dalla terza legge sulla scuola. Il codice scolastico del 1864 stabilì finalmente che la scuola era obbligatoria per i due sessi dal sesto al quattordicesimo anno d’età, con minime possibilità di deroga.
Ma la contesa tra scuola e lavoro non si chiuse a questa data. Pochi anni dopo infatti si fece marcia indietro: un decreto generalizzò la possibilità di lasciare la scuola a dodici anni. E quando la legislazione federale nel 1877 proibì il lavoro infantile prima dei quattordici anni compiuti, il Ticino chiese deroghe per impiegare ancora nelle fabbriche bambini dodicenni, e mantenne questo triste privilegio fino alle soglie del Novecento.4. Scuola laica
La scuola pubblica ticinese non è nata laica: non poteva essere laica perché il corpo insegnante era formato in massima parte da ecclesiastici; e non voleva essere laica, perché il popolo si riconosceva nella fede cattolica come essenziale impronta identitaria. Il primo articolo della costituzione liberale del 1830 era esplicito. Dichiarava: “La religione cattolica apostolica romana è la religione del cantone”, fu mantenuto inalterato per più di un secolo, e un diverso principio fondatore fu enunciato solo con la costituzione del 1979: “Il cantone Ticino è una repubblica democratica di lingua italiana”.
La scuola ticinese diventa laica nella seconda metà dell’Ottocento, nel confronto sempre più serrato tra stato e chiesa per la definizione dei reciproci confini, nel confronto tra scienza e fede (o tra modernità e tradizione), e diventa laica nel contesto della mobilità delle persone. Di fronte alle prime avvisaglie di questi cambiamenti Vincenzo Dalberti aveva pronosticato: “I preti e i frati predicheranno nelle chiese: gli increduli, i dissoluti predicheranno nelle scuole e nei giornali”.
La libertà di domicilio è garantita dalla costituzione federale del 1848, ma nel Ticino ci fu chi si temette che “un protestante, un ebreo, un assassino” avrebbe potuto diventare cittadini del cantone. La mobilità delle persone fu facilitata dalla rivoluzione ferroviaria di fine secolo, e smentì le fosche previsioni sull’invasione di dissoluti e assassini.
La scuola pubblica e la sua laicità sono però state definite nel modo più completo non dal cantone, ma dalla costituzione federale del 1874. L’articolo 27 recita:
“I cantoni provvedono per una istruzione primaria sufficiente, la quale deve essere esclusivamente sotto la direzione del potere civile. La medesima è obbligatoria e nelle scuole pubbliche gratuita.
Le scuole pubbliche devono potere essere frequentate dagli attinenti di tutte le confessioni senza pregiudizio della loro libertà di credenza e di coscienza.”
La laicità della scuola discende dunque da una necessità di accoglienza nella società civile e nella cittadinanza, e da un’esigenza di libertà nella conoscenza: è la libertà del metodo scientifico che nella scuola trova il suo momento introduttivo, il primo terreno d’esercitazione.5. Istruzione pubblica sufficiente
La costituzione federale prescrive un’istruzione primaria sufficiente. Cosa significa? Si pone un criterio di quantità e anche di qualità. Si chiede una scuola efficace e aggiornata, e si autorizza la misurazione delle prestazioni.
La misurazione della sufficienza è stata fatta a lungo solo sulla popolazione scolastica maschile con gli esami pedagogici delle reclute, istituiti all’epoca dai cantoni e dallo stato federale.
L’attenzione all’efficacia apre poi le porte alla innovazione pedagogica e alle scienze dell’educazione che irrompono a fine secolo anche nella scuola ticinese.6. I nodi da sciogliere
La scuola pubblica ticinese opera in un piccolo mondo coinvolto in un più grande movimento e deve affrontare vecchie e nuove sfide. Come può mantenere la sua funzione di accoglienza e integrazione, se l’aula scolastica diventa una babele e se la società tende a respingere gli ultimi arrivati, e a emarginare gli estranei in ghetti scolastici? Come terrà fede alla sua funzione democratica, se aumentano le richieste per esclusivi curricoli d’eccellenza a favore di nuove aristocrazie? Come saprà conciliare i suoi compiti educativi - e non strettamente utilitari - con le richieste pressanti del mondo economico? Cosa risponde ai memoriali di Economiesuisse? Come promuoverà un comune patrimonio di identità culturale laica, aperta, ecumenica, di fronte alla pluralità di culture, e davanti alle rivendicazioni separatrici di gruppi e movimenti religiosi? Le sfide dell’integralismo islamico non sono l’unica insidia (si pensi alle sette che negano le acquisizioni della scienza), sono solo la più palese. Come coniugherà la relazione tra pubblico e privato, tra stato e società civile? Cosa farà per evitare la frammentazione della società e la privatizzazione della cosa pubblica? I quesiti sono molti, facciamone un elenco e discutiamo.