ANCHE L'OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE
Massimiliano Ay, segretario politico del Partito comunista
Corriere del Ticino, 24 agosto 2012La mia esperienza come sindacalista studentesco mi ha permesso di costatare il ritorno con prepotenza del problema della selezione nella scuola. Una selezione basata sull'origine sociale degli allievi, che mette in discussione tutte le belle parole su diritto allo studio e uguaglianza di possibilità. Ricordo bene come, ad esempio, nel 2003, il ministro dell'educazione del Canton Zurigo si lamentasse del fatto che le università fossero diventate «di massa» e per questo perorava la causa (palesemente classista) non solo dei tagli alle borse di studio, ma anche del raddoppio delle rette d'iscrizione (intenti frenati parzialmente anche grazie allo sciopero e all'occupazione studentesca dell'ateneo). Dopo che nel 1958 una riforma volta all'organizzazione di una scuola media unica era stata bocciata in sede parlamentare perché troppo costosa (!), a metà degli anni '70 anche il Ticino poté contare su una struttura che avesse per obiettivo quello di «assicurare, soprattutto ai ceti meno privilegiati, una formazione culturale più ampia e un corredo di conoscenze più ricco di quello dato alla scuola maggiore; (...) posticipare le scelte d'orientamento a un'età più avanzata; (…) in funzione delle reali attitudini, senza discriminazioni d'origine sociale o ambientale» (dal messaggio del Consiglio di Stato del 2.7.1985 concernente la modificazione della Legge sulla scuola media del 21.10.1974). Storicamente, però, lo sviluppo della scuola media non ha mai visto una fase realmente unitaria: benché si fosse superata la divisione Ginnasio/Scuola Maggiore, la nuova scuola media unica non era poi tanto unica: essa era divisa in due sezioni A e B. Inutile dire che la sezione B era sinonimo di avviamento professionale mentre la sezione A si configurava «come scuola per allievi di capacità scolastiche medie e superiori». Da notare come il governo definisse la «sezione» proprio come fosse una «scuola» a sé! Col passare del tempo si preferì sostituire le sezioni con un nuovo sistema a livelli, in quanto «sul piano dell'affettività e della socializzazione è più difficile rendersi conto degli effetti della nuova struttura unificata. Sta di fatto che gli allievi possono trascorrere questo fondamentale periodo, in cui passano dallo stato di bambino allo stato di adolescente, tutti insieme, con possibilità di scambi e di stimolazioni reciproche. Le sezioni A e B costituiscono una limitazione di questo principio (...)». La nuova organizzazione a livelli, essendo limitata a tre (poi due) materie sarebbe stata vissuta «in modo meno negativo (…) permettendo una ripartizione più equilibrata (anche se contemporaneamente più selettiva) degli allievi tra i diversi curricoli». Ma se cambia la forma non muta la sostanza: non si era di fronte a corsi differenziali (cui alludeva don Lorenzo Milani) in cui i più «deboli» potessero essere seguiti meglio grazie a classi con un numero di allievi inferiore e un rapporto pedagogico più diretto, ma che - dato fondamentale - portassero comunque ad un risultato finale comune. Si era al contrario di fronte ad un'ulteriore discriminazione sociale, tant'è vero che in uno studio longitudinale di Mario Donati (1999) si riconosce come la frequenza dei livelli rappresenti una ulteriore zona «in cui si alimentano differenziazioni fra allievi di nazionalità diversa e/o di origine sociale pure diversa». Di conseguenza si incanalano 12.-14.enni verso studi superiori o verso apprendistati non in base ad un presunto «merito», ma lasciando che le condizioni socioeconomiche familiari costituiscano forti fattori di influenza. A riconoscerlo è pure l'Organizzazione Mondiale del Commercio (non proprio una fonte comunista!): «Le differenti prestazioni scolastiche fra gli allievi sono determinate dalle loro diverse origini sociali». Insomma: una scuola che al posto di fungere da mezzo di emancipazione sociale, si consolida come strumento di riproduzione della stratificazione di classe della società. Benissimo hanno fatto quindi i Verdi a proporre di abolire i livelli alle scuole medie, riprendendo e rafforzando così la rivendicazione del 2003 del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA). Per il Partito Comunista si tratta di una proposta di civiltà, di giustizia sociale e che permette una riflessione per una nuova pedagogia critica.
RICETTE PSEUDOEGUALITARIE PER LA FORMAZIONE IN TICINO
Maurizio Agustoni
Corriere del Ticino, 9 agosto 2012Nei giorni scorsi hanno suscitato qualche polemica le dichiarazioni del nuovo rettore del Politecnico federale di Zurigo (ETH) Lino Guzzella in merito al prospettato aumento (raddoppio) delle tasse di iscrizione. Il tema non è secondario, dato che in gioco vi è il diritto allo studio. Credo che ogni cittadino debba avere l'opportunità di ricevere una formazione universitaria, indipendentemente dalle sue condizioni economiche. Un sistema formativo che seleziona gli studenti in base al reddito (dei famigliari) è socialmente iniquo e, anche da un profilo della qualità, poco razionale. Ciò premesso, i costi che deve sostenere un'università sono sempre maggiori, per cui la tematica del finanziamento - presto o tardi - dovrà essere esaminata. La strada più sostenibile mi sembra quella di un potenziamento dei prestiti di studio da parte dei Cantoni.
Il nuovo rettore non si è però limitato a parlare di costi, ma si è espresso con chiarezza anche sulla qualità della formazione in Svizzera (cfr. la NZZ del 29 luglio). Il prof. Guzzella ha in particolare lamentato un certo degrado, constatato negli ultimi anni, nelle competenze dei liceali, specialmente per quanto riguarda le materie scientifiche. In pratica, il liceo, forse perché divenuto meno esigente, non è più in grado di preparare adeguatamente i giovani svizzeri al mondo universitario. Per un paese come la Svizzera, che deve investire innanzitutto sull'innovazione e sulla qualità dei propri prodotti, il grido d'allarme del rettore dell'ETH - la principale istituzione scientifico-formativa svizzera - deve suscitare qualche preoccupazione.
La Svizzera, soprattutto in un contesto globalizzato che ci mette in concorrenza con tutto il mondo, non può permettersi défaillance in ambito tecnico e scientifico perché ciò vorrebbe dire perdere una parte considerevole della nostra competitività. In questi mesi in Ticino si è discusso, in modo anche un po' ideologico, a proposito dei livelli alle scuole medie. I sostenitori dell'abolizione dei livelli - partito dei Verdi in primis - hanno criticato l'importanza dirimente attribuita alla matematica e al tedesco. In sostanza, la tesi sostenuta è che tutti - (più o meno) a prescindere da quello che hanno dimostrato alle scuole medie - devono avere il diritto di (provare a) frequentare il liceo. La nostra società appare purtroppo abbastanza permeabile a questo tipo di prospettiva. Anche perché il messaggio veicolato - magari inconsapevolmente e involontariamente - da media, politici, scuola, orientatori scolastici, eccetera è che solo il liceo può garantire un futuro professionale dignitoso.
Il monito del prof. Guzzella, in un certo senso, è la contropartita di questo approccio quasi fiabesco alla formazione. Se la Svizzera vuole continuare a garantire un certo benessere per i propri cittadini, non può permettersi di regredire nella qualità della formazione, soprattutto in ambito scientifico dove i progressi sono in continuo movimento. L'assottigliamento dei criteri di accesso alle scuole medie superiori (liceo, scuola cantonale di commercio) costituirebbe quindi un irresponsabile passo indietro nel cammino che il nostro Paese deve affrontare se vuole mantenere la sua posizione di forza in ambito mondiale. D'altro canto, occorre ribadire - una volta di più - che il panorama formativo svizzero non si riduce al liceo e alle università. Soprattutto in questi anni si sono sviluppate molte istituzioni formative professionali che, magari svolte anche (parzialmente) durante il lavoro, consentono di acquisire conoscenze e competenze di alto livello, altrettanto necessarie allo sviluppo del nostro Paese.
Insomma: la Svizzera non ha bisogno solo di ingegneri, biologi o chimici, ma di ogni sorta di professionalità, nei servizi, nell'artigianato, nell'agricoltura e nell'industria. È tuttavia necessario che ciascuno di questi professionisti abbia l'opportunità di formarsi al più alto livello possibile nel proprio campo. La ricetta (fintamente) egualitaria che ci prospettano i fautori di un sistema formativo inclusivo fino al parossismo è il peggior servizio che si possa rendere alla formazione del nostro Paese. Il mio auspicio è che la discussione politica sul futuro della formazione in Ticino possa tenere debitamente conto di questa realtà e dei messaggi che giungono dai nostri atenei.
SCUOLA MEDIA, LIVELLI E SELEZIONE SOCIALE
Aris Della Fontana, coordinatore gioventù comunista
Corriere del Ticino, 20 luglio 2012Per effettuare un'analisi complessiva sul significato e le conseguenze dei livelli nelle scuole medie dobbiamo considerare la questione relativa alla selezione sociale. In uno studio di Mario Donati del 1999 si evidenziava come la scelta dei livelli non fosse del tutto basata su una questione di «attitudine» quanto di origine sociale. Ciò appare abbastanza logico, essendo i livelli un fattore importante che consente o meno ad un ragazzo di accedere agli studi superiori: «Mentre le scuole medie superiori attingono a piene mani nelle fasce sociali elevate e in quelle medie, le formazioni con apprendistato reclutano una grossa fetta dei loro utenti ai piani inferiori della composizione sociale della popolazione». I ragazzi sono separati in corsi diseguali che portano a risultati diseguali; i livelli possono configurarsi come il primo stadio concreto relativo alla selezione sociale, che poi assume tutta la sua valenza con la fine della quarta media e la scelta del proprio futuro scolastico. E poiché le scuole medie superiori (e particolarmente il liceo) sono il trampolino di lancio verso l'università, la dinamica e la composizione sociale di questa realtà è similare: «Ci vogliono un po' meno di tre allievi di classe sociale superiore alla scuola media per ottenerne uno all'università cinque anni dopo. Ne devono partire invece circa 8 di classe sociale media per averne uno all'università, mentre ce ne vogliono 17 (quasi una classe!) di origine sociale inferiore per ritrovarne uno all'università».
Questa situazione è stata confermata nel 2007, quando si evidenziò il legame a filo doppio che sussiste tra origine sociale ed origine etnica. Il Dipartimento educazione cultura e sport (DECS) ammise cifre inquietanti circa la selettività che colpiva i ragazzi di origine straniera al termine della quarta media: «Dei circa 400 allievi spagnoli che terminano la quarta media, solo 51 li ritroviamo al liceo; dei circa 50 allievi turchi al termine dell'obbligo scolastico, continuano gli studi solo in 7». Più che l'origine nazionale in tale occasione era la condizione socioeconomica familiare a influenzare la scelta di continuare gli studi. Questi dati empirici mettono in discussione la credenza per cui la nostra sia una società in cui il diritto allo studio è garantito e dove chiunque può continuare gli studi senza difficoltà, basta che si applichi. Deve essere inoltre smentito l'assunto per cui le differenze di classe non esisterebbero più nella società occidentale e, semmai, continuerebbero ad esistere solo minime disuguaglianze sociali dovute anche alle diverse «attitudini» individuali.
Il programma scolastico richiede vari elementi di partenza che non sono in sé discriminatori, ma che lo diventano quando non tutti gli allievi ne possono disporre. Si sottintende - sbagliando - che tutti i bambini abbiano a casa un quotidiano, che possano prendere del materiale didattico da casa, che i genitori siano al corrente del funzionamento scolastico e che abbiano un'istruzione adatta per seguire il progredire dei figli nell'apprendimento. È peraltro evidente come studenti di classi sociali agiate abbiano dietro di sé una famiglia che trasmette loro determinate conoscenze, valori, atteggiamenti in relazione alla cultura.
Tutto ciò influenza il profitto scolastico. Un bambino, come spiega lo psicopedagogista Giovanni Galli, che cresce in un ambiente dove la lettura di libri è vista come una normale attività ha certamente dei vantaggi. I bambini che provengono invece da famiglie socioeconomicamente sfavorite hanno maggior bisogno di accoglienza nel sistema scolastico, ma tuttora non sono sviluppate strutture che permettono ad essi di effettuare un percorso educativo con le stesse possibilità rispetto agli altri ragazzi. Gli allievi provenienti da un contesto diverso, che non padroneggiano perfettamente la lingua e che hanno interiorizzati norme culturali diverse, devono essere seguiti con professionalità per scongiurarne l'esclusione, la mancanza di partecipazione, sia in classe, che all'esterno: tutto ciò in un prossimo futuro potrà avere ripercussioni sul relazionarsi con la società e ne accrescerà la marginalità. In tal senso la questione del disagio giovanile (come conseguenza di fattori sociali) va compresa per stroncarla dalle fondamenta, potenziando il sostegno pedagogico e costituendo servizi di sostegno sociale in tutte le scuole.
I contrari all'abolizione dei livelli non ritengono problematica una selezione sociale avente inizio all'età di 12 anni, che può compromettere la condizione socio-economica di una persona nel periodo adulto. Essi sostengono che in una scuola media «unica» gli allievi «più deboli» verrebbero trainati «verso risultati utopici». La terminologia ne rivela l'idea di fondo: gli allievi più deboli sono un peso. I programmi di matematica e tedesco nelle scuole medie, invece, non sono una meta raggiungibile solo da alcuni, i loro obiettivi sono alla portata di tutti. Naturalmente la scuola deve creare le condizioni necessarie affinché ognuno riesca a raggiungerli. Queste non sono la separazione degli allievi in classi distinte a due velocità, bensì la creazione di classi dove i «più deboli» possano beneficiare dell'aiuto degli altri. Si creerebbe così quel rapporto di collaborazione ed aiuto reciproco che sta alla base di una vera pedagogia e di una vera didattica, già anticipata da Stefano Franscini. Bisogna marciare con piccoli passi per colmare gli aspetti derivanti da una provenienza sociale penalizzante: la riduzione del numero di allievi per classe, l'incremento del numero d'insegnanti, la statalizzazione di certi servizi para-scolastici e l'introduzione di recuperi e dopo-scuola. Sarà tuttavia fattibile pensare ad una democrazia sostanziale nella scuola solo nell'ambito di un complessivo programma politico volto alla trasformazione sociale poiché la scuola non può essere l'unico strumento per creare uguaglianza senza che parallelamente vi sia un cambiamento all'interno della realtà politica e lavorativa: occorre migliorare anche le condizioni socio-economiche delle famiglie affinché i figli possano realmente, senza penalizzazioni, determinare il loro futuro.
LIVELLI A E B, L’APERTURA C’È, MA NON LA SI VUOL VEDERE
Flaviano Nicola, vicepresidente distrettuale Glrt Locarno e Vallemaggia
Corriere del Ticino, 2 luglio 2012La lettera della granconsigliera verde Claudia Crivelli Barella, recentemente pubblicata su TicinoLibero.ch , che esprime disappunto riguardo alla presa di posizione di Glrt circa l’iniziativa per l’abolizione dei livelli nel secondo ciclo della scuola media mi lascia manifestamente perplesso. La signora Crivelli Barella non si è forse resa conto che Glrt nella forma dello scritto firmato dal presidente Giovanni Poloni non si esprime assolutamente in direzione di una privazione di merito della proposta dei Verdi, tutt’altro. Com’è stato manifestato con parole molto chiare nella lettera di Poloni, questa iniziativa ha il pregio di rilanciare pubblicamente un dibattito che si era malauguratamente arenato.
Diverso è invece l’atteggiamento verso il contenuto dell’iniziativa. Glrt non intende supportare una proposta semplicistica senza che vi sia un dibattito aperto, che è più che disposto ad intrattenere, anzi, che proponeva già con il precedente scritto, contrariamente a quanto espresso dalla granconsigliera.
Soluzioni minimaliste atte a ridurre al minimo la complessità di oggetti e procedure è uno stile sicuramente vincente nel design, non lo è invece in politica, dove la strada più breve è spesso anche quella che porta a problematiche successive. Non voglio invece entrare nel merito delle presuntuose affermazioni che ci vengono rivolte riguardo alle fantomatiche motivazioni di provenienza di classe che ci porterebbero a sostenere lo status quo, e le accuse di non capire che il mondo è cambiato. Cara signora Crivelli Barella, forse è lei che non ha capito che il mondo è cambiato, e che rappresentare i giovani in un movimento che si rifà a un partito storico che in passato ha difeso gli interessi di determinate classi sociali non significa esserne influenzati o avere una visione mediata.
Glrt è autonomo rispetto al partito, come spesso ha manifestato con idee divergenti da esso, ed è libero da vincoli legati a ideologie classiste, al contrario di come lei sembra invece convinta, non si sa se per superficialità o malafede.
Mi lasci inoltre dire che la difesa della responsabilità individuale e delle varie individualità nonché libertà sono già, con il sistema attuale a livelli, garantite. Non vedo quindi come menzionare questi fondamenti democratici possa in alcun modo sostenere la sua tesi sull’obsolescenza dello status quo.
Come membro di Glrt desidero un dibattito scevro da idee pregiudiziali che invece traspaiono proprio da coloro che vi si ergono contro, come ha purtroppo dimostrato con il suo scritto. Vogliamo un dibattito che coinvolga non solo fazioni politiche, ma anche i giovani che saranno poi direttamente toccati dalle scelte operate e di quelli che hanno invece già terminato il ciclo di studi, che possiedono quindi un feedback diretto.
Termino facendole notare, stimata granconsigliera, che colui che scrive ha attraversato il percorso della scolarità obbligatoria frequentando entrambe le materie in livelli B. Assolutamente senza che si sia sentito discriminato durante o dopo. Né per questioni prettamente personali, riguardanti la denominazione non attitudinale, né per difficoltà nell’inserimento professionale, contrariamente a ciò che sosterrebbero i patrocinatori dell’iniziativa.
ABOLIRE I LIVELLI A E B UN AUTOGOL PER TUTTI
Sinue Bernasconi, Tremona
Corriere del Ticino, 2 luglio 2012Abolire i livelli A e B nel secondo ciclo delle Scuole Medie equivarrebbe a diminuire la qualità e l'efficacia dell'insegnamento, fatto preoccupante se diamo un'occhiata ai risultati PISA del 2009, dove il nostro Cantone si situa in ultima posizione comparato agli altri 11 Cantoni che hanno preso parte allo studio, con una media significativamente inferiore a quella nazionale. Oltre a questo fatto, che di per sé dovrebbe già far riflettere i promotori dell'iniziativa, vi è la constatazione evidente che un tale cambiamento non risolverebbe il problema della «predestinazione» scolastica e lavorativa dettata dalle condizioni socioeconomiche familiari degli allievi tanto additata dai Verdi. Infatti, se una famiglia necessita del contributo economico dei propri figli non sarà certo abolendo i livelli A e B che quest'ultime opteranno, o piuttosto avranno i mezzi finanziari, per spingere i propri figli ad intraprendere degli studi superiori. In altre parole, non è creando delle classi unitarie che cambierà la condizione economica delle famiglie, né tantomeno la loro posizione sociale. Credo che tutti si siano accorti che spesso le scelte scolastiche e lavorative degli studenti che terminano la scuola dell'obbligo siano dettate non solo dalle inclinazioni e dalle aspirazioni dei ragazzi ma da necessità più impellenti e vitali. Proprio in questo senso si sta lavorando per consentire alle famiglie provenienti da un ceto medio-basso di permettere ai propri figli di proseguire il proprio iter scolastico, indipendentemente dalla condizione socio-economica familiare. Penso ad esempio all'innalzamento, a partire dall'anno scolastico 2012-2013, dell'importo massimo delle borse di studio (da 13 a 16mila franchi) fortemente sostenuto da GLRT con una petizione nel corso del 2010. Come se non bastasse un tale cambiamento intaccherebbe non solo la qualità dell'insegnamento, dovuta alla presenza di allievi con problemi d'apprendimento e/o comportamentali, bensì pregiudicherebbe anche la condizione psicologica di tutte le parti prese in causa: gli insegnanti e gli allievi. I primi si ritroverebbero a cercare di governare delle classi amorfe, chiassose e troppo eterogenee per poter proporre une programma scolastico che si addica a tutti. Abolire i livelli A e B porrebbe i docenti delle Scuole Medie innanzi ad une vera e propria mission impossible, soprattutto se pensiamo che già con la divisione in livelli spesso risulta assai arduo per gl'insegnanti trovare il giusto equilibrio tra performances richieste e le capacità reali della classe poiché, nonostante la divisione in livelli A e B, sussiste un'importante eterogeneità intra-classe. Togliere i livelli significherebbe dunque complicare l'operato degli insegnanti i quali, di fronte a delle vere e proprie «classi minestrone». Di fronte a un tale scenario, l'insegnante non potrebbe far altro che porsi la fatidica domanda: non lasciare indietro nessuno oppure procedere col programma prefissato ed «infischiarsene» dei più deboli? Nella prima eventualità gli studenti che oggi frequentano i livelli A si troverebbero in una classe che procede arrancando, trainando chi incontra qualche difficoltà d'apprendimento in più, i «casinisti» o semplicemente chi non ha voglia di fare. Gli allievi più dotati verrebbero quindi demotivati e penalizzati dal ritmo blando a cui la classe procede, ben al di sotto delle loro capacità e aspettative. Nel caso in cui l'insegnante opti per la seconda opzione gli allievi ch'oggigiorno seguono i livelli B si ritroverebbero totalmente fuori luogo, spaesati, in una classe che procede ad un ritmo che non possono, per svariati motivi, reggere e ch'è costretta - insegnante compreso - ad ignorarli, se non addirittura a segregarli, in nome del bene comune. Gli studenti del livello B sarebbero dunque ancor più demotivati, forzati a passare le giornate in un ambiente che li è, volente o nolente, ostile ed estraneo, che li rigetta a causa della loro debolezza scolastica. Pedagogicamente parlando, ciò avrebbe delle pesanti ripercussioni sull'autostima e sulla motivazione di questi allievi. In definitiva, delle classi unitarie non permetterebbero agli allievi più deboli di valorizzarsi, di gratificarsi e di beneficiare di un ritmo d'insegnamento consono alle proprie capacità, ciò che è attualmente reso possibile grazie alla divisione in livelli A e B. È mia convinzione che la divisione in livelli debba dunque restare, poiché presenta più benefici che lati negativi sia per gl'insegnanti che per gl'allievi. Inoltre, come già ben sottolineato dalla docente liceale Fanny Merker sul CdT del 31 maggio 2012, i livelli B non precludono la strada agli studi superiori (esame d'ammissione), ma è altresì vero che un malessere a livello di Scuole Medie (e non solo) sussiste: urge fare una diagnosi accurata, non sconclusionata. Come sopperire dunque ai problemi dell'immaturità e della predestinazione lavorativa dei giovani che s'apprestano a terminare le Scuole Medie? Non certo abolendo i livelli A e B, che contribuiscono a migliorare il livello dell'insegnamento ed a premiare il maggior numero di allievi (ed insegnanti) possibile, quanto piuttosto rafforzando e stimolando la conoscenza del mondo scolastico - oltre che accademico e professionale - degli allievi, introducendoli in modo adeguato a ciò che li attenderà in futuro e parallelamente fornendo un aiuto concreto alle famiglie meno abbienti i cui figli desiderano continuare il proprio cammino post scuola dell'obbligo. Diversi sarebbero gli accorgimenti per migliorare tale aspetto: introdurre delle «lezioni», se non settimanali almeno ad intervalli regolari - nell'ordine di una al mese magari sfruttando la famosa «ora di classe», dove si spieghi e si discuta con gli allievi su cosa comporti realmente effettuare degli studi superiori. Una seconda miglioria al sistema scolastico consisterebbe nell'introdurre l'opportunità di conoscere con mano qualche mestiere, introducendo dunque dei periodi di stage obbligatori già in terza e quarta Media, ciò che permetterebbe senz'altro ai nostri giovani di «maturare» e di avere uno sguardo il più completo e veritiero possibile sul futuro che li si prospetta innanzi. In quanto ad aiuti finanziari già si è fatto molto se pensiamo ai vari aiuti materiali che offrono Cantone ed associazioni private, e ciò già dalle scuole elementari! In quanto ad aiuto allo studio in Ticino siamo molto fortunati considerando che il nostro Cantone investirà l'anno venturo 20 milioni di franchi solo in borse di studio, delle quali potranno beneficiare migliaia di studenti domiciliati in Ticino. Inoltre, da quest'anno entra in vigore il nuovo modello d'attribuzione delle borse di studio che permetterà di aiutare coloro che veramente necessitano di una sostegno economica. Detto ciò, di aiuti concreti in Ticino ne esistono e bisogna farvi appello allorquando ve ne sia bisogno. Se poi per orgoglio o a causa di una mentalità arcaica alcune famiglie spingono i propri figli a lavorare ad ogni costo dopo la scuola dell'obbligo è un'altra storia. Bisognerebbe in tal senso coinvolgere ed informare anche le famiglie su cosa significhi dare la possibilità di studiare ai propri figli, rendendoli attenti ai benefici a lungo termine di un tale percorso, considerandolo come un investimento e non un'inutile perdita di denaro. Degli sforzi in tal senso permetterebbero di sensibilizzare le mentalità più coriacee, limitando il fenomeno di riproduzione socio-culturale del mestiere. Mi dichiaro quindi fermamente contro l'iniziativa masochista dei Verdi, che se non altro ha il merito di aver messo in luce i sintomi di un malessere a livello di Scuole Medie nel nostro Cantone.
UN CIRCOLO VIZIOSO DI DISCRIMINAZIONE
Oliviero Farinelli, Giovani MPS, Comano
Corriere del Ticino, 23 giugno 2012Questo testo vuole essere una parziale risposta alla presa di posizione dei Giovani Liberali tramite il loro presidente Giovanni Poloni apparsa sul CdT il 18.06.12. Un circolo vizioso di discriminazione: i livelli A e B nella scuola media. La scuola ticinese prevede a partire dalla seconda media per le lezioni di tedesco e matematica i livelli attitudinali (A) e Base (B). In linea teorica gli allievi meno dotati e con maggiori difficoltà seguono i corsi B. Un alunno può finire suo malgrado relegato ad un corso B magari per una difficoltà solo momentanea od una lacuna che ne pregiudica i risultati e che lo demoralizza allontanandolo ulteriormente dallo studio di tale materia. Ovviamente si può rompere questo circolo vizioso colmando le carenze oppure sostenendo degli esami (come quelli per accedere alle scuole medie superiori per coloro che non hanno la media o/ed i corsi A), però questo richiede un sostegno esterno che può giungere dai famigliari (se hanno tempo e studiato) oppure (nella stragrande maggioranza dei casi) da costose lezioni private che i nuclei finanziariamente più deboli difficilmente possono permettersi. Diventano dunque palesi i meccanismi della penalizzazione in funzione del ceto di provenienza. Se c'è quindi un difetto ideologico sta proprio nel voler applicare i dogmi del liberalismo (che tra l'altro prevedrebbero che tutti partano da una condizione di nonprivilegio) in un sistema che è estremamente basato sulla disuguaglianza economica e le conseguenti discriminazioni sociali. Basta dare un rapido sguardo ad i dati forniti dal Cantone («la scuola in cifre 2010») per osservare che dopo la seconda media solo il 30% degli allievi delle classi sociali più svantaggiate frequenta due corsi A, contro il 56% delle classi medie ed l'83% delle classe più benestanti oppure i tassi di accesso alle scuole medie superiori il 16% per i più poveri, il 37% per la classe media ed il 70% per i più ricchi. Se questo non è un chiaro ed inequivocabile segnale di discriminazione mi è difficile immaginarne un altro. Senza contare che il tasso di popolazione straniera è superiore proprio tra i ceti meno abbienti e che appunto questi allievi non di rado non hanno quale lingua madre l'italiano (e dunque gran parte delle loro difficoltà d'apprendimento dipendono dal filtro linguistico). Essi hanno maggiore probabilità di finire nei corsi B e qui arenarsi creando all'interno della scuola stessa una ghettizzazione di fatto. Inoltre i corsi B hanno un programma meno intenso ed approfondito dei corsi A. Semplicemente è ridicolo pensare che confinando gli allievi con più difficoltà in classi con lo stesso numero di ore di lezione e le stesse risorse (un solo docente e rapporto numero di allievi docenti sostanzialmente invariato) queste procedendo più lentamente raggiungano le condizioni dei loro amici e compagni dei livelli A e possano quindi accedervi. Naturalmente la sola abolizione dei livelli A e B non risolve minimamente i problemi sollevati in questo articolo, ma probabilmente (unico punto in cui mi trovo d'accordo con il signor Poloni)n l'iniziativa generica lanciata dai Verdi ha il solo pregio di riaprire il dibattito sulla scuola pubblica che deve essere indubbiamente differenziata in funzione delle necessità d'apprendimento del singolo individuo ed offrire reali pari opportunità. Gli strumenti per concretizzare questi diritti fondamentali sono: l'aumento del numero di docenti e delle strutture scolastiche (con i connessi diminuzione del numero di allievi per classe e le sessioni di esercizi seguite da più insegnanti), ore di ripetizione gratuite e (per i casi più difficili) l'estensione dei programmi di sostegno, tutto ciò favorendo le classi unificate in modo che oltre ad apprendere nozioni scolastiche si favoriscano gli scambi e le relazioni tra allievi di diversa provenienza sociale, etnica, linguistica, dando fondamenta ad un clima di rispetto, tolleranza ed apertura al mondo.
Ciò richiede logicamente un incremento delle risorse da parte dello Stato e se queste non sono disponibili vanno prese là dove ci sono, vale a dire dai più abbienti e privilegiati contribuendo in tal modo ulteriormente ad una maggiore giustizia ed uguaglianza sociale e quindi creando un ambiente di effettive pari opportunità.
LIVELLI A E B: ENTRIAMO NEL MERITO
Giovanni Poloni, presidente Giovani liberali radicali
Corriere del Ticino, 18 giugno 2012L'iniziativa generica lanciata dai Verdi che mira ad abolire i livelli A e B nel secondo ciclo di scuola media ha avuto il merito di rilanciare il dibattito sulla formazione pubblica. Di educazione e cultura non bisognerebbe mai smettere di discutere, lanciare proposte atte al miglioramento del sistema. Perché la cultura è la base più importante sulla quale costruire il successo della società ticinese - e svizzera - di domani.
Credo nella scuola pubblica e laica. Nutro invece dubbi nell'ideologia che vuole dipingere gli individui tutti uguali e senza differenze nel processo di apprendimento. Abolire i livelli A e B giustificando una sorta di dogma fondato sull'egualitarismo non credo sia né corretto né giovi al dibattito inerente la scuola pubblica. Lo Stato deve garantire pari opportunità a tutti gli individui senza che essi subiscano svantaggi o privilegi per motivi di origine, razza, posizione sociale, convinzione religiosa, filosofica, politica o stato di salute. La nostra costituzione cantonale è chiara in materia: ognuno deve poter beneficiare di un'istruzione e di una formazione adeguata e possa perfezionarsi «conformemente ai suoi desideri e alle sue attitudini».
La scuola pubblica deve incoraggiare il concetto di merito e non di privilegio. Se un alunno partecipa ad un livello A è per capacità, non per diritto acquisito o demerito altrui. Il livello B non condanna lo studente ad una formazione lacunosa, semplicemente permette di affrontare due materie (matematica e tedesco) con un approccio differenziato ma non per questo da denigrare o declassare come si vuole far credere. Contesto il principio, per cui scuola pubblica e merito sarebbero incompatibili. Probabilmente, il sistema educativo presenta delle carenze poiché si è trascurato l'importanza delle formazioni professionali spingendo il gas sugli studi superiori (licei) a fronte di un tasso di bocciature elevatissimo al primo anno. Impellente risulta oggi fornire un servizio di orientamento scolastico che funga realmente da bussola per coloro che non sanno che rotta percorrere, nel valorizzare le professioni manuali, artigianali e tecniche. Un trend che non coinvolge unicamente il nostro Cantone. Ritengo che il dibattito sull'educazione non debba essere affrontato con metodi populistici ma con un discorso più ampio, di riforma dell'educazione pubblica e laica, che deve rimanere fiore all'occhiello del sistema socio-culturale del nostro paese, senza trascurare l'integrazione e la coesione sociale: dobbiamo essere bravi oggi ad evitare le «banlieu» di domani. In fondo, in una società democratica, la qualità dei governanti dipende dalla cultura dei propri governati. In conclusione GLRT si dichiara contrario all'iniziativa generica lanciata dai verdi ma è ben disposto ad entrare in modo costruttivo e oggettivo nella tematica inerente l'educazione pubblica. Abbiamo sempre affrontato e sostenuto il tema della democratizzazione degli studi e delle pari opportunità con concretezza: nel 2010 lanciammo una petizione per richiedere che il Cantone ratificasse l'accordo intercantonale sulle borse di studio, aumentando l'importo da 13mila a 16mila franchi. Dall'anno 2012 - 2013 sarà realtà e siamo orgogliosi di aver dato il nostro contributo. I giovani sono il presidio del futuro: coinvolgiamoli e discutiamo con loro a viso aperto, tenendo sempre ben presente che l'orizzonte comincia sempre rasoterra.
RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA PRIMA DI ABOLIRE I LIVELLI
Amanda Rückert
Corriere del Ticino, 14 giugno 2012Ogni dibattito che coinvolge la scuola è importante, ma non va affrontato con la logica del tifo da stadio e del marketing politico. La proposta dei Verdi di abolire i livelli di tedesco e matematica alle Medie ha l'enorme pregio di riaprire il dibattito ma rischia di diventare uno di quei temi dove, tra sostenitori e oppositori, il pregiudizio prevale sulla logica e sull'opportunità, tanto che già si stanno formando schieramenti graniticamente contrapposti.
Di sicuro la scuola richiede di essere costantemente ripensata e riformata, ma le riforme vanno fatte nell'ambito di strategie chiare e globali. Non per innescare polemiche che alla fine diventano guerre di religione o battaglie di principio.
Non sono contraria a priori all'abolizione dei livelli, ma credo che questo sia possibile solo nel complesso di una riforma più ampia e che prima occorra studiare e adottare una serie di misure. Per esempio, ridurre ulteriormente il numero di allievi per classe, come intende fare il direttore del Dipartimento Manuele Bertoli, così da poter migliorare istruzione e apprendimento; aumentare sforzi e risorse nell'ambito dell'orientamento scolastico e professionale; promuovere scelte che sfocino in carriere lavorative ancora poco valorizzate o che hanno perso in attrattività. Bisogna dunque valutare se mantenere o abolire i livelli nel quadro di una riforma generale.
Non ci si può limitare a dire che i livelli B di matematica e tedesco sono soggettivamente discriminatori per chi li subisce nell'ambito di una scuola dell'obbligo che, come tale, dovrebbe garantire ad ogni allievo una presunta parità di trattamento. E nemmeno li si possono definire iniqui affermando che alcuni datori di lavoro, se possono scegliere, prediligono nelle assunzioni di apprendisti allievi che hanno frequentato i livelli A in quelle materie. E non ci si può nemmeno limitare a dire che anche le note scolastiche, ad ogni livello, siano elementi di discriminazione tra studenti più e meno dotati, o semplicemente più o meno studiosi. E discriminatorie potrebbero essere anche alcune qualifiche, magari non strettamente necessarie, richieste dai datori di lavoro.
Si può dire che tutta la nostra società si basa su elementi discriminatori. Ma sentirsi discriminato è un fattore soggettivo. Un elemento di discriminazione tra chi ha successo nella vita, scolastica, professionale e personale, può essere la fortuna. Più spesso sono la capacità, la caparbietà, l'intelligenza, a fare la differenza. E questi sono valori da coltivare e da promuovere, perché nessuno nasce con la scienza infusa. Illudere i ragazzi che la scuola e lo Stato garantiscono a tutti il successo e la riuscita senza alcuno sforzo personale è pericoloso e diseducativo. Queste cose bisogna farle capire ai giovani il prima possibile, uscendo dalla logica che la scuola media, siccome è ancora nella fase dell'obbligo, è gratis sul piano dell'impegno e dell'applicazione. E alle famiglie bisogna far capire che non devono riporre nei propri figli false speranze, che non devono farsi condizionare (condizionando di conseguenza i ragazzi) da modelli sociali ormai superati - tipo se non vai al liceo sei un fallito -.
Non dobbiamo, quindi, a mio parere, incorrere nell'errore di abolire i livelli pensando di promuovere una logica egualitaria e democratica, anche perché poi, crescendo e affrontando la vita, ogni giovane dovrà fare i conti con innumerevoli esperienze di selezione che, volente o nolente, sarà costretto ad affrontare. Dobbiamo abolire i livelli solo se, nel quadro di una precisa riforma, riterremo che questo provvedimento sia utile per migliorare l'apprendimento scolastico dei nostri ragazzi, mantenendo però una differenziazione nei curriculum scolastici ed evitando di omologare ed appiattire - inevitabilmente verso il basso - il livello dell'insegnamento.
LA SCUOLA DOVREBBE PUNTARE SULLE INCLINAZIONI DEI GIOVANI
Fanny Merker, docente liceale
Corriere del Ticino, 31 maggio 2012La proposta dei Verdi di abolire i livelli A e B alla Scuola Media rivendica un principio di uguaglianza senza confrontarsi con la realtà dell'insegnamento in Ticino. Mi permetto di intervenire nonostante la mia esperienza di docente non sia decennale, perché oggi chiunque ricordi di essere stato allievo o abbia dei figli in età scolastica può esprimere un giudizio severo e articolato sulla qualità della scuola. Spero che il dibattito torni a coinvolgere gli insegnanti, affinché l'attenzione dell'opinione pubblica verta su problemi attuali e concreti. Il nemico, questa volta, è il livello, un tempo sezione A e B, poi livello 1 e 2, oggi livello A e B in matematica e tedesco, le materie che, tradizionalmente, creano maggiori difficoltà di apprendimento agli allievi. La selezione tra livelli dipende dalla valutazione: almeno 4,5 alla fine della seconda, con la possibilità di deroga, almeno 5 alla fine della terza per passare al livello A; ma anche con il corso B in matematica un allievo può entrare al liceo o alla Scuola Cantonale di Commercio, grazie all'esame d'ammissione. Il fatto che la motivazione e l'accompagnamento nello studio, spesso fondamentali per la riuscita scolastica, dipendano dalla situazione socioeconomica della famiglia è un altro discorso, distorto dai promotori dell'iniziativa, i quali accusano la scuola di promuovere al livello A solo i ragazzi di ceto medio-alto. Nonostante questa e altre odiose barriere (media finale almeno 4,65, nota d'italiano almeno 4,5, sempre soggetti a deroghe) l'esito è drammaticamente noto, almeno agli insegnanti. In Ticino più del 42% degli allievi alla fine della Scuola Media si riversa nel secondario II (rinvio per questo e altri dati all'articolo Transizioni dopo la scuola dell'obbligo: le scelte dei giovani in Ticino , di Elena Boldrini e Luca Bausch, in Schweizerische Zeitschrift für Bildungswissenschaften , n° 31, 2009). In Svizzera, secondo il Rapporto sul sistema educativo svizzero del 2010, la percentuale di maturati è del 18%, superiore a quella di Cantoni a noi vicini come Grigioni, Vallese, Uri, Svitto. Ma gli allievi ticinesi non sono né più capaci né meglio formati: se poco motivati o deboli scolasticamente sono condannati ad accumulare fallimenti e frustrazioni. La percentuale di bocciature in prima e seconda liceo o Commercio è del 30%, spesso di più: abolire i livelli significa semplicemente alzare questo dato, perché il divario tra le competenze acquisite e quelle richieste si scaverà ancora. La maturità liceale non è più indispen sabile per accedere all'università e alle SUPSI: esistono deroghe, colloqui d'ammissione, anni «passerella». Il sistema è poroso, proprio per evitare che una scelta compiuta a tredici anni modifichi definitivamente il percorso scolastico. Mi chiedo perché, invece di lottare perché tutti vadano al liceo, non si tenti di far accedere i giovani alla formazione più adatta alle loro competenze e soprattutto alle loro inclinazioni. L'opacità tra allievi e mondo del lavoro ha generato una corsa alla maturità che non ha paragone in Svizzera (mi sembra più giusto con frontare la situazione di un ragazzo ticinese con quella dei suoi coetanei di Coira, Sion e Lucerna, invece che di Helsinki). Sempre più spesso i miei allievi di prima liceo o Commercio ammettono di essersi iscritti perché non avevano trovato un posto di lavoro: hanno forse meno diritto all'apprendistato che alla maturità? I problemi della scuola ticinese sono urgenti e importanti, ma sembra che nessuno abbia davvero il coraggio di ammetterne la responsabilità, né di trovarvi una soluzione.
RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA
Claudia Crivelli Barella, deputata per i Verdi
Corriere del Ticino, 26 maggio 2012Negli scorsi giorni a nome dei Verdi ho presentato un'iniziativa generica che chiede di abolire i livelli A e B nella scuola media. Questa proposta si inserisce in una visione ad ampio respiro della scuola, che nei quattro anni di medie costituisce l'ultima possibilità per molti ragazzi di ricevere un'istruzione scolastica, di stare in una classe insieme ad altri compagni. Anni preziosi per una preziosa gioventù: il nostro futuro. Senza essere catastrofisti, se posso riconoscere qualcosa di positivo alle sciagure climatiche e ambientali è il fatto di renderci attenti che siamo tutti collegati, che se succede qualcosa dall'altra parte del mondo, noi c'entriamo: non possiamo chiamarci fuori, dire che non ci importa. Ogni nostra scelta comporta delle conseguenze: l'avanzamento dei deserti, lo scioglimento dei ghiacciai, le catastrofi nucleari…tutto ci concerne. Internet ha cambiato il modo di approcciare il mondo, e da un'istruzione gerarchica e di tipo stimolo-risposta stiamo passando a un'era dove l'educazione deve diventare laterale, ovvero prendere coscienza che l'essere umano è altamente sociale ed empatico, e che l'umanità deve riconoscere la propria appartenenza al sistema terrestre, alla biosfera: di fronte ai grandi mutamenti che ci attendono, o ci uniamo e collaboriamo verso un bene comune, oppure scompariremo.
L'istruzione distribuita e collaborativa parte dall'idea che si ha una maggiore probabilità di ottenere il risultato desiderato se le persone ragionano insieme, mettendo in comune le esperienze personali, rispetto al caso in cui ciascuna ragiona separatamente dagli altri. Diamo per scontato che la modalità in cui viene impartito il sapere sia l'unica possibile per la trasmissione della conoscenza. Ma il mondo è cambiato: Adam Smith è superato, l'economia deve affrontare nuove sfide, un nuovo modo di affrontare il mondo (riflettiamo: i ragazzi immagazzinano più nozioni a scuola o attraverso i social network?). Soprattutto, il mondo sta cambiando: servono ragazze e ragazzi in grado di prendersi a cuore il destino della Terra, ragazze vicine alla natura e ragazzi che sappiano usare le mani non meno della testa. Ragazze e ragazzi pronti ad affrontare un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto noi, tanto affascinante quanto inquietante. Dividere i giovani in livelli A e livelli B è obsoleto, indice della nostra difficoltà a cambiare: bisogna pensare il cambiamento, essere pragmatici, concreti, e sentirsi coinvolti. Volenti o nolenti, lo siamo tutti.
RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA
Marco Celoria, Mendrisio
Corriere del Ticino, 23 maggio 2012L'iniziativa presentata dalla deputata Claudia Crivelli Barella riguardante la necessità di abolire i livelli A e B nelle scuole medie per poterla ripensare a vasta scala vale senz'altro la pena di essere appoggiata indipendentemente dallo schieramento politico. L'adolescenza costituisce un periodo della vita che solo recentemente è divenuto oggetto di indagine scientifica. L'idea che l'esperienza personale sia sufficiente ed affidabile per una conoscenza dell'adolescenza è ormai superata, in quanto è difficile, da adulti, quando ormai la propria vita mentale ha assunto caratteri di stabilità e chiarezza, tornare a rivivere una condizione mentale caratterizzata da instabilità ed emotività. Inoltre si tende a rimuovere situazioni vissute nel nostro passato che non si accordano con l'immagine consolidata che abbiamo da adulti (ad esempio atteggiamenti di scarsa lealtà o coraggio che si hanno tipicamente in quell'età). Negli ultimi decenni la necessità di avere una preparazione scientifica, tecnica o professionale si è allargata ad innumerevoli persone, e ne è derivato un allungamento del periodo di scolarità e del periodo in cui l'adolescente resta in condizione di dipendenza nei confronti degli adulti (genitori, insegnanti). Inoltre, la maggior complessità della società moderna impone all'adolescente scelte più numerose e difficili, perciò un maggiore numero di esperienze e di tentativi di adattamento. Si inizierà a comprendere, in questo contesto, come una scelta drastica a livello professionale come quella imposta dai livelli sia, se mai non lo fosse stato, un modello orami superato. Il periodo adolescenziale è caratterizzato dallo sviluppo di un tipo nuovo di pensiero, quello che il nostro Piaget chiamava pensiero ipotetico-deduttivo, nel quale giocano un ruolo preminente la rappresentazione di situazioni puramente possibili, ipotetiche, e la capacità di cogliere anche in modo riflesso e nella forma astratta i rapporti logici. È chiaro come l' acquisizione dipenda da una serie di fattori psicologici che per ognuno possa variare, per cui l'età cronologica e mentale spesso non coincidono. Un ragazzo/a a tredici-quattordici (età dell'imposizione dei livelli), si trova di fronte a tutta una serie di problemi nuovi, di trasformazioni che suscitano ansia e conflitto: l'accelerazione della crescita fisica e il cambiamento del corpo con tutte le conseguenti risonanze psicologiche, la maturazione puberale, il riemergere della pulsione sessuale, le nuove forme di sessualità autoerotica, le prime esperienze di innamoramento, il mutamento del rapporto con gli adulti fino al bisogno di autonomia. In questo contesto si possono verificare facilmente condizioni di saturazione nei confronti dell'ambiente scolastico. Questa saturazione, più frequente nella seconda metà dell'anno, può dare origine a un vivo interesse di cambiare, può caricare di valenze fortemente positive certe attività extrascolastiche, facilitare la frequentazione di certi ambienti che non hanno a che fare con la scuola. Tutto questo ha effetto sulla maturazione intellettuale e può avere ripercussioni nei confronti dello studio, che spesso ha un rilievo secondario per l'adolescente, il quale non si rende conto delle scelte che deve affrontare. Può anche accadere che un insegnante, per scarsa conoscenza delle esperienze psicologiche presenti in questa fase dello sviluppo cognitivo, o per mancanza di interesse personale per i problemi epistemici, o anche semplicemente per il fatto di non aver ricevuto un'adeguata preparazione in questo campo, non riesca a soddisfare attraverso il suo insegnamento questi interessi nuovi, che restano presenti solo in forma germinale, non sviluppati né alimentati che si può tradurre nell'impressione, segnalata da molti ragazzi di questa età, che molte delle cose di cui si parla a scuola, sono lontane da loro, prive di un interesse vero, estranee alla loro vita e ai bisogni di crescita. Un adolescente può essere fisicamente nell'aula, al suo banco, oppure seduto alla sua scrivania in camera a casa, con il libro aperto davanti, ma il suo pensiero è spesso altrove (al litigio con il papà, al commento ironico del compagno sulla forma del suo naso, alla ragazza/o di cui si è innamorato). L'insegnante delle scuole medie ha dunque un compito in più. Ha certamente necessità di favorire i processi di comprensione di un allievo e di ampliare il patrimonio di conoscenze, ma soprattutto deve trovare il modo di indirizzare nuovamente verso le attività di studio quella cospicua parte dell'energia psichica che è confluita nelle problematiche personali, con la conseguente caduta di interesse e impegno per lo studio. Parliamo ai ragazzi di questa età, non etichettiamoli come di serie A o B, diamo loro un modo non intrusivo di aiuto per i problemi personali, anche a costo di rinviare la decisione sul loro futuro, dandogli il tempo che gli serve, anche creando un anno attitudinale post scuole medie, eviteremmo cosi loro tante inutili bocciature il primo anno di liceo o apprendistati scelti unicamente per mancanza di alternative, oltre le sofferenze psicologiche che rimarranno altrimenti indelebili nel loro processo evolutivo di crescita di molti ragazzi.
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