ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO

Temi e problemi delle “Medie” a 40 anni dalla loro istituzione

a cura di Clemente Mazzetta, Il Caffè, luglio-agosto 2012

L'INSEGNAMENTO: BUONI PROGRAMMI MA INSEGNANTI UN PO’ DEMOTIVATI
8 luglio 2012

Una scuola media poco selettiva (con un tasso di bocciatura del 2%), a cui le famiglie chiedono molto, e con i docenti che ritengono di avere “buone” capacità scientifiche e didattiche ma poco “riconoscimento” sociale. Una scuola che a 40 anni dalla sua istituzione qualcuno vorrebbe riformare. Per il deputato di Al Sergio Morisoli ci vorrebbe una specie “di Vaticano II” della media. Più “laicamente” anche il consigliere di Stato, Manuele Bertoli, che reputa la scuola ticinese di qualità, da tempi non sospetti – quando non sapeva che sarebbe diventato direttore del Decs - riteneva che occorresse riformarla. Primo, perché dopo l’introduzione della scuola media (1974), non vi sarebbero state riforme significative. Secondo, perché l’arrivo del concordato Harmos obbliga ad armonizzare i programmi scolastici con quelli degli altri 14 cantoni che vi hanno aderito. Un ripensamento per capire cosa è veramente essenziale che gli alunni imparino, e cosa no. Se i programmi sono adeguati, attuali: se c’è troppa matematica, poco inglese, abbastanza storia, e nient’affatto tradizioni locali? “Non penso che l’avvento di Harmos stravolgerà i programmi - dice Claudia De Gasparo, del Movimento per la scuola- , ma il fatto che esso pone l’accento sulle competenze trasversali, rischia di far passare in secondo piano i contenuti”. Pur consapevole che quella delle competenze - per cui si deve puntare all’acquisizione delle conoscenze (saperi) e delle abilità (saper fare), aiutando gli studenti a migliorare le attitudini personali e sociali (saper essere) - è una tendenza europea, aggiunge: “Non basta saper fare, non basta nella società dell’informazione saper trovare i dati su internet : occorre capirli, metterli in relazione, altrimenti la scuola rischia di diventare un luogo d’animazione e non di trasmissione di cultura”. Ma dopo la “riforma 3” del 2005 che ha interessato tutti i livelli della media, con Harmos oggi la scuola è in attesa della rimodulazione dei programmi. “Tutti dicono che bisogna riformarli, il problema è come lo si fa – osserva Giovanni Galli, psicopedagogista –. Sono però le condizioni quotidiane di lavoro che meritano attenzione. Possiamo avere i programmi migliori del mondo, ma se ci troviamo di fronte ad insegnanti demotivati, poco valutati, classi difficili, non è con i programmi più performanti che riusciremo a risolvere i problemi della scuola. Sappiamo che abbiamo un corpo docente buono, come si rileva indirettamente dai dati Pisa”. In verità per i test Pisa, che misurano le competenze degli studenti in lettura, matematica e scienze, la media ticinese con 518 punti si colloca dietro a quella dei cantoni Romandi e della Svizzera tedesca. In compenso l’effetto dell’ambiente sociale, economico e culturale da cui i ragazzi provengono, in Ticino è meno rilevante che nel resto della Svizzera. E in definitiva la media ticinese è superiore alla media dei Paesi dell’Ocse attestata a 497 punti. La selezione degli insegnanti, che presuppone per tutti un’abilitazione, e un successivo esame scritto e orale (e per i docenti italiani anche un test su storia, cultura, istituzioni svizzere e ticinesi), è considerata buona. “Ma il problema della qualità dei docenti non è però dato dalla severità o meno della selezione – avverte De Gaspero –, ma dal fatto che in un periodo di forte ricambio generazionale, la professione non è più attrattiva sia per gli stipendi bassi che per l’aumento dei compiti”. Come dire che insegnare è solo una seconda scelta.

“Non si tratta di essere più severi nella selezione, ma di rendere la professione, a cui si chiede molto, decisamente più attrattiva”


 

“UNA SCUOLA POCO ATTENTA ALL’ASPETTO INDIVIDUALE”: LE CRITICHE DEI GENITORI AL SERVIZIO D’ORIENTAMENTO
15 luglio 2012

Alla scuola media si chiede molto, forse troppo. Non più solo insegnare a “leggere e far di conto”, ma formazione globale. Forse perché sembra essere l’istituzione educativa che meglio risponde alla crisi della famiglia, della società e della fede, fosse solo per il fatto che ospita i ragazzi da 4 a 15 anni. Che devono non solo sapere, ma saper fare e saper essere. E poi, dopo italiano, francese, tedesco, matematica, anche corsi per andare in motorino e lezioni di pronto soccorso. Dalla scuola media, dove i ragazzi entrano bambini ed escono adolescenti, le famiglie pretendono di tutto e di più: insegnamento, orientamento, indirizzo, ma anche selezione.

Con qualche problema di relazione fra docenti e famiglie, scuola e genitori. “Ci sono quelle che non chiedono niente e quelle che si impicciano troppo, non rispettano le decisioni del docente, difendono il figlio in caso di giudizi negativi, e sono iperprotettivi”, nota Patricia Elzi, scuola media di Barbengo, membro della Conferenza cantonale dei genitori. Parallelamente al calo di prestigio sociale dei docenti, tendenza rafforzata dagli stipendi, giudicati non più adeguati al costo della vita, sembra venuta meno anche la loro autorevolezza, il riconoscimento della loro professionalità didattica e pedagogica.

“Per la mia esperienza, di docenti professionalmente validi non è che ne ho trovati molti. Un trenta/quaranta per cento, non di più. I rimanenti sono abbastanza mediocri”, sottolinea Elzi. Una scuola non più vista come istituzione, con le proprie dinamiche, ma come una qualsiasi agenzia formativa al servizio del ragazzo, del “cliente” famiglia che chiede e pretende. Sotto accusa in particolare il servizio d’orientamento: “Nel complesso abbiamo una scuola troppo nozionistica, poco attenta all’aspetto individuale, alle scelte che il ragazzo dovrà fare successivamente, se liceo o scuole professionali”. Un servizio d’orientamento insufficiente non per limiti professionali, ma per carenza di personale (“un orientatore per 400 ragazzi a Barbengo”).

In compenso, secondo una recente indagine statistica dell’Associazione società civile della Svizzera Italiana (Asci 2011), la scuola media è considerata un progresso rispetto al vecchio ordinamento degli anni ’70, almeno dal 40% dei ticinesi. La maggioranza dei genitori ticinesi considera buona la formazione ricevuta dai figli. Solo uno su dieci la ritiene decisamente insufficiente. Una buona metà ritiene pure giusto che non sia selettiva, e il 60% sostiene che prepara bene per l’apprendistato. La disponibilità alla collaborazione fra scuola e famiglia è positiva, anzi addirittura facile per 7 genitori su 10. Come ribadisce Marco Ragazzi dell’ Associazione genitori di Acquarossa: “C’è da farsi sentire, ma nel complesso la scuola è aperta al dialogo, alle richieste delle famiglie”. Anche a trattare temi delicati. Come sta avvenendo a Bellinzona dove Michele Egloff presidente dell’assemblea genitori Area Lilla (elementari) ha trovato la scuola disponibile ad organizzare serate informative su un tema come la pedofilia (“Le parole non dette”, un progetto di prevenzione primaria degli abusi sessuali su minori). E anche quando insorgono problemi organizzativi come quello della sperimentazione del progetto mense a Cevio, che aveva escluso il trasporto a casa nella pausa pranzo, il dialogo non viene meno. Lo conferma Nadia Da Pos, dell’ assemblea dei genitori di Cevio, che dà una valutazione positiva: “ Abbiamo mantenuto un ottimo rapporto con la scuola e con i docenti, che sono sempre molto disponibili. Per il problema mensa capisco che è una soluzione idonea per una madre che lavora, io potendo fare diversamente preferisco invece avere mio figlio a casa”, afferma derubricando il caso da una “guerra di religione” come era apparsa qualche settimana fa e mera soluzione organizzativa.“

"Oggi non si rispettano le decisioni e le prerogative dei docenti, si difendono i figli”. Le famiglie chiedono molto. Formazione competenze, indirizzo, ma anche selezione"


 

LA FORMULA DELLA SCUOLA PERFETTA: ECCO PERCHÉ GLI STUDENTI FINLANDESI SONO FRA I MIGLIORI D’EUROPA
PIRKKO PELTONEN da Helsinki, 22 luglio 2012

Cominciate col destinare il 6,2% del Pil all’istruzione (media Ocse, 5,3%) e rendete la scuola totalmente gratuita (libri, mensa e trasporto scolastico compresi); continuate col togliere di mezzo gli orientamenti politici dei ministri di turno, e l’influenza delle lobby di categoria. Andate avanti passando le leve di governance agli enti locali, e aggiungete, poi, una buona dose di professionalità e di meritocrazia. Ecco la ricetta finlandese. Nulla di straordinario. Però, difficilmente esportabile, così pare.

Mentre continua il via vai di professionisti della scuola (di tutto il mondo) in Finlandia, per studiare in loco quel sistema che continua a piazzare gli scolari finlandesi ai primi posti nelle classifiche internazionali (i rapporti Pisa, Programme for International Students Assessment), ben pochi sono i Paesi che hanno copiato il tanto elogiato sistema. Anzi, c’è chi comincia a dubitarne: “è tutto oro quel che luccica?”, si sono domandati alcuni media.

Ma i finlandesi possono esibire le loro statistiche: nella “scuola di base” (peruskoulu), di nove anni, divisa in due cicli e obbligatoria per tutti (dai 7 ai 16 anni), il costo medio di un alunno per la società (il costo viene ripartito tra enti locali e lo Stato) è di 7.300 euro all’anno (circa 8.800 franchi), e non si scosta molto dalla media Ue. Le bocciature sono rare, anche perché un tutor segue gli alunni in difficoltà. Si sta meno a scuola rispetto alla media europea, i compiti a casa sono pochi. La diversità nei risultati tra le scuole dei centri urbani e delle periferie sono minime. La maggior parte degli alunni continua al liceo o nelle scuole professionali. Si accede all’università mediante duri esami e la rigida selezione del numero chiuso. Il sistema complessivo ha fatto sì che, oggi, il 38 % dei giovani finlandesi possiede un titolo universitario (contro la media Ue del 33,6). È un bel passo verso “la società della conoscenza”. La riforma scolastica è stata prima sperimentata, nel 1972, nelle regioni più povere (il Nord e la Lapponia), ma è arrivata a regime solo nel 1985. È stato, quindi, un processo molto lungo, che ha tenuto conto anche delle resistenze della società e del vecchio corpo insegnante. Una volta condiviso (nel frattempo sono cambiati molti governi, dai socialdemocratici ai centristi ai conservatori, senza che la riforma fosse mai stata messa in discussione), il sistema continua ad essere aggiornato. L’ultima novità, di pochi giorni fa, è la delibera del governo del 28 giugno con la quale aumenteranno le ore dedicate all’arte, alle attività manuali, alle scienze sociali, allo sport. Saranno rafforzati anche i programmi di insegnamento delle lingue. Diminuite, invece, le ore dedicate alla religione; saranno aumentate le ore di espressione teatrale quale metodo pedagogico nell’insegnamento della letteratura e delle scienze sociali. La fisica, la chimica, la biologia, la geografia saranno integrate nei programmi sull’ambiente. E da quest’autunno, vincendo la plurisecolare diffidenza nei confronti dell’ingombrante vicino, inizieranno - nelle scuole della Finlandia orientale - le lezioni di lingua russa. Novità resa interessante per i sempre maggiori scambi commerciali tra la Finlandia e la nuova Russia. Ecco come la scuola sta al passo coi tempi che cambiano.

Ma perché l’amato e rispettato sistema non viene “sposato” altrove? Qual è il suo segreto recondito?
Forse è una questione di fiducia. Alle amministrazioni locali viene affidata l’elaborazione del sistema educativo territoriale (dal governo, dal Ministero arrivano soltanto le linee di massima) così come la scelta del corpo docente; sono gli stessi insegnanti (usciti dall’alta scuola di specializzazione della durata di cinque anni) ad elaborare i propri programmi d’insegnamento; le famiglie partecipano con numerose attività extra-scolastiche; gli alunni imparano a vivere in un contesto di equità sociale (la scuola di base è uguale per tutti), ma caratterizzato da un alto tasso di competitività personale. Ognuno deve fidarsi dell’altro. Dell’amministrazione pubblica come della professionalità dei docenti e del sostegno delle famiglie. Finora la fiducia ha dato buoni frutti: la “peruskoulu”, certamente non esente da critiche nella stessa Finlandia, rimane la scelta di tutti: gli istituti privati, anch’essi finanziati col denaro pubblico, rappresentano solo il due per cento delle scuole nel Paese.


 

CON VENTICINQUE ALUNNI PER CLASSE PROVATE VOI A METTERVI IN CATTEDRA!
22 luglio 2012

Se 25 alunni in classe vi sembran pochi provate voi a insegnare. La decisione del consigliere di Stato Manuele Bertoli di ridurre gradualmente, a partire dal prossimo anno scolastico (2013/14), gli alunni nella scuola elementare e nel primo biennio della scuola media, da 25 a 22 massimo per classe, è giudicata positivamente dal corpo insegnante. Né poteva essere diversamente, visto che era una delle rivendicazioni più pressanti dei docenti ticinesi, anche se le classi meno numerose non sono sempre le migliori. Secondo un’indagine dell’Ocse non esiste una correlazione diretta nel rapporto insegnanti/studenti e il livello di prestazioni. In Giappone, Corea, Messico, Brasile, Cile e Israele ci sono 30 e più studenti per classe contro i 20 di Danimarca, Islanda, Lussemburgo, dove, ad esempio, solo il 2,7% degli studenti figura tra i migliori in matematica (test Pisa), contro l’8,2% del Giappone.

“È, però, un segnale importante verso le difficoltà dei docenti, migliora la gestione della classe, facilita l’apprendimento degli alunni - sostiene Renata Dozio, pedagogista e psicoterapeuta di Pregassona -. Ma non è con tre allievi in meno per classe che si risolvono i problemi della scuola, sono molti i fattori che entrano in gioco”. Sono la composizione socio-culturale, la competenza linguistica, l’educazione degli alunni, unite alla professionalità dei docenti, a fare la differenza. “Basta avere in classe due alunni difficili e i problemi si moltiplicano – aggiunge Dozio –. Ma c’è pure la percezione che i genitori hanno della scuola, vista più come un’agenzia al servizio della famiglia che non un’istituzione con un mandato educativo, a peggiorare i problemi della scuola”. Una scuola ideale dovrebbe avere, dunque, meno allievi, docenti più motivati, un sostegno alle situazioni critiche e una verifica continua dei programmi. E senza demonizzare le pluriclassi (attualmente 171 su 784, pari al 17 per cento) che secondo molti esperti, hanno anche dei pregi, come quello di mettere a confronto saperi ed età evolutive diverse, produrre una maggior solidarietà fra gli alunni e d’insegnare la comprensione dei tempi dell’attesa, il sapere aspettare il proprio turno. Ben venga comunque questa riduzione di alunni (anche se le classi con 25 allievi sono solo 6 su 784) ma senza sovrastimarne gli effetti. Per la pedagogista Maria Luisa Delcò si dovrebbe però prendere in esame tutto il sistema dell’obbligo, che con l’avvento di Harmos inizierà a quattro anni. “Si tratta di un’armonizzazione che serve più alla Svizzera tedesca che a noi, ma che deve essere un’opportunità per rivedere tutto, a partire dal numero degli alunni che nella scuola d’infanzia è ancora di 25, all’interno di un approccio globale e non settoriale. Perché la scuola prescolastica è di fatto una pluriclasse, visto che mette assieme bambini di 3, 4 e 5 anni”. Il problema è la sopportabilità degli oneri. Il progetto di riduzione degli alunni per classe comporterà l’istituzione di una cinquantina di nuove sezioni. Ciò, assieme alla generalizzazione della figura del direttore (attualmente questo ruolo è previsto solo in due terzi degli istituti scolastici), comporterà un costo di 15 milioni annui (di cui 9 a carico dei Comuni). Nella proposta Bertoli, in consultazione fino al 31 agosto, è previsto anche un aumento degli stipendi per i docenti delle elementari pari a 3’300 franchi in più all’anno.

“Ma non è con tre allievi in meno che tutto si risolve. Pesa molto di più la condizione socio-culturale”


 

“È TEMPO DI DIMENTICARE FRANSCINI”. MORISOLI CHIEDE A BERTOLI UNA SVOLTA SULLA SCUOLA DELL’OBBLIGO
12 agosto 2012

Dimenticare Franscini. Ovvero ripensare la scuola dell’obbligo, in particolare la media, guardando alle migliori esperienze dell’Europa, superando le vecchie concezioni ideologiche del secolo scorso. Andando oltre anche ad una certa propensione ad intervenire per tentativi, sperimentazioni isolate. Per Sergio Morisoli, presidente di Area Liberale “parlare oggi di scuola non dev’essere più una questione ideologica, ma una concreta risposta alle esigenze di una società che è mutata radicalmente. Se Franscini vivesse ai nostri tempi sarebbe il primo a mettere mano ad una revisione scolastica globale”. Nell’inchiesta del Caffè sui problemi della scuola dell’obbligo, che ha evidenziato sacche di demotivazioni all’interno del corpo insegnante, carenze nell’orientamento degli studenti, classi numerose e altre carenze, non poteva mancare l’analisi di Morisoli, deputato che ha presentato una mozione per chiedere una revisione a 360 gradi della scuola media. Morisoli punta l’attenzione sulle mutate condizioni socio-economiche rispetto alla scuola che mantiene una struttura concepita negli anni ‘70. “Invece di procedere per settori, per interventi tecnici, organizzativi, è ora di ripensarla globalmente, tenendo presente che sono cambiati sia chi vi entra, sia il mondo all’uscita. Gli studenti, sono radicalmente diversi da quelli degli anni ’70, per cui fu strutturata l’attuale media. Il mondo che li attende al termine del percorso educativo, le scuole superiori e delle professioni, la società, il lavoro sono cambiati. Ed è cambiata la famiglia, ovvero chi accompagna questi alunni negli anni della scuola dell’obbligo”. Insomma si è trasformato tutto, tranne la scuola.

“Per questo - aggiunge Morisoli ritengo che l’educazione e la scuola pubblica siano una delle priorità della politica. Invece il ministro della Cultura Bertoli viene lasciato in mezzo al guado, ad operare in un ambito tecnico organizzativo, come se il dossier scuola fosse solo un suo problema”. Da tema emergente della campagna elettorale, a questione secondaria: “Ma la scuola è un primario compito pubblico”, insiste Morisoli, sottolineando che le esperienze di maggior successo - secondo i test Pisa sulle competenze degli studenti- sono quelle finlandesi e olandesi, Paesi di ispirazione socialdemocratica, ma che registrano una preponderanza di scuole private. “È lo Stato che le favorisce - nota- spingendo verso un modello misto, paritetico fra pubblico e privato”. Una soluzione che nel 2001 aveva però diviso il Ticino. Sul problema dell’“egualitarismo” della scuola ticinese (secondo i test Pisa registra una “minor distanza” fra i primi e gli ultimi rispetto alle altre scuole svizzere), sul tema della selezione e dei livelli (di cui i Verdi hanno chiesto l’abolizione in quanto elementi di discriminazione economica e di classe), Morisoli osserva: “Occorre garantire le stesse condizioni di partenza per tutti, ma non la parità di risultati. La scuola va differenziata, non siamo tutti uguali. E va valorizzata la scuola professionale rispetto ad un modello che porta tutti all’università e alle scuole superiori”. Ma prima di parlare di divaricazione tra scuola e mondo del lavoro, va ricordato che nel settore secondario superiore in Ticino si registrano attualmente 16 mila studenti. Tra questi, poco più di un terzo è iscritto ad una scuola media superiore, mentre i due terzi restanti seguono una formazione professionale, a tempo pieno (3.326) o parziale (6.855) o un pre tirocinio (263). E ci sono poi i 7.329 studenti, suddivisi tra scuole professionali superiori, Supsi e Usi.

“Non possiamo affrontare questo nodo in modo ideologico, dobbiamo dare risposte concrete” “Oggi non ci sono più gli studenti, il mondo del lavoro e la famiglia di mezzo secolo fa”


 

A SINISTRA SI PUNTA SULL’INTEGRAZIONE SCOLASTICA. DA DESTRA SÌ ALL’ORIENTAMENTO PROFESSIONALE MIRATO, NO AL LIVELLAMENTO.
SE LA POLITICA METTE IN AGENDA LA FORMAZIONE

19 agosto 2012

La scuola è fra le prime “emergenze” nell’agenda dei politici. Occorre - dicono - aggiornarla anche in vista dell’armonizzazione del piano Harmos. Lo sostiene il Ps, che con Manuele Bertoli ha assunto la direzione del Decs distinguendosi per una serie di proposte: dalla riduzione del numero degli alunni da 25 a 22 per classe, ad una miglior retribuzione dei docenti delle scuole elementari. Ma è una questione che registra una diversità d’approccio, dal sapore ancora “ideologico”. Ad esempio, se per i Verdi occorre ripensare il sistema dei livelli nella media “perché si sono rivelati una discriminazione sociale”, per l’Udc bisogna privilegiare e migliorare l’orientamento “preparando gli studenti all’entrata nella vita professionale e all’esercizio del loro futuro mestiere”. Così afferma il capogruppo parlamentare Marco Chiesa, contrario all’eliminazione dei livelli: “Una misura che appiattisce l’insegnamento e mortifica chi ha talento”. Un concetto condiviso anche da Christian Vitta, capogruppo Plrt, secondo cui “va evitato un appiattimento verso il basso della nostra scuola, che già prevede un’integrazione degli studenti che hanno maggiori difficoltà. Ben venga una verifica del settore dell’educazione, che è in continua evoluzione, ma stiamo attenti a non fare passi indietro”. Tutti però concordano che è arrivato il momento di riformare un sistema che ha fatto il suo tempo e che produce anche distorsioni. Il Ticino si distingue infatti dal resto della Svizzera per due caratteristiche: l’alto tasso di “licealizzazione” post media, a cui consegue una minor frequenza nella formazione di base, e per una successiva alta percentuale di insuccessi scolastici nella prima liceo o commerciale. Cosa che produce un rientro nella formazione professionale con un anno di ritardo.

Per Bertoli, dopo le riforme del settore terziario della formazione (Usi, Supsi, Asp), è così necessario rivolgere nuovamente l’attenzione verso la scuola dell’obbligo “con una visione ampia e coraggiosa, che permetta di cambiare il sistema in maniera radicale”. L’obiettivo, nero su bianco nelle linee direttive del Cantone, è quello di evitare l’esclusione dei ragazzi dai percorsi formativi e di raggiungere il 95% di diplomati nelle scuole secondarie di secondo livello, quelle post obbligatorie non universitarie. Come? È tutto da chiarire. “Le nostre proposte non sono legate solo alla scuola in quanto tale”, precisa Saverio Lurati, presidente del Ps che punta molto sull’integrazione sociale: “Noi guardiamo all’organizzazione del tempo della scuola, a partire dal doposcuola, dalle mense, dal sostegno. Tutti quei servizi che permettono alla famiglie di far capo ad essa, non solo in quanto formazione, ma come istituzione che si prende cura per un certo periodo dei ragazzi. Un’esigenza delle famiglie come portato dell’economia, che può garantire alle donne maggior spazi, maggior tempo”. Pure il Ppd è da anni che chiede di adeguare la scuola ai tempi moderni. “Deve essere un’opportunità per tutti: aiutare chi ha difficoltà ma senza frustrare chi è capace”, afferma Giovanni Jelmini, che in passato aveva pressato l’allora ministro Gabriele Gendotti , sul tema scolastico con le famose 5 domande, sostenendo che bisognava “ripensare il modello della scuola obbligatoria, visto che quello attuale non sembra motivare gli allievi più interessati, e aiutare quelli che presentano maggiori difficoltà”.


 

“ALLASCUOLA SERVONO FONDI E NON TAGLI!”
INTERVISTA A MANUELE BERTOLI

26 agosto 2012

"Statene certi, io cerco di portare avanti le riforme nella scuola, di sostenerla e di difendere il Decs dai tagli. Ma...". Manuele Bertoli, direttore del dipartimento Cultura, ribadisce una scomoda novità: "La situazione finanziaria è tutt'altro che rosea. Dico fin d'ora che non sarò in grado di presentare i tagli e le limature di bilancio che il governo ha ipotizzato nel preventivo 2013. Ne lo voglio. Però il parlamento deve decidere una volta per tutte se avere una scuola di qualità, e quindi destinargli fondi, o fare altre politiche".

Nell'inchiesta del Caffè è emersa una scuola in difficoltà. Insegnanti in crisi, demotivati...
"Ritengo i docenti la spina dorsale della scuola, però non basta che lo dica io, deve esser riconosciuto da tutta la società. Non nego poi che ci siano dei punti critici nella scuola, ma anche dalla vostra inchiesta emerge un quadro diversificato"

Che voto le darebbe?
"Mi atterrei ai dati Pisa, che sono più scientifici del mio giudizio, pur essendo un dato parziale".

Ovvero?
"Ovvero, abbiamo una scuola superiore alla media Ocse, siamo meno brillanti rispetto a 13 degli altri cantoni svizzeri, ma siamo migliori per quanto riguarda l'equità, con una minor distanza fra quelli che fanno fatica e i più bravi".

Equa, ma che non eccelle nella preparazione complessiva.
"Non è così. Si tratta di dati medi che non vogliono affatto dire che la nostra scuola frustri i migliori. Potrebbe voler dire, che facciamo un grosso sforzo per aiutare chi fa più fatica. È ovvio che se si opera una selezione precoce, alla fine si avranno risultati migliori. Ma così è troppo facile".

Perché?
"Perché stiamo parlando della scuola dell'obbligo, dove, come Stato abbiamo un impegno accresciuto a trattare tutti il meglio possibile".

Il Ticino ha però un alto numero di bocciature nel primo anno del liceo.
"Sì, è vero, abbiamo un numero più alto rispetto agli altri cantoni di studenti che vanno al liceo, anche se si tratta pur sempre di una minoranza (40%). Ora è ovvio che se si hanno più studenti al liceo, si ha anche il numero più alto di bocciature. Ma reputo questo un sistema di autoregolazione".

Rimedi?
"L'alternativa per limitare la percentuale di chi sceglie il liceo, potrebbe essere quella di chiedere una media più alta, pretendere esami d'ammissione... Meccanismi arbitrari che certo non favorirebbero le classi più povere".

Quindi?
"Occorre far cambiare mentalità, spiegando alle famiglie che tutte le strade del post obbligatorio sono ugualmente dignitose, reversibili; il liceo non è l'unica via per il successo. Detto ciò , se uno vuol farlo, lo faccia. E se non riesce è giusto, che sia bocciato. Non facciamo però l'errore di organizzare la scuola media solo in funzione di quelli che vanno al liceo".

E in questa scuola media devono rimanere i livelli A e B?
"La storia dice che si va verso una scuola integrata. Ma l'abolizione dei livelli, da sola non basta, occorrono misure di sostegno".

A 40 anni dalla sua istituzione, è l'ora di rifondare la Media?
"In realtà ha già avuto tre riforme. Si tratta di capire quali obiettivi inserire per la quarta. Penso ai livelli, alla griglia oraria, ma anche a tante altre questioni".

Che fare per l'orientamento messo sotto accusa?
"Si può sempre fare di più, è vero, ma anche in questo caso è una questione di risorse".

Basta un adeguamento salariale per risolvere il problema di motivazione dei docenti?
"Non è che nella famosa Finlandia i docenti siano strapagati, hanno però maggior considerazione sociale. Penso pure che i nostri docenti dovrebbero fare una miglior azione di marketing, di promozione della loro figura. Poi certo la questione salariale non è secondaria".

 

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