ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO

Interventi in merito ai livelli nella scuola media


ANCHE L'OPERAIO VUOLE IL FIGLIO DOTTORE
Massimiliano Ay, segretario politico del Partito comunista
Corriere del Ticino, 24 agosto 2012

La mia esperienza come sindacalista studentesco mi ha permesso di costata­re il ritorno con pre­potenza del proble­ma della selezione nella scuola. Una se­lezione basata sul­l'origine sociale degli allievi, che mette in discussione tutte le belle parole su diritto allo studio e uguaglianza di possibilità. Ri­cordo bene come, ad esempio, nel 2003, il ministro dell'educazione del Canton Zuri­go si lamentasse del fatto che le università fossero diventate «di massa» e per questo perorava la causa (palesemente classista) non solo dei tagli alle borse di studio, ma anche del raddoppio delle rette d'iscrizio­ne (intenti frenati parzialmente anche gra­zie allo sciopero e all'occupazione studen­tesca dell'ateneo). Dopo che nel 1958 una riforma volta all'organizzazione di una scuola media unica era stata bocciata in sede parlamentare perché troppo costosa (!), a metà degli anni '70 anche il Ticino poté contare su una struttura che avesse per obiettivo quello di «assicurare, soprat­tutto ai ceti meno privilegiati, una forma­zione culturale più ampia e un corredo di conoscenze più ricco di quello dato alla scuola maggiore; (...) posticipare le scelte d'orientamento a un'età più avanzata; (…) in funzione delle reali attitudini, senza di­scriminazioni d'origine sociale o ambien­tale» (dal messaggio del Consiglio di Sta­to del 2.7.1985 concernente la modifica­zione della Legge sulla scuola media del 21.10.1974). Storicamente, però, lo svilup­po della scuola media non ha mai visto una fase realmente unitaria: benché si fos­se superata la divisione Ginnasio/Scuola Maggiore, la nuova scuola media unica non era poi tanto unica: essa era divisa in due sezioni A e B. Inutile dire che la sezio­ne B era sinonimo di avviamento profes­sionale mentre la sezione A si configurava «come scuola per allievi di capacità scola­stiche medie e superiori». Da notare come il governo definisse la «sezione» proprio come fosse una «scuola» a sé! Col passare del tempo si preferì sostituire le sezioni con un nuovo sistema a livelli, in quanto «sul piano dell'affettività e della socializzazio­ne è più difficile rendersi conto degli effet­ti della nuova struttura unificata. Sta di fatto che gli allievi possono trascorrere que­sto fondamentale periodo, in cui passano dallo stato di bambino allo stato di adole­scente, tutti insieme, con possibilità di scambi e di stimolazioni reciproche. Le se­zioni A e B costituiscono una limitazione di questo principio (...)». La nuova orga­nizzazione a livelli, essendo limitata a tre (poi due) materie sarebbe stata vissuta «in modo meno negativo (…) permettendo una ripartizione più equilibrata (anche se contemporaneamente più selettiva) de­gli allievi tra i diversi curricoli». Ma se cam­bia la forma non muta la sostanza: non si era di fronte a corsi differenziali (cui al­ludeva don Lorenzo Milani) in cui i più «deboli» potessero essere seguiti meglio grazie a classi con un numero di allievi in­feriore e un rapporto pedagogico più di­retto, ma che - dato fondamentale - por­tassero comunque ad un risultato finale comune. Si era al contrario di fronte ad un'ulteriore discriminazione sociale, tan­t'è vero che in uno studio longitudinale di Mario Donati (1999) si riconosce come la frequenza dei livelli rappresenti una ulte­riore zona «in cui si alimentano differen­ziazioni fra allievi di nazionalità diversa e/o di origine sociale pure diversa». Di con­seguenza si incanalano 12.-14.enni verso studi superiori o verso apprendistati non in base ad un presunto «merito», ma la­sciando che le condizioni socioeconomi­che familiari costituiscano forti fattori di influenza. A riconoscerlo è pure l'Orga­nizzazione Mondiale del Commercio (non proprio una fonte comunista!): «Le diffe­renti prestazioni scolastiche fra gli allievi sono determinate dalle loro diverse origi­ni sociali». Insomma: una scuola che al posto di fungere da mezzo di emancipa­zione sociale, si consolida come strumen­to di riproduzione della stratificazione di classe della società. Benissimo hanno fat­to quindi i Verdi a proporre di abolire i li­velli alle scuole medie, riprendendo e raf­forzando così la rivendicazione del 2003 del Sindacato Indipendente degli Studen­ti e Apprendisti (SISA). Per il Partito Co­munista si tratta di una proposta di civil­tà, di giustizia sociale e che permette una riflessione per una nuova pedagogia cri­tica.


 

RICETTE PSEUDOEGUALITARIE PER LA FORMAZIONE IN TICINO
Maurizio Agustoni
Corriere del Ticino, 9 agosto 2012

Nei giorni scorsi hanno suscitato qualche polemica le dichiarazioni del nuovo rettore del Politecnico federa­le di Zurigo (ETH) Lino Guzzella in merito al prospet­tato aumento (rad­doppio) delle tasse di iscrizione. Il tema non è secondario, dato che in gioco vi è il diritto allo stu­dio. Credo che ogni cittadino debba ave­re l'opportunità di ricevere una forma­zione universitaria, indipendentemen­te dalle sue condizioni economiche. Un sistema formativo che seleziona gli stu­denti in base al reddito (dei famiglia­ri) è socialmente iniquo e, anche da un profilo della qualità, poco razionale. Ciò premesso, i costi che deve sostene­re un'università sono sempre maggio­ri, per cui la tematica del finanziamen­to - presto o tardi - dovrà essere esami­nata. La strada più sostenibile mi sem­bra quella di un potenziamento dei pre­stiti di studio da parte dei Cantoni.
Il nuovo rettore non si è però limitato a parlare di costi, ma si è espresso con chiarezza anche sulla qualità della for­mazione in Svizzera (cfr. la NZZ del 29 luglio). Il prof. Guzzella ha in partico­lare lamentato un certo degrado, con­statato negli ultimi anni, nelle compe­tenze dei liceali, specialmente per quan­to riguarda le materie scientifiche. In pratica, il liceo, forse perché divenuto meno esigente, non è più in grado di preparare adeguatamente i giovani svizzeri al mondo universitario. Per un paese come la Svizzera, che deve inve­stire innanzitutto sull'innovazione e sulla qualità dei propri prodotti, il gri­do d'allarme del rettore dell'ETH - la principale istituzione scientifico-forma­tiva svizzera - deve suscitare qualche preoccupazione.
La Svizzera, soprattutto in un contesto globalizzato che ci mette in concorren­za con tutto il mondo, non può permet­tersi défaillance in ambito tecnico e scientifico perché ciò vorrebbe dire per­dere una parte considerevole della no­stra competitività. In questi mesi in Ti­cino si è discusso, in modo anche un po' ideologico, a proposito dei livelli alle scuole medie. I sostenitori dell'abolizio­ne dei livelli - partito dei Verdi in pri­mis - hanno criticato l'importanza di­rimente attribuita alla matematica e al tedesco. In sostanza, la tesi sostenuta è che tutti - (più o meno) a prescindere da quello che hanno dimostrato alle scuole medie - devono avere il diritto di (provare a) frequentare il liceo. La nostra società appare purtroppo abba­stanza permeabile a questo tipo di pro­spettiva. Anche perché il messaggio vei­colato - magari inconsapevolmente e involontariamente - da media, politi­ci, scuola, orientatori scolastici, eccete­ra è che solo il liceo può garantire un futuro professionale dignitoso.
Il monito del prof. Guzzella, in un cer­to senso, è la contropartita di questo approccio quasi fiabesco alla forma­zione. Se la Svizzera vuole continuare a garantire un certo benessere per i pro­pri cittadini, non può permettersi di re­gredire nella qualità della formazione, soprattutto in ambito scientifico dove i progressi sono in continuo movimen­to. L'assottigliamento dei criteri di ac­cesso alle scuole medie superiori (liceo, scuola cantonale di commercio) costi­tuirebbe quindi un irresponsabile pas­so indietro nel cammino che il nostro Paese deve affrontare se vuole mante­nere la sua posizione di forza in am­bito mondiale. D'altro canto, occorre ribadire - una volta di più - che il pa­norama formativo svizzero non si ri­duce al liceo e alle università. Soprat­tutto in questi anni si sono sviluppate molte istituzioni formative professio­nali che, magari svolte anche (parzial­mente) durante il lavoro, consentono di acquisire conoscenze e competenze di alto livello, altrettanto necessarie al­lo sviluppo del nostro Paese.
Insomma: la Svizzera non ha bisogno solo di ingegneri, biologi o chimici, ma di ogni sorta di professionalità, nei ser­vizi, nell'artigianato, nell'agricoltura e nell'industria. È tuttavia necessario che ciascuno di questi professionisti abbia l'opportunità di formarsi al più alto li­vello possibile nel proprio campo. La ricetta (fintamente) egualitaria che ci prospettano i fautori di un sistema for­mativo inclusivo fino al parossismo è il peggior servizio che si possa rendere alla formazione del nostro Paese. Il mio auspicio è che la discussione politica sul futuro della formazione in Ticino possa tenere debitamente conto di que­sta realtà e dei messaggi che giungono dai nostri atenei.


 

SCUOLA MEDIA, LIVELLI E SELEZIONE SOCIALE
Aris Della Fontana, coordinatore gioventù comunista
Corriere del Ticino, 20 luglio 2012

Per effettuare un'analisi com­plessiva sul signi­ficato e le conse­guenze dei livelli nelle scuole medie dobbiamo consi­derare la questio­ne relativa alla se­lezione sociale. In uno studio di Ma­rio Donati del 1999 si evidenziava co­me la scelta dei livelli non fosse del tut­to basata su una questione di «attitu­dine» quanto di origine sociale. Ciò ap­pare abbastanza logico, essendo i li­velli un fattore importante che consen­te o meno ad un ragazzo di accedere agli studi superiori: «Mentre le scuole medie superiori attingono a piene ma­ni nelle fasce sociali elevate e in quel­le medie, le formazioni con apprendi­stato reclutano una grossa fetta dei lo­ro utenti ai piani inferiori della com­posizione sociale della popolazione». I ragazzi sono separati in corsi dise­guali che portano a risultati disegua­li; i livelli possono configurarsi come il primo stadio concreto relativo alla se­lezione sociale, che poi assume tutta la sua valenza con la fine della quarta media e la scelta del proprio futuro sco­lastico. E poiché le scuole medie supe­riori (e particolarmente il liceo) sono il trampolino di lancio verso l'univer­sità, la dinamica e la composizione so­ciale di questa realtà è similare: «Ci vogliono un po' meno di tre allievi di classe sociale superiore alla scuola me­dia per ottenerne uno all'università cinque anni dopo. Ne devono partire invece circa 8 di classe sociale media per averne uno all'università, mentre ce ne vogliono 17 (quasi una classe!) di origine sociale inferiore per ritrovar­ne uno all'università».
Questa situazione è stata confermata nel 2007, quando si evidenziò il lega­me a filo doppio che sussiste tra origi­ne sociale ed origine etnica. Il Dipar­timento educazione cultura e sport (DECS) ammise cifre inquietanti circa la selettività che colpiva i ragazzi di origine straniera al termine della quar­ta media: «Dei circa 400 allievi spa­gnoli che terminano la quarta media, solo 51 li ritroviamo al liceo; dei circa 50 allievi turchi al termine dell'obbli­go scolastico, continuano gli studi so­lo in 7». Più che l'origine nazionale in tale occasione era la condizione socioe­conomica familiare a influenzare la scelta di continuare gli studi. Questi dati empirici mettono in discussione la credenza per cui la nostra sia una società in cui il diritto allo studio è ga­rantito e dove chiunque può continua­re gli studi senza difficoltà, basta che si applichi. Deve essere inoltre smenti­to l'assunto per cui le differenze di clas­se non esisterebbero più nella società occidentale e, semmai, continuerebbe­ro ad esistere solo minime disugua­glianze sociali dovute anche alle diver­se «attitudini» individuali.
Il programma scolastico richiede vari elementi di partenza che non sono in sé discriminatori, ma che lo diventa­no quando non tutti gli allievi ne pos­sono disporre. Si sottintende - sbaglian­do - che tutti i bambini abbiano a ca­sa un quotidiano, che possano pren­dere del materiale didattico da casa, che i genitori siano al corrente del fun­zionamento scolastico e che abbiano un'istruzione adatta per seguire il pro­gredire dei figli nell'apprendimento. È peraltro evidente come studenti di clas­si sociali agiate abbiano dietro di sé una famiglia che trasmette loro deter­minate conoscenze, valori, atteggia­menti in relazione alla cultura.
Tutto ciò influenza il profitto scolasti­co. Un bambino, come spiega lo psico­pedagogista Giovanni Galli, che cresce in un ambiente dove la lettura di libri è vista come una normale attività ha certamente dei vantaggi. I bambini che provengono invece da famiglie socio­economicamente sfavorite hanno mag­gior bisogno di accoglienza nel siste­ma scolastico, ma tuttora non sono svi­luppate strutture che permettono ad essi di effettuare un percorso educati­vo con le stesse possibilità rispetto agli altri ragazzi. Gli allievi provenienti da un contesto diverso, che non padroneg­giano perfettamente la lingua e che hanno interiorizzati norme culturali diverse, devono essere seguiti con pro­fessionalità per scongiurarne l'esclusio­ne, la mancanza di partecipazione, sia in classe, che all'esterno: tutto ciò in un prossimo futuro potrà avere ripercus­sioni sul relazionarsi con la società e ne accrescerà la marginalità. In tal sen­so la questione del disagio giovanile (come conseguenza di fattori sociali) va compresa per stroncarla dalle fon­damenta, potenziando il sostegno pe­dagogico e costituendo servizi di soste­gno sociale in tutte le scuole.
I contrari all'abolizione dei livelli non ritengono problematica una selezione sociale avente inizio all'età di 12 anni, che può compromettere la condizione socio-economica di una persona nel periodo adulto. Essi sostengono che in una scuola media «unica» gli allievi «più deboli» verrebbero trainati «ver­so risultati utopici». La terminologia ne rivela l'idea di fondo: gli allievi più deboli sono un peso. I programmi di matematica e tedesco nelle scuole me­die, invece, non sono una meta rag­giungibile solo da alcuni, i loro obiet­tivi sono alla portata di tutti. Natural­mente la scuola deve creare le condi­zioni necessarie affinché ognuno rie­sca a raggiungerli. Queste non sono la separazione degli allievi in classi di­stinte a due velocità, bensì la creazio­ne di classi dove i «più deboli» possa­no beneficiare dell'aiuto degli altri. Si creerebbe così quel rapporto di colla­borazione ed aiuto reciproco che sta alla base di una vera pedagogia e di una vera didattica, già anticipata da Stefano Franscini. Bisogna marciare con piccoli passi per colmare gli aspet­ti derivanti da una provenienza socia­le penalizzante: la riduzione del nu­mero di allievi per classe, l'incremen­to del numero d'insegnanti, la stata­lizzazione di certi servizi para-scola­stici e l'introduzione di recuperi e do­po-scuola. Sarà tuttavia fattibile pen­sare ad una democrazia sostanziale nella scuola solo nell'ambito di un com­plessivo programma politico volto al­la trasformazione sociale poiché la scuola non può essere l'unico strumen­to per creare uguaglianza senza che parallelamente vi sia un cambiamen­to all'interno della realtà politica e la­vorativa: occorre migliorare anche le condizioni socio-economiche delle fa­miglie affinché i figli possano realmen­te, senza penalizzazioni, determinare il loro futuro.


 

LIVELLI A E B, L’APERTURA C’È, MA NON LA SI VUOL VEDERE
Flaviano Nicola, vicepresidente distrettuale Glrt Locarno e Vallemaggia
Corriere del Ticino, 2 luglio 2012

La lettera della granconsigliera verde Claudia Crivelli Barella, recentemente pubblicata su TicinoLibero.ch , che esprime disappunto riguardo alla presa di posizione di Glrt circa l’iniziativa per l’abolizione dei livelli nel secondo ciclo della scuola media mi lascia manifestamente perplesso. La signora Crivelli Barella non si è forse resa conto che Glrt nella forma dello scritto firmato dal presidente Giovanni Poloni non si esprime assolutamente in direzione di una privazione di merito della proposta dei Verdi, tutt’altro. Com’è stato manifestato con parole molto chiare nella lettera di Poloni, questa iniziativa ha il pregio di rilanciare pubblicamente un dibattito che si era malauguratamente arenato.
Diverso è invece l’atteggiamento verso il contenuto dell’iniziativa. Glrt non intende supportare una proposta semplicistica senza che vi sia un dibattito aperto, che è più che disposto ad intrattenere, anzi, che proponeva già con il precedente scritto, contrariamente a quanto espresso dalla granconsigliera.
Soluzioni minimaliste atte a ridurre al minimo la complessità di oggetti e procedure è uno stile sicuramente vincente nel design, non lo è invece in politica, dove la strada più breve è spesso anche quella che porta a problematiche successive. Non voglio invece entrare nel merito delle presuntuose affermazioni che ci vengono rivolte riguardo alle fantomatiche motivazioni di provenienza di classe che ci porterebbero a sostenere lo status quo, e le accuse di non capire che il mondo è cambiato. Cara signora Crivelli Barella, forse è lei che non ha capito che il mondo è cambiato, e che rappresentare i giovani in un movimento che si rifà a un partito storico che in passato ha difeso gli interessi di determinate classi sociali non significa esserne influenzati o avere una visione mediata.
Glrt è autonomo rispetto al partito, come spesso ha manifestato con idee divergenti da esso, ed è libero da vincoli legati a ideologie classiste, al contrario di come lei sembra invece convinta, non si sa se per superficialità o malafede.
Mi lasci inoltre dire che la difesa della responsabilità individuale e delle varie individualità nonché libertà sono già, con il sistema attuale a livelli, garantite. Non vedo quindi come menzionare questi fondamenti democratici possa in alcun modo sostenere la sua tesi sull’obsolescenza dello status quo.
Come membro di Glrt desidero un dibattito scevro da idee pregiudiziali che invece traspaiono proprio da coloro che vi si ergono contro, come ha purtroppo dimostrato con il suo scritto. Vogliamo un dibattito che coinvolga non solo fazioni politiche, ma anche i giovani che saranno poi direttamente toccati dalle scelte operate e di quelli che hanno invece già terminato il ciclo di studi, che possiedono quindi un feedback diretto.
Termino facendole notare, stimata granconsigliera, che colui che scrive ha attraversato il percorso della scolarità obbligatoria frequentando entrambe le materie in livelli B. Assolutamente senza che si sia sentito discriminato durante o dopo. Né per questioni prettamente personali, riguardanti la denominazione non attitudinale, né per difficoltà nell’inserimento professionale, contrariamente a ciò che sosterrebbero i patrocinatori dell’iniziativa.


 

ABOLIRE I LIVELLI A E B UN AUTOGOL PER TUTTI
Sinue Bernasconi, Tremona
Corriere del Ticino, 2 luglio 2012

Abolire i livelli A e B nel secondo ciclo del­le Scuole Medie equivarrebbe a diminuire la qualità e l'efficacia dell'insegnamento, fat­to preoccupante se diamo un'occhiata ai ri­sultati PISA del 2009, dove il nostro Canto­ne si situa in ultima posizione comparato agli altri 11 Cantoni che hanno preso parte allo studio, con una media significativamen­te inferiore a quella nazionale. Oltre a que­sto fatto, che di per sé dovrebbe già far riflet­tere i promotori dell'iniziativa, vi è la con­statazione evidente che un tale cambiamen­to non risolverebbe il problema della «pre­destinazione» scolastica e lavorativa detta­ta dalle condizioni socioeconomiche fami­liari degli allievi tanto additata dai Verdi. In­fatti, se una famiglia necessita del contribu­to economico dei propri figli non sarà cer­to abolendo i livelli A e B che quest'ultime opteranno, o piuttosto avranno i mezzi fi­nanziari, per spingere i propri figli ad intra­prendere degli studi superiori. In altre pa­role, non è creando delle classi unitarie che cambierà la condizione economica delle fa­miglie, né tantomeno la loro posizione so­ciale. Credo che tutti si siano accorti che spes­so le scelte scolastiche e lavorative degli stu­denti che terminano la scuola dell'obbligo siano dettate non solo dalle inclinazioni e dalle aspirazioni dei ragazzi ma da neces­sità più impellenti e vitali. Proprio in questo senso si sta lavorando per consentire alle fa­miglie provenienti da un ceto medio-basso di permettere ai propri figli di proseguire il proprio iter scolastico, indipendentemen­te dalla condizione socio-economica fami­liare. Penso ad esempio all'innalzamento, a partire dall'anno scolastico 2012-2013, del­l'importo massimo delle borse di studio (da 13 a 16mila franchi) fortemente sostenuto da GLRT con una petizione nel corso del 2010. Come se non bastasse un tale cambia­mento intaccherebbe non solo la qualità dell'insegnamento, dovuta alla presenza di allievi con problemi d'apprendimento e/o comportamentali, bensì pregiudicherebbe anche la condizione psicologica di tutte le parti prese in causa: gli insegnanti e gli allie­vi. I primi si ritroverebbero a cercare di go­vernare delle classi amorfe, chiassose e trop­po eterogenee per poter proporre une pro­gramma scolastico che si addica a tutti. Abo­lire i livelli A e B porrebbe i docenti delle Scuo­le Medie innanzi ad une vera e propria mis­sion impossible, soprattutto se pensiamo che già con la divisione in livelli spesso ri­sulta assai arduo per gl'insegnanti trovare il giusto equilibrio tra performances richieste e le capacità reali della classe poiché, nono­stante la divisione in livelli A e B, sussiste un'importante eterogeneità intra-classe. Togliere i livelli significherebbe dunque com­plicare l'operato degli insegnanti i quali, di fronte a delle vere e proprie «classi minestro­ne». Di fronte a un tale scenario, l'insegnan­te non potrebbe far altro che porsi la fatidi­ca domanda: non lasciare indietro nessuno oppure procedere col programma prefissa­to ed «infischiarsene» dei più deboli? Nella prima eventualità gli studenti che oggi fre­quentano i livelli A si troverebbero in una classe che procede arrancando, trainando chi incontra qualche difficoltà d'apprendi­mento in più, i «casinisti» o semplicemen­te chi non ha voglia di fare. Gli allievi più do­tati verrebbero quindi demotivati e penaliz­zati dal ritmo blando a cui la classe proce­de, ben al di sotto delle loro capacità e aspet­tative. Nel caso in cui l'insegnante opti per la seconda opzione gli allievi ch'oggigior­no seguono i livelli B si ritroverebbero total­mente fuori luogo, spaesati, in una classe che procede ad un ritmo che non possono, per svariati motivi, reggere e ch'è costretta - insegnante compreso - ad ignorarli, se non addirittura a segregarli, in nome del bene comune. Gli studenti del livello B sarebbe­ro dunque ancor più demotivati, forzati a passare le giornate in un ambiente che li è, volente o nolente, ostile ed estraneo, che li rigetta a causa della loro debolezza scolasti­ca. Pedagogicamente parlando, ciò avreb­be delle pesanti ripercussioni sull'autosti­ma e sulla motivazione di questi allievi. In definitiva, delle classi unitarie non permet­terebbero agli allievi più deboli di valoriz­zarsi, di gratificarsi e di beneficiare di un rit­mo d'insegnamento consono alle proprie capacità, ciò che è attualmente reso possi­bile grazie alla divisione in livelli A e B. È mia convinzione che la divisione in livelli deb­ba dunque restare, poiché presenta più be­nefici che lati negativi sia per gl'insegnanti che per gl'allievi. Inoltre, come già ben sot­tolineato dalla docente liceale Fanny Mer­ker sul CdT del 31 maggio 2012, i livelli B non precludono la strada agli studi superiori (esa­me d'ammissione), ma è altresì vero che un malessere a livello di Scuole Medie (e non solo) sussiste: urge fare una diagnosi accu­rata, non sconclusionata. Come sopperire dunque ai problemi dell'immaturità e del­la predestinazione lavorativa dei giovani che s'apprestano a terminare le Scuole Medie? Non certo abolendo i livelli A e B, che con­tribuiscono a migliorare il livello dell'inse­gnamento ed a premiare il maggior nume­ro di allievi (ed insegnanti) possibile, quan­to piuttosto rafforzando e stimolando la co­noscenza del mondo scolastico - oltre che accademico e professionale - degli allievi, introducendoli in modo adeguato a ciò che li attenderà in futuro e parallelamente for­nendo un aiuto concreto alle famiglie me­no abbienti i cui figli desiderano continua­re il proprio cammino post scuola dell'ob­bligo. Diversi sarebbero gli accorgimenti per migliorare tale aspetto: introdurre delle «le­zioni», se non settimanali almeno ad inter­valli regolari - nell'ordine di una al mese ­magari sfruttando la famosa «ora di classe», dove si spieghi e si discuta con gli allievi su cosa comporti realmente effettuare degli studi superiori. Una seconda miglioria al si­stema scolastico consisterebbe nell'intro­durre l'opportunità di conoscere con mano qualche mestiere, introducendo dunque dei periodi di stage obbligatori già in terza e quarta Media, ciò che permetterebbe sen­z'altro ai nostri giovani di «maturare» e di avere uno sguardo il più completo e veritie­ro possibile sul futuro che li si prospetta in­nanzi. In quanto ad aiuti finanziari già si è fatto molto se pensiamo ai vari aiuti mate­riali che offrono Cantone ed associazioni private, e ciò già dalle scuole elementari! In quanto ad aiuto allo studio in Ticino sia­mo molto fortunati considerando che il no­stro Cantone investirà l'anno venturo 20 mi­lioni di franchi solo in borse di studio, delle quali potranno beneficiare migliaia di stu­denti domiciliati in Ticino. Inoltre, da que­st'anno entra in vigore il nuovo modello d'at­tribuzione delle borse di studio che permet­terà di aiutare coloro che veramente neces­sitano di una sostegno economica. Detto ciò, di aiuti concreti in Ticino ne esistono e bisogna farvi appello allorquando ve ne sia bisogno. Se poi per orgoglio o a causa di una mentalità arcaica alcune famiglie spingono i propri figli a lavorare ad ogni costo dopo la scuola dell'obbligo è un'altra storia. Bi­sognerebbe in tal senso coinvolgere ed in­formare anche le famiglie su cosa signifi­chi dare la possibilità di studiare ai propri fi­gli, rendendoli attenti ai benefici a lungo ter­mine di un tale percorso, considerandolo come un investimento e non un'inutile per­dita di denaro. Degli sforzi in tal senso per­metterebbero di sensibilizzare le mentalità più coriacee, limitando il fenomeno di ri­produzione socio-culturale del mestiere. Mi dichiaro quindi fermamente contro l'inizia­tiva masochista dei Verdi, che se non altro ha il merito di aver messo in luce i sintomi di un malessere a livello di Scuole Medie nel nostro Cantone.


 

UN CIRCOLO VIZIOSO DI DISCRIMINAZIONE
Oliviero Farinelli, Giovani MPS, Comano
Corriere del Ticino, 23 giugno 2012

Questo testo vuole essere una parziale ri­sposta alla presa di posizione dei Giovani Li­berali tramite il loro presidente Giovanni Po­loni apparsa sul CdT il 18.06.12. Un circolo vizioso di discriminazione: i livelli A e B nel­la scuola media. La scuola ticinese preve­de a partire dalla seconda media per le le­zioni di tedesco e matematica i livelli atti­tudinali (A) e Base (B). In linea teorica gli al­lievi meno dotati e con maggiori difficoltà seguono i corsi B. Un alunno può finire suo malgrado relegato ad un corso B magari per una difficoltà solo momentanea od una la­cuna che ne pregiudica i risultati e che lo de­moralizza allontanandolo ulteriormente dallo studio di tale materia. Ovviamente si può rompere questo circolo vizioso colman­do le carenze oppure sostenendo degli esa­mi (come quelli per accedere alle scuole me­die superiori per coloro che non hanno la media o/ed i corsi A), però questo richiede un sostegno esterno che può giungere dai famigliari (se hanno tempo e studiato) op­pure (nella stragrande maggioranza dei ca­si) da costose lezioni private che i nuclei fi­nanziariamente più deboli difficilmente pos­sono permettersi. Diventano dunque palesi i meccanismi del­la penalizzazione in funzione del ceto di pro­venienza. Se c'è quindi un difetto ideologi­co sta proprio nel voler applicare i dogmi del liberalismo (che tra l'altro prevedrebbero che tutti partano da una condizione di non­privilegio) in un sistema che è estremamen­te basato sulla disuguaglianza economica e le conseguenti discriminazioni sociali. Ba­sta dare un rapido sguardo ad i dati forniti dal Cantone («la scuola in cifre 2010») per osservare che dopo la seconda media solo il 30% degli allievi delle classi sociali più svan­taggiate frequenta due corsi A, contro il 56% delle classi medie ed l'83% delle classe più benestanti oppure i tassi di accesso alle scuo­le medie superiori il 16% per i più poveri, il 37% per la classe media ed il 70% per i più ricchi. Se questo non è un chiaro ed ine­quivocabile segnale di discriminazione mi è difficile immaginarne un altro. Senza con­tare che il tasso di popolazione straniera è superiore proprio tra i ceti meno abbienti e che appunto questi allievi non di rado non hanno quale lingua madre l'italiano (e dun­que gran parte delle loro difficoltà d'appren­dimento dipendono dal filtro linguistico). Essi hanno maggiore probabilità di finire nei corsi B e qui arenarsi creando all'interno del­la scuola stessa una ghettizzazione di fatto. Inoltre i corsi B hanno un programma me­no intenso ed approfondito dei corsi A. Sem­plicemente è ridicolo pensare che confinan­do gli allievi con più difficoltà in classi con lo stesso numero di ore di lezione e le stes­se risorse (un solo docente e rapporto nu­mero di allievi docenti sostanzialmente in­variato) queste procedendo più lentamen­te raggiungano le condizioni dei loro amici e compagni dei livelli A e possano quindi ac­cedervi. Naturalmente la sola abolizione dei livelli A e B non risolve minimamente i pro­blemi sollevati in questo articolo, ma pro­babilmente (unico punto in cui mi trovo d'ac­cordo con il signor Poloni)n l'iniziativa ge­nerica lanciata dai Verdi ha il solo pregio di riaprire il dibattito sulla scuola pubblica che deve essere indubbiamente differenziata in funzione delle necessità d'apprendimento del singolo individuo ed offrire reali pari op­portunità. Gli strumenti per concretizzare questi diritti fondamentali sono: l'aumento del numero di docenti e delle strutture sco­lastiche (con i connessi diminuzione del nu­mero di allievi per classe e le sessioni di eser­cizi seguite da più insegnanti), ore di ripe­tizione gratuite e (per i casi più difficili) l'estensione dei programmi di sostegno, tut­to ciò favorendo le classi unificate in modo che oltre ad apprendere nozioni scolastiche si favoriscano gli scambi e le relazioni tra al­lievi di diversa provenienza sociale, etnica, linguistica, dando fondamenta ad un clima di rispetto, tolleranza ed apertura al mon­do.
Ciò richiede logicamente un incremento delle risorse da parte dello Stato e se que­ste non sono disponibili vanno prese là do­ve ci sono, vale a dire dai più abbienti e pri­vilegiati contribuendo in tal modo ulterior­mente ad una maggiore giustizia ed ugua­glianza sociale e quindi creando un ambien­te di effettive pari opportunità.


 

LIVELLI A E B: ENTRIAMO NEL MERITO
Giovanni Poloni, presidente Giovani liberali radicali
Corriere del Ticino, 18 giugno 2012

L'iniziativa gene­rica lanciata dai Verdi che mira ad abolire i livelli A e B nel secondo ciclo di scuola media ha avuto il merito di ri­lanciare il dibattito sulla formazione pubblica. Di educa­zione e cultura non bisognerebbe mai smettere di discutere, lanciare proposte atte al miglioramento del sistema. Perché la cultura è la base più importante sulla quale costruire il successo della società ticinese - e svizze­ra - di domani.
Credo nella scuola pubblica e laica. Nu­tro invece dubbi nell'ideologia che vuo­le dipingere gli individui tutti uguali e senza differenze nel processo di appren­dimento. Abolire i livelli A e B giustifi­cando una sorta di dogma fondato sul­l'egualitarismo non credo sia né corret­to né giovi al dibattito inerente la scuo­la pubblica. Lo Stato deve garantire pa­ri opportunità a tutti gli individui sen­za che essi subiscano svantaggi o privi­legi per motivi di origine, razza, posizio­ne sociale, convinzione religiosa, filoso­fica, politica o stato di salute. La nostra costituzione cantonale è chiara in ma­teria: ognuno deve poter beneficiare di un'istruzione e di una formazione ade­guata e possa perfezionarsi «conforme­mente ai suoi desideri e alle sue attitu­dini».
La scuola pubblica deve incoraggiare il concetto di merito e non di privilegio. Se un alunno partecipa ad un livello A è per capacità, non per diritto acquisito o demerito altrui. Il livello B non condan­na lo studente ad una formazione lacu­nosa, semplicemente permette di affron­tare due materie (matematica e tedesco) con un approccio differenziato ma non per questo da denigrare o declassare co­me si vuole far credere. Contesto il prin­cipio, per cui scuola pubblica e merito sarebbero incompatibili. Probabilmen­te, il sistema educativo presenta delle ca­renze poiché si è trascurato l'importan­za delle formazioni professionali spin­gendo il gas sugli studi superiori (licei) a fronte di un tasso di bocciature eleva­tissimo al primo anno. Impellente risul­ta oggi fornire un servizio di orientamen­to scolastico che funga realmente da bus­sola per coloro che non sanno che rotta percorrere, nel valorizzare le professioni manuali, artigianali e tecniche. Un trend che non coinvolge unicamente il nostro Cantone. Ritengo che il dibattito sull'educazione non debba essere affrontato con metodi populistici ma con un discorso più am­pio, di riforma dell'educazione pubbli­ca e laica, che deve rimanere fiore all'oc­chiello del sistema socio-culturale del no­stro paese, senza trascurare l'integrazio­ne e la coesione sociale: dobbiamo esse­re bravi oggi ad evitare le «banlieu» di domani. In fondo, in una società demo­cratica, la qualità dei governanti dipen­de dalla cultura dei propri governati. In conclusione GLRT si dichiara contra­rio all'iniziativa generica lanciata dai verdi ma è ben disposto ad entrare in modo costruttivo e oggettivo nella te­matica inerente l'educazione pubblica. Abbiamo sempre affrontato e sostenu­to il tema della democratizzazione de­gli studi e delle pari opportunità con concretezza: nel 2010 lanciammo una petizione per richiedere che il Cantone ratificasse l'accordo intercantonale sul­le borse di studio, aumentando l'impor­to da 13mila a 16mila franchi. Dall'an­no 2012 - 2013 sarà realtà e siamo or­gogliosi di aver dato il nostro contribu­to. I giovani sono il presidio del futuro: coinvolgiamoli e discutiamo con loro a viso aperto, tenendo sempre ben presen­te che l'orizzonte comincia sempre ra­soterra.


 

RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA PRIMA DI ABOLIRE I LIVELLI
Amanda Rückert
Corriere del Ticino, 14 giugno 2012

Ogni dibattito che coinvolge la scuola è impor­tante, ma non va affrontato con la logica del tifo da stadio e del mar­keting politico. La proposta dei Ver­di di abolire i li­velli di tedesco e matematica alle Medie ha l'enorme pregio di riaprire il dibattito ma ri­schia di diventare uno di quei temi dove, tra sostenitori e oppositori, il pregiudizio prevale sulla logica e sul­l'opportunità, tanto che già si stanno formando schieramenti graniticamen­te contrapposti.
Di sicuro la scuola richiede di essere costantemente ripensata e riformata, ma le riforme vanno fatte nell'ambi­to di strategie chiare e globali. Non per innescare polemiche che alla fine diventano guerre di religione o batta­glie di principio.
Non sono contraria a priori all'abo­lizione dei livelli, ma credo che que­sto sia possibile solo nel complesso di una riforma più ampia e che prima occorra studiare e adottare una serie di misure. Per esempio, ridurre ulte­riormente il numero di allievi per clas­se, come intende fare il direttore del Dipartimento Manuele Bertoli, così da poter migliorare istruzione e ap­prendimento; aumentare sforzi e ri­sorse nell'ambito dell'orientamento scolastico e professionale; promuove­re scelte che sfocino in carriere lavo­rative ancora poco valorizzate o che hanno perso in attrattività. Bisogna dunque valutare se mantenere o abo­lire i livelli nel quadro di una rifor­ma generale.
Non ci si può limitare a dire che i li­velli B di matematica e tedesco sono soggettivamente discriminatori per chi li subisce nell'ambito di una scuola dell'obbligo che, come tale, dovrebbe garantire ad ogni allievo una presun­ta parità di trattamento. E nemmeno li si possono definire iniqui afferman­do che alcuni datori di lavoro, se pos­sono scegliere, prediligono nelle as­sunzioni di apprendisti allievi che hanno frequentato i livelli A in quel­le materie. E non ci si può nemmeno limitare a dire che anche le note sco­lastiche, ad ogni livello, siano elemen­ti di discriminazione tra studenti più e meno dotati, o semplicemente più o meno studiosi. E discriminatorie po­trebbero essere anche alcune qualifi­che, magari non strettamente neces­sarie, richieste dai datori di lavoro.
Si può dire che tutta la nostra società si basa su elementi discriminatori. Ma sentirsi discriminato è un fattore sog­gettivo. Un elemento di discriminazio­ne tra chi ha successo nella vita, sco­lastica, professionale e personale, può essere la fortuna. Più spesso sono la capacità, la caparbietà, l'intelligenza, a fare la differenza. E questi sono va­lori da coltivare e da promuovere, per­ché nessuno nasce con la scienza in­fusa. Illudere i ragazzi che la scuola e lo Stato garantiscono a tutti il succes­so e la riuscita senza alcuno sforzo per­sonale è pericoloso e diseducativo. Queste cose bisogna farle capire ai gio­vani il prima possibile, uscendo dalla logica che la scuola media, siccome è ancora nella fase dell'obbligo, è gratis sul piano dell'impegno e dell'applica­zione. E alle famiglie bisogna far ca­pire che non devono riporre nei pro­pri figli false speranze, che non devo­no farsi condizionare (condizionando di conseguenza i ragazzi) da modelli sociali ormai superati - tipo se non vai al liceo sei un fallito -.
Non dobbiamo, quindi, a mio pare­re, incorrere nell'errore di abolire i li­velli pensando di promuovere una lo­gica egualitaria e democratica, anche perché poi, crescendo e affrontando la vita, ogni giovane dovrà fare i con­ti con innumerevoli esperienze di se­lezione che, volente o nolente, sarà co­stretto ad affrontare. Dobbiamo abo­lire i livelli solo se, nel quadro di una precisa riforma, riterremo che questo provvedimento sia utile per migliora­re l'apprendimento scolastico dei no­stri ragazzi, mantenendo però una dif­ferenziazione nei curriculum scolasti­ci ed evitando di omologare ed ap­piattire - inevitabilmente verso il bas­so - il livello dell'insegnamento.


 

LA SCUOLA DOVREBBE PUNTARE SULLE INCLINAZIONI DEI GIOVANI
Fanny Merker, docente liceale
Corriere del Ticino, 31 maggio 2012

La proposta dei Verdi di abolire i livelli A e B alla Scuola Media rivendica un principio di uguaglianza senza confrontarsi con la realtà dell'insegnamento in Ticino. Mi permetto di intervenire nonostante la mia esperienza di docente non sia decennale, perché oggi chiunque ricordi di essere stato allievo o abbia dei figli in età scolastica può esprimere un giudizio severo e articolato sulla qualità della scuola. Spero che il dibattito torni a coinvolgere gli insegnanti, affinché l'attenzione dell'opinione pubblica verta su problemi attuali e concreti. Il nemico, questa volta, è il livello, un tempo sezione A e B, poi livello 1 e 2, oggi livello A e B in matematica e tedesco, le materie che, tradizionalmente, creano maggiori difficoltà di apprendimento agli allievi. La selezione tra livelli dipende dalla valutazione: almeno 4,5 alla fine della seconda, con la possibilità di deroga, almeno 5 alla fine della terza per passare al livello A; ma anche con il corso B in matematica un allievo può entrare al liceo o alla Scuola Cantonale di Commercio, grazie all'esame d'ammissione. Il fatto che la motivazione e l'accompagnamento nello studio, spesso fondamentali per la riuscita scolastica, dipendano dalla situazione socioeconomica della famiglia è un altro discorso, distorto dai promotori dell'iniziativa, i quali accusano la scuola di promuovere al livello A solo i ragazzi di ceto medio-alto. Nonostante questa e altre odiose barriere (media finale almeno 4,65, nota d'italiano almeno 4,5, sempre soggetti a deroghe) l'esito è drammaticamente noto, almeno agli insegnanti. In Ticino più del 42% degli allievi alla fine della Scuola Media si riversa nel secondario II (rinvio per questo e altri dati all'articolo Transizioni dopo la scuola dell'obbligo: le scelte dei giovani in Ticino , di Elena Boldrini e Luca Bausch, in Schweizerische Zeitschrift für Bildungswissenschaften , n° 31, 2009). In Svizzera, secondo il Rapporto sul sistema educativo svizzero del 2010, la percentuale di maturati è del 18%, superiore a quella di Cantoni a noi vicini come Grigioni, Vallese, Uri, Svitto. Ma gli allievi ticinesi non sono né più capaci né meglio formati: se poco motivati o deboli scolasticamente sono condannati ad accumulare fallimenti e frustrazioni. La percentuale di bocciature in prima e seconda liceo o Commercio è del 30%, spesso di più: abolire i livelli significa semplicemente alzare questo dato, perché il divario tra le competenze acquisite e quelle richieste si scaverà ancora. La maturità liceale non è più indispen sabile per accedere all'università e alle SUPSI: esistono deroghe, colloqui d'ammissione, anni «passerella». Il sistema è poroso, proprio per evitare che una scelta compiuta a tredici anni modifichi definitivamente il percorso scolastico. Mi chiedo perché, invece di lottare perché tutti vadano al liceo, non si tenti di far accedere i giovani alla formazione più adatta alle loro competenze e soprattutto alle loro inclinazioni. L'opacità tra allievi e mondo del lavoro ha generato una corsa alla maturità che non ha paragone in Svizzera (mi sembra più giusto con frontare la situazione di un ragazzo ticinese con quella dei suoi coetanei di Coira, Sion e Lucerna, invece che di Helsinki). Sempre più spesso i miei allievi di prima liceo o Commercio ammettono di essersi iscritti perché non avevano trovato un posto di lavoro: hanno forse meno diritto all'apprendistato che alla maturità? I problemi della scuola ticinese sono urgenti e importanti, ma sembra che nessuno abbia davvero il coraggio di ammetterne la responsabilità, né di trovarvi una soluzione.


 

RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA
Claudia Crivelli Barella, deputata per i Verdi
Corriere del Ticino, 26 maggio 2012

Negli scorsi giorni a nome dei Verdi ho presentato un'iniziativa generica che chiede di abolire i livelli A e B nella scuola media. Questa proposta si inserisce in una visione ad ampio respiro della scuola, che nei quattro anni di medie costituisce l'ultima possibilità per molti ragazzi di ricevere un'istruzione scolastica, di stare in una classe insieme ad altri compagni. Anni preziosi per una preziosa gioventù: il nostro futuro. Senza essere catastrofisti, se posso riconoscere qualcosa di positivo alle sciagure climatiche e ambientali è il fatto di renderci attenti che siamo tutti collegati, che se succede qualcosa dall'altra parte del mondo, noi c'entriamo: non possiamo chiamarci fuori, dire che non ci importa. Ogni nostra scelta comporta delle conseguenze: l'avanzamento dei deserti, lo scioglimento dei ghiacciai, le catastrofi nucleari…tutto ci concerne. Internet ha cambiato il modo di approcciare il mondo, e da un'istruzione gerarchica e di tipo stimolo-risposta stiamo passando a un'era dove l'educazione deve diventare laterale, ovvero prendere coscienza che l'essere umano è altamente sociale ed empatico, e che l'umanità deve riconoscere la propria appartenenza al sistema terrestre, alla biosfera: di fronte ai grandi mutamenti che ci attendono, o ci uniamo e collaboriamo verso un bene comune, oppure scompariremo.
L'istruzione distribuita e collaborativa parte dall'idea che si ha una maggiore probabilità di ottenere il risultato desiderato se le persone ragionano insieme, mettendo in comune le esperienze personali, rispetto al caso in cui ciascuna ragiona separatamente dagli altri. Diamo per scontato che la modalità in cui viene impartito il sapere sia l'unica possibile per la trasmissione della conoscenza. Ma il mondo è cambiato: Adam Smith è superato, l'economia deve affrontare nuove sfide, un nuovo modo di affrontare il mondo (riflettiamo: i ragazzi immagazzinano più nozioni a scuola o attraverso i social network?). Soprattutto, il mondo sta cambiando: servono ragazze e ragazzi in grado di prendersi a cuore il destino della Terra, ragazze vicine alla natura e ragazzi che sappiano usare le mani non meno della testa. Ragazze e ragazzi pronti ad affrontare un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto noi, tanto affascinante quanto inquietante. Dividere i giovani in livelli A e livelli B è obsoleto, indice della nostra difficoltà a cambiare: bisogna pensare il cambiamento, essere pragmatici, concreti, e sentirsi coinvolti. Volenti o nolenti, lo siamo tutti.


 

RIPENSARE LA SCUOLA MEDIA
Marco Celoria, Mendrisio
Corriere del Ticino, 23 maggio 2012

L'iniziativa presentata dalla deputata Claudia Crivelli Barella riguardante la necessità di abolire i livelli A e B nelle scuole medie per poterla ripensare a vasta scala vale senz'altro la pena di essere appoggiata indipendentemente dallo schieramento politico. L'adolescenza costituisce un periodo della vita che solo recentemente è divenuto oggetto di indagine scientifica. L'idea che l'esperienza personale sia sufficiente ed affidabile per una conoscenza dell'adolescenza è ormai superata, in quanto è difficile, da adulti, quando ormai la propria vita mentale ha assunto caratteri di stabilità e chiarezza, tornare a rivivere una condizione mentale caratterizzata da instabilità ed emotività. Inoltre si tende a rimuovere situazioni vissute nel nostro passato che non si accordano con l'immagine consolidata che abbiamo da adulti (ad esempio atteggiamenti di scarsa lealtà o coraggio che si hanno tipicamente in quell'età). Negli ultimi decenni la necessità di avere una preparazione scientifica, tecnica o professionale si è allargata ad innumerevoli persone, e ne è derivato un allungamento del periodo di scolarità e del periodo in cui l'adolescente resta in condizione di dipendenza nei confronti degli adulti (genitori, insegnanti). Inoltre, la maggior complessità della società moderna impone all'adolescente scelte più numerose e difficili, perciò un maggiore numero di esperienze e di tentativi di adattamento. Si inizierà a comprendere, in questo contesto, come una scelta drastica a livello professionale come quella imposta dai livelli sia, se mai non lo fosse stato, un modello orami superato. Il periodo adolescenziale è caratterizzato dallo sviluppo di un tipo nuovo di pensiero, quello che il nostro Piaget chiamava pensiero ipotetico-deduttivo, nel quale giocano un ruolo preminente la rappresentazione di situazioni puramente possibili, ipotetiche, e la capacità di cogliere anche in modo riflesso e nella forma astratta i rapporti logici. È chiaro come l' acquisizione dipenda da una serie di fattori psicologici che per ognuno possa variare, per cui l'età cronologica e mentale spesso non coincidono. Un ragazzo/a a tredici-quattordici (età dell'imposizione dei livelli), si trova di fronte a tutta una serie di problemi nuovi, di trasformazioni che suscitano ansia e conflitto: l'accelerazione della crescita fisica e il cambiamento del corpo con tutte le conseguenti risonanze psicologiche, la maturazione puberale, il riemergere della pulsione sessuale, le nuove forme di sessualità autoerotica, le prime esperienze di innamoramento, il mutamento del rapporto con gli adulti fino al bisogno di autonomia. In questo contesto si possono verificare facilmente condizioni di saturazione nei confronti dell'ambiente scolastico. Questa saturazione, più frequente nella seconda metà dell'anno, può dare origine a un vivo interesse di cambiare, può caricare di valenze fortemente positive certe attività extrascolastiche, facilitare la frequentazione di certi ambienti che non hanno a che fare con la scuola. Tutto questo ha effetto sulla maturazione intellettuale e può avere ripercussioni nei confronti dello studio, che spesso ha un rilievo secondario per l'adolescente, il quale non si rende conto delle scelte che deve affrontare. Può anche accadere che un insegnante, per scarsa conoscenza delle esperienze psicologiche presenti in questa fase dello sviluppo cognitivo, o per mancanza di interesse personale per i problemi epistemici, o anche semplicemente per il fatto di non aver ricevuto un'adeguata preparazione in questo campo, non riesca a soddisfare attraverso il suo insegnamento questi interessi nuovi, che restano presenti solo in forma germinale, non sviluppati né alimentati che si può tradurre nell'impressione, segnalata da molti ragazzi di questa età, che molte delle cose di cui si parla a scuola, sono lontane da loro, prive di un interesse vero, estranee alla loro vita e ai bisogni di crescita. Un adolescente può essere fisicamente nell'aula, al suo banco, oppure seduto alla sua scrivania in camera a casa, con il libro aperto davanti, ma il suo pensiero è spesso altrove (al litigio con il papà, al commento ironico del compagno sulla forma del suo naso, alla ragazza/o di cui si è innamorato). L'insegnante delle scuole medie ha dunque un compito in più. Ha certamente necessità di favorire i processi di comprensione di un allievo e di ampliare il patrimonio di conoscenze, ma soprattutto deve trovare il modo di indirizzare nuovamente verso le attività di studio quella cospicua parte dell'energia psichica che è confluita nelle problematiche personali, con la conseguente caduta di interesse e impegno per lo studio. Parliamo ai ragazzi di questa età, non etichettiamoli come di serie A o B, diamo loro un modo non intrusivo di aiuto per i problemi personali, anche a costo di rinviare la decisione sul loro futuro, dandogli il tempo che gli serve, anche creando un anno attitudinale post scuole medie, eviteremmo cosi loro tante inutili bocciature il primo anno di liceo o apprendistati scelti unicamente per mancanza di alternative, oltre le sofferenze psicologiche che rimarranno altrimenti indelebili nel loro processo evolutivo di crescita di molti ragazzi.

 

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