ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


Opinioni sull'iniziativa per la civica come materia separata (2013)


A. Tomasini 01-07-13
G. Cheda 10-06-13
F. Tognina Moretti 06-06-13
M. Pellegrini 04-06-13
A. Siccardi 03-06-13
M. Binaghi 29-05-13
G. Dillena 25-05-13
M. Chiaruttini 22-05-13
M. Binaghi 22-05-13
F. Sonzogni 15-05-13

 

EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA: TU T’ARRABBI O LEI S’INFURIA
Adolfo Tomasini
Corriere del Ticino, 1 luglio 2013

L'iniziativa «Per educare i giovani alla cittadinanza» sta generando un dibattito fitto. C'è da augurarsi che, alla fine, produca qualcosa di buono, e non la solita risoluzione parlamen­tare che, un colpo al cerchio e uno alla botte, dà a intendere che il pro­blema è stato risolto. Il rischio, non da poco, è che le posizioni si polariz­zino: ha ragione il primo firmatario Alberto Siccardi, segnalando sospetti, insinuazioni e letture troppo disinvol­te (CdT del 3 giugno). Non credo che la proposta sia di per sé di destra o di sinistra. Ha scritto Giancarlo Dillena nel suo editoriale del 25 maggio: «Chi identifica nell'iniziativa solo l'espres­sione di una “destra populista” […] tradisce una visione curiosamente simmetrica del problema, nel senso di quell'“educazione politica” ideologi­camente orientata a sinistra, che il Ticino e la sua scuola hanno ben co­nosciuto in tempi non molto lontani, quando questa concezione era assai ben rappresentata nel corpo inse­gnante». L'affermazione è sacrosanta. Ma, simmetria per simmetria, dimo­stra solo che se l'educazione alla citta­dinanza è unilaterale il fallimento è pressoché una certezza. Non fosse così, i tanti partiti sociali­sti avrebbero dovuto prendere la maggioranza nel Paese già da diversi anni. Personalmente continuo a cre­dere che l'educazione alla cittadi­nanza abbia bisogno di alcune con­dizioni di base che in nessun modo possono essere (r)aggirate. Ad esem­pio è assolutamente necessario che al termine della scolarità obbligatoria i quindicenni abbiano acquisito quel­le competenze basilari che consenta­no una critica lettura del mondo cir­costante.
Raggiungere tale obiettivo comporta naturalmente delle scelte anche dolo­rose, per sfoltire i tronfi programmi della nostra scuola dell'obbligo e per investire in maniera convinta nelle competenze professionali degli inse­gnanti. Le finalità della scuola, san­cite dall'art. 2 della Legge, sono di per sé il manifesto dell'educazione alla cittadinanza. Ma pretendere di educare e istruire i giovani dal punto di vista civico scavalcando ipocrita­mente le conoscenze essenziali, è co­me voler coltivare il frumento nell'a­sfalto. C'è poi quella parte di educa­zione alla cittadinanza che coinvolge tutti, dentro e fuori dalla scuola, a volte modi di fare che paiono qui­squilie. Prendiamo le forme di corte­sia. A me non dà fastidio che gli al­lievi della mia scuola, quando m'in­contrano, mi dicano «Ciao, diretto­re».
Non è la forma, di per sé, che crea il rispetto. Mi secca invece che i nostri bambini e giovani - o allievi e stu­denti - non imparino nemmeno cosa siano, le forme di cortesia: non le conoscono dal punto di vista lingui­stico, né sanno distinguere quando usarle, perché nessuno glielo insegna. Capita però di peggio: assai spesso i genitori che bussano alla mia porta, soprattutto se stranieri, mi dicono ciao e mi danno del tu. Maleducati e cafoni? Certo che no. L'hanno impa­rato proprio qui, sul posto di lavoro, nei centri di accoglienza, in polizia, in tanti uffici dello Stato e dei sinda­cati.
Quasi che dandoci tutti del tu fossi­mo più democratici e ospitali. In mo­do analogo sin da piccoli si impara una certa «economia cognitiva», che impoverisce e ci fa sembrare un po­polo di buzzurri. Ha scritto Dario Corno, linguista torinese, che esisto­no almeno 61 forme diverse per indi­care il verbo arrabbiarsi. «E tuttavia sembra che ne prevalga una sola, la quale asseconda la generale tenden­za all'uso del turpiloquio nel lin­guaggio quotidiano e comune». Forse si potrebbe ripartire già da qui.

 

PER UN'ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
Giorgio Cheda
Corriere del Ticino, 10 giugno 2013

La civica, cioè la conoscenza del di­ritto costituzionale, è essenzialmente amore per la cosa pubblica, parteci­pazione attiva al bene comune, con­sapevolezza di quel che occorre fare, con chi coltiva ide­ali e progetti diversi dai nostri, per mi­gliorare la qualità della vita di tutti. Non può quindi ridursi alla trasmissio­ne di quelle conoscenze (quanto mai necessarie!) riguardanti il funziona­mento delle istituzioni. Esige, pregiudi­zialmente, la fiducia nella classe diri­gente; fiducia che non si trova in nessun manuale per il buon cittadino e non si conquista né iscrivendo la tutela del segreto bancario nella Costituzione, né facendo cantare dai ragazzi l'inno na­zionale. La scuola è la sede privilegiata per l'educazione alla solidarietà e all'a­more per il prossimo nella più genuina tradizione cristiana, senza evidente­mente i dogmi, l'Inquisizione, il Sillabo, i nascondigli pedofili… La scuola è un laboratorio democratico in cui, oltre a impartire conoscenze, si deve promuo­vere la libertà-responsabilità unita­mente alla maturazione del senso criti­co. Due pilastri del patrimonio cultura­le liberale: intendo quello ereditato da Stefano Franscini per rimanere nell'or­ticello sopra Ponte Chiasso, ma lontano dall'iperbolica aiuola luganese dove - attorno a una corrotta casa da gioco - si sfrattano illegalmente quattro pacifi­ci asilanti e si coltivano prodotti poco raccomandati dai manuali di civica. Un solo esempio: l'Associazione banca­ria ticinese ha esercitato delle pressioni sul Fondo nazionale svizzero ottenendo la rinuncia del finanziamento di una ricerca sul riciclaggio del denaro. La scuola deve pure ispirarsi al socialismo: non già quello degenerato nell'appog­gio di troppi intellettuali ai vari comu­nismi, maoismi e simili aberrazioni, ma neppure quello dello Stato-provvi­denza. Penso invece a quegli ideali che hanno sorretto l'azione politica di John Dewey e John Rawls, entrambi cittadini di un Paese dove sono emigrati anche trentamila ticinesi integratisi, con suc­cesso, in una società multietnica. Un migliaio fra loro, per lo più semplici contadini di montagna, sono diventati proprietari, in California, di una terra fertile vasta quasi come l'intero Sopra­ceneri. L'apertura agli altri è sempre stata una nostra necessità economica, diventata fortuna e preziosa eredità culturale che oggi sembra compromessa costatando l'esito di alcune recenti con­sultazioni popolari, fra cui il massiccio rifiuto di aderire all'ONU nel 2002.
Faccio tre esempi, scelti a caso fra una miriade di altri simili, con l'intento di dimostrare che l'etica della responsabi­lità, personale e comunitaria, si è al­quanto allentata in questi ultimi tempi. 1. Al momento in cui le finanze canto­nali cominciavano a dare inquietanti segni d'instabilità, il Gran consiglio ha investito un milione e mezzo di franchi per acquistare e sistemare l'archivio del musicista partenopeo Ruggero Leonca­vallo, quando quello di Pietro Masca­gni è stato assicurato alla sua città na­tale di Livorno per 34 milioni di lire. Per contro la documentazione concer­nente il fallimento delle banche ticinesi nel 1914, che ha fatto perdere troppi milioni alle famiglie degli emigranti, è stata mandata al macero alla cheti­chella, impedendo così qualsiasi futura ricerca sul tema.
2. Alla pubblicazione della prima parte del Rapporto sulle implicazioni dei vari poteri svizzeri con la Germania nazi­sta, due consiglieri nazionali (che rap­presentavano il 20% degli elettori tici­nesi) hanno titolato a caratteri cubitali due loro articoli aggressivi e faziosi su Il Mattino della Domenica (12 dicembre 1999): «Giù le mani dalla nostra storia! Professor Bergier, vaff..!» Nessuno ha commentato o sollevato la benché mi­nima contestazione. Una mia protesta ai media è stata pubblicata solo da la-RegioneTicino. A parte l'insulto al più grande storico svizzero che ha riscatta­to, con altri, l'onore della Confederazio­ne, è impossibile accettare la contraddi­zione delle destre in genere che, da un lato osteggiano la conoscenza della ve­rità storica chiedendo al Consiglio fede­rale di impedire la presentazione del Rapporto Bergier nelle scuole, e dall'al­tro esigono l'istruzione civica (quale?).
3. Mi sia permesso citare un altro fatto, non solo personale. Seguendo l'onda delle rivendicazioni sessantottine, alcu­ni allievi (14-16 anni) della scuola che dirigevo avevano chiesto di poter fuma­re durante la ricreazione: diventare cioè, liberamente, schiavi dei fabbrican­ti e venditori di fumo che, in un secolo, hanno causato la morte prematura di cento milioni di persone: un numero pari a quello delle vittime del comuni­smo. Al mio diniego argomentato sull'e­tica della responsabilità, si sono rivolti al collegio docenti che, a maggioranza, ha invece concesso loro il diritto di in­tossicarsi. Diritto ufficializzato - in ri­sposta a un mio ricorso - dallo stesso Dipartimento educazione, senza susci­tare alcuna reazione da parte dei geni­tori e dell'opinione pubblica. Una deci­sione impossibile da accettare, simile a quella del Governo (risalente al 1806, ma per fortuna mai messa in atto!) di spianare i castelli e le murate di Bellin­zona privatizzandone il sedime.
L'educazione alla cittadinanza non può limitarsi a due ore mensili del program­ma di storia; essa richiede una molte­plicità d'interventi che devono tener conto della maturità e della sempre più variegata composizione etnica dei frui­tori. Cito qualche tema che, nella socie­tà globalizzata, deve necessariamente essere dibattuto dai futuri attori della vita politica. La protezione del territo­rio, le energie rinnovabili, il controllo della speculazione finanziaria avulsa dall'economia reale, il potere dell'indu­stria farmaceutica nella politica della salute, l'allevamento industriale di ani­mali da macello imbottiti di antibioti­ci… Questi, e tanti altri simili, devono essere ripartiti su tutto l'arco del curri­colo degli studi e fra tutte le discipline, ripresi e approfonditi con gli adulti. Ritengo che l'accettazione o meno dell'i­niziativa popolare cambierà di poco l'attuale situazione, anche perché la scuola ha ben altre priorità, e la fiducia nell'establishment non è ancora stata esposta con i prodotti «made in China» nei supermercati. Ci sarà sempre chi si affiderà a un Manuale del buon cittadi­no (preparato magari da «esperti» rap­presentanti tutti i partiti cantonticinesi) arrischiando così di banalizzare una materia sempre più complessa. Altri (mi auguro la stragrande maggioranza dei docenti di tutte le discipline) s'impe­gneranno a dialogare con i giovani pro­ponendo loro quelle problematiche in grado di suscitare una forte passione per la politica e la cultura, cioè per la ricerca della verità e della giustizia co­me hanno fatto, ad esempio, Jean-François Bergier e Bernard Bertossa. Li inviteranno a guardare anche fuori dai nostri confini, con fiducia e realismo ma senza pregiudizi, per partecipare, con la «civica svizzera», a quella di un mondo che cambia molto più in fretta di quel che pensiamo pure a causa del­le alterazioni climatiche con i relativi scombussolamenti non solo economici. Oggi tutti dovrebbero sapere che una creativa educazione alla cittadinanza è inseparabile dall'etica della responsabi­lità e dalla sfida ecologica.

 

SULL’INUTILITÀ E IL DANNO DI FRAMMENTARE LA STORIA
Francesca Tognina Moretti, docente storia
laRegione, 6 giugno 2013

La storia che oggi si insegna nelle scuole medie e nei licei ticinesi trae ancora gli spunti più fecondi da quella storiogra?a francese che nel lontano 1929 aveva dato vita a una prestigiosa rivista, le “Annales”, fondata dagli storici March Bloch e Lucien Febvre. L’idea di fondo era quella di superare una concezione antiquata della storia fatta solo di date e di grandi eventi, di personaggi magniloquenti quali papi, re e generali, per narrare invece le vicende degli uomini comuni attraverso l’indagine delle società umane considerate nella loro complessità: la vita economica e sociale, le credenze religiose e le pratiche politiche.
La storia diventava una disciplina aperta, capace di attingere in modo scienti?co alle conoscenze delle discipline più disparate, a partire dalla geogra?a ?no all’antropologia, dalla sociologia all’economia.
Era la storia dell’uomo e dell’umanità, delle grandi civiltà del passato e dei loro processi di trasformazione. È la storia che si insegna nelle scuole ticinesi ancora oggi e che in generale apprezzano molto i nostri studenti.
Oggi, nella scuola ticinese, senza che attorno a ciò si sia aperto un pubblico dibattito, la storia rischia seriamente di perdere, per iniziative di matrice diversa, la possibilità di restituire agli studenti questo sguardo complesso e a tutto tondo.
Da una parte la sperimentazione dell’insegnamento della storia delle religioni che sta per concludersi e si prepara a divenire materia di insegnamento nelle scuole medie, dall’altra l’iniziativa per l’introduzione dell’insegnamento della civica come materia a sé stante nei diversi ordini di scuola, non solo concorrono insieme ad erodere in termini di ore-lezione l’insegnamento della storia, ma ?niscono per snaturare ciò che è la stessa storia insegnata nelle scuole.
Dalla storia delle civiltà verrebbe scorporata la storia delle religioni, come se essa fosse un’espressione avulsa dalla più generale storia dell’umanità, mentre verrebbe espunta la civica, come se le istituzioni di un paese non fossero lo specchio delle società che le hanno create, un tipico prodotto della storia. Quali sarebbero le conseguenze pratiche? Un docente di storia potrebbe trovarsi nella situazione di insegnare tutte e tre le materie, ma in momenti distinti, dovendo raccogliere elementi di valutazione in tutte e tre le discipline. Quando va bene.
Più spesso, si troverebbe a spartirsi le tre discipline con altri colleghi. Un sovraccarico per lo studente, una situazione imbarazzante e arti?ciosa per il docente. Qualora si trovasse ad illustrare i tratti fondamentali della società dell’antico Egitto, dovrebbe limitarsi, parlando delle piramidi, a metterne in evidenza solo la forma architettonica, mentre si vedrebbe costretto a soprassedere sulla loro funzione religiosa, af?dandone la spiegazione al docente di storia delle religioni. Del Medioevo europeo dovrebbe omettere l’intero orizzonte religioso, mettendo così a repentaglio la comprensione di molti aspetti della vita quotidiana delle civiltà medievali.
E che dire della formazione del più grande impero dell’età medievale, quello arabo-musulmano? Una civiltà che ha avuto una rilevanza per la storia europea, sia nei momenti di scontro che in quelli di scambio: qual è il senso di scindere gli aspetti religiosi di tale vicenda da quelli della storia politica, economica e culturale in senso lato? Dell’età moderna, che dire poi della Riforma e della Controriforma, che hanno segnato un’intera epoca? Sono temi fondamentali per la comprensione dello sviluppo delle civiltà nella formazione dell’Europa moderna: anch’essi potrebbero subire un forte ridimensionamento e una banalizzazione nell’insegnamento della storia, vista la concorrenza su questi temi dell’insegnamento della storia delle religioni.
E che dire in?ne del processo di formazione dello Stato liberale, che si avvia con le rivoluzioni borghesi a partire dal XVII secolo, argomento che oggi attraversa le intere programmazioni di terza media e di terza liceo? A partire da quell’epoca hanno preso forma le istituzioni liberali, di cui anche la nostra scuola ticinese è un’espressione: oggi i docenti vi dedicano ampio spazio, proprio per illustrare agli studenti le matrici storiche, politiche e culturali delle nostre istituzioni; anche tali temi ?nirebbero per essere snaturati dalla concorrenza delle ore di civica, di una civica per giunta ridotta a nozionismo. Certo, gli obiettivi alla base della sperimentazione della storia delle religioni sono ben diversi da quelli perseguiti dagli iniziativisti.
Nel primo caso è viva la convinzione che per contrastare l’intolleranza che attraversa le società contemporanee, l’antidoto risieda nella conoscenza del fenomeno religioso. Come se, l’educazione alla tolleranza, non fosse oggi prima di tutto educazione ai diritti di tutti gli esseri umani, in quanto appartenenti, appunto, al genere umano. E soprattutto, come se, tale compito, non spettasse in primo luogo alla civica e all’educazione alla cittadinanza.
Gli iniziativisti, d’altro canto, criticano fortemente l’educazione alla cittadinanza nella sua accezione più ampia, così come essa viene oggi praticata nelle nostre scuole, per promuovere in suo luogo la “svizzeritudine”, persuasi che la conoscenza meramente nozionistica e mnemonica delle istituzioni elvetiche sia in grado di per sé di formare un buon cittadino.
Un rigurgito di cultura vetero ottocentesca, anche nella nozione di nazionalismo sottesa, ormai molto lontana dallo spirito che nel 1848 aveva animato la nascita dello Stato federale, molto simile invece alla matrice più retriva della cultura europea che a ?ne XIX secolo aveva cercato di occultare le conquiste delle libertà individuali e generato i disastri della prima metà del secolo successivo.
È questo l’armamentario ideologico e antiquato con cui si pretende di rispondere alle s?de della società contemporanea.
Vi è un discorso in generale sottaciuto, ma sconcertante, che accomuna l’insegnamento della civica e la storia delle religioni, così come dovrebbero essere insegnate nelle scuole medie a studenti che ancora non posseggono salde coordinate storiche di riferimento, qualora l’insegnamento di storia delle religioni divenisse materia di insegnamento, e nel caso in cui dovesse malauguratamente raccogliere consensi l’iniziativa per la civica: sottraendo alla storia importanti capitoli dello sviluppo delle società umane, si procede alla decontestualizzazione e alla destoricizzazione dei fenomeni religiosi e delle istituzioni politiche, e ciò ?nisce per precludere, in de?nitiva, la loro comprensione storica per affermarne, quasi, una loro verità atemporale. Non si tratta di un’operazione corretta, se condotta nella scuola pubblica.
Prima di procedere a ridurre in modo arbitrario le ore di insegnamento della storia, tagliando qualche ora di qua e di là, occorrerebbe che gli addetti ai lavori avvertissero la lungimiranza degli esperti di storia che hanno redatto i piani di formazione cantonali, attenti a rendere l’unità e la complessità della storia dell’umanità, piuttosto che mostrarsi pronti a cedere alla tentazione di procedere a una inutile e in?nita frammentazione della storia in più rivoli disciplinari.

 

CIVICA A SCUOLA, SÌ AL RAFFORZAMENTO, NO ALL’INIZIATIVA PER LA CIVICA OBBLIGATORIA
Manolo Pellegrini
laRegione, 4 giugno 2013

È ormai certo che sulla civica nella scuola si dovrà esprimere di nuovo il parlamento cantonale. L’iniziativa che propone l’introduzione di una nuova materia denominata “educazione alla civica”, con una dotazione oraria di almeno due ore mensili, ha infatti raccolto un numero di firme sufficienti.
Ma siamo veramente sicuri che introducendo la civica come materia a sé si riesca a far passare con più efficacia il messaggio? Introdurre due ore mensili di civica significherebbe rischiare di sacrificare quanto di buono e positivo è stato fatto finora in materia di educazione alla cittadinanza e nello stesso tempo svilire quanto svolto di civica in storia. Infatti attualmente, al contrario di quanti molti cittadini sono indotti a pensare, la civica e l’educazione alla cittadinanza nella scuola si fanno eccome. Per intenderci, l’educazione alla cittadinanza è declinata attraverso delle giornate di attività sotto responsabilità dell’insieme del corpo docenti, mentre la civica è inserita in modo organico nel programma di storia. L’iniziativa proponendo di ricondurre la civica ad una materia speci?ca, in una mera concezione nazional patriottica, così come proposto da diversi iniziativisti, incontra due inconvenienti maggiori.
Innanzitutto avrebbe come conseguenza quella di deresponsabilizzare i docenti e la scuola, quanto all’educazione alla cittadinanza, i cui contenuti dal 2001 sono affidati alla responsabilità di tutte le materie e della scuola nel suo complesso. Negli ultimi dieci anni, in particolare le scuole medie si sono prodigate nell’organizzare in modo trasversale innumerevoli attività, che vanno dalle giornate multiculturali, alle attività parlamentari simulate (addirittura gruppi di scuola media si sono recati a Berna a palazzo federale, per una settimana di “sperimentazione diretta dei lavori legislativi”), passando per settimane dedicate all’ambiente e alla crescita sostenibile (non è forse anche questa educazione alla cittadinanza affidata ai docenti di geografia e scienze?). Dal canto loro i licei hanno dato spazio ai ragazzi stessi, che ogni anno organizzano giornate intere di attività autogestite, che non sono altro che civica applicata! Introdurre due ore di civica al mese significherebbe sgravare dalle sue responsabilità la scuola nel suo complesso, per demandarne il compito a una materia, che apparirebbe agli allievi come l’ennesima per cui bisogna studiare, non perché ci si crede, ma in funzione di un lavoro scritto e di una nota. Naturalmente le nozioni apprese sono in questo modo più facilmente misurabili a differenza delle esperienze e le pratiche di “democrazia diretta” esercitate e acquisite tramite le giornate di educazione alla cittadinanza. Ma il possibile annichilimento dell’educazione alla cittadinanza, sarebbe una grave perdita per la scuola e i cittadini di domani. Lo stesso rapporto dal quale gli iniziativisti prendono spunto, d’altronde non nega l’apporto positivo dato da queste esperienze.
Ma vi è una seconda e ancora più grave implicazione negativa dell’introduzione nella griglia oraria di due ore di civica al mese. La proposta degli iniziativisti porterebbe ad una riduzione di tipo nozionistico e formalistico della materia civica, che inquadrata come attualmente nel programma di storia ha invece il pregio di essere inserita in un contesto, che permette agli allievi di capire il motivo per cui determinate istituzioni sono nate. La contestualizzazione storica è infatti fondamentale per capire l’importanza di determinate istituzioni, per capire per esempio, che esse non sono mai determinate una volta per tutte, ma che vi sono degli interessi in gioco, delle forze che le sostengono e le fanno evolvere. Senza questa contestualizzazione che solo la storia può dare, la civica diviene una materia “morta”, nozionistica, i cui contenuti finiscono semplicemente per sacralizzare determinate istituzioni impedendone la difesa attiva (là dove si parla di diritti fondamentali e di istituzioni democratiche) e la loro evoluzione, che dipende chiaramente dalla capacità delle future generazioni di percepirne i meriti e i limiti nel quadro dello sviluppo storico e dei rapporti di forza in campo.
In vista di un dibattito parlamentare sull’“educazione civica nella scuola” è forse bene ricordare al di là del populismo spicciolo, che è sicuramente corretto pretendere dalla scuola uno sforzo aggiuntivo per migliorare la comprensione delle istituzioni democratiche. Ciò però va fatto nel solco di quanto già avviato una decina di anni fa, senza ridurre il tutto all’introduzione di ore nella griglia oraria e di una nota, che avrebbero il difetto di svuotare di senso quanto di prezioso svolto finora.

 

CIVICA, QUANTI SOSPETTI E INSINUAZIONI
Alberto Siccardi
Corriere del Ticino, 3 gigno 2013

E quanti giudizi sui promotori, e nessuno sui conte­nuti della nostra iniziativa popolare, per altro chiarissi­mi. Per rispetto a chi con entusiasmo ha dato in otto gior­ni più di 8000 firme e per difendere la onorabilità e le buone intenzioni dei pro­motori e del sottoscritto, devo rispondere alle assurde valutazioni che si sono pub­blicate sui giornali in questi giorni. Oltre a ringraziare chi invece ha scritto in favo­re del nostro progetto.
La nostra iniziativa sull'insegnamento della civica è politicamente trasversale. Essa non ha nessuna velleità di incidere sui contenuti dell'insegnamento stesso, quindi è politicamente neutra. Ha come scopo unicamente quello di cambiare il sistema attuale di insegnamento, che «annega», e non insegna, la civica nelle ore di storia. Questo la gente ha corret­tamente capito dandoci il suo sostegno, questo è chiaramente scritto nel testo dell'iniziativa. È confermato dall'inda­gine della SUPSI e dal parere di perso­nalità della scuola. Faccio inoltre notare che sono venuto a conoscenza di tale indagine dopo avere deciso di organiz­zare l'iniziativa popolare. Non si è quin­di «scopiazzato» il testo dell'niziativa parlamentare di Franco Celio, come si è insinuato: ambedue i programmi sono nati in parallelo.
Il guaio è che alcuni addetti ai lavori (ma molti di loro invece sono vicini a noi) fanno finta di non capire, si sentono toc­cati nella loro maestà e attaccano i pro­motori a livello personale e politico. Si­gnori, per favore, nel comitato ci sono anche dei liberali; mancano i socialisti perché, e me ne duole, le loro candidature sono arrivate dopo la stampa dei formu­lari. Le accuse dell'estrema sinistra, quin­di, sono gratuite, mi ricordano quando in Italia se non eri comunista eri automati­camente fascista. Ma poi, cosa c'entra con l'insegnamento della civica nelle scuole? Vorrei dire qui che la mia fami­glia ha avuto una medaglia d'oro per la Resistenza, che la volontà è quella di di­fendere democraticamente ma ferma­mente la nostra cultura; e non è razzi­smo, che dare del razzista è un'offesa gra­ve, che paragonare i talebani di oggi coi crociati di 900 anni fa è un non senso storico. Ma di nuovo, cosa c'entra con la civica nelle scuole?
La verità è forse che non si vuole inse­gnarla? Speriamo proprio di no. Nessuno vuole ridurla ad un catechismo di nozio­ni, ma non si può accettare che uno stu­dente di 15 anni non sappia cosa sia il Gran Consiglio. Né si può far passare questo commento di un insegnante all'in­dagine della SUPSI: «In fondo solo il 25% degli insegnanti non ha fatto l'istruzione per l'insegnamento della civica secondo la nuova Legge sulla scuola». È come dire che il 25% dei poliziotti non sa caricare una pistola, ma fa niente.
Ci siamo informati su cosa succede in alcuni cantoni. Nei Grigioni si sente lo stesso bisogno, in altri la civica si insegna all'inizio dell'anno per un breve periodo, si fa un test e una valutazione per poi utilizzare e richiamare le nozioni durante lo studio della storia e della altre materie; queste nozioni trovano applicazione, provvedendo a quella maturazione della cittadinanza che è stata evocata, giusta­mente, da alcuni insegnanti. Noi chiedia­mo solo che sia insegnata. E non si tratta di velleità politiche, di destra o di sinistra, di una campagna elettorale, ma di una convinzione e della paura, che è di molti, che essa sia scomoda a chi vorrebbe non essere annoiato ed ostacolato nella sua azione di governo. E questa è solo la mi­gliore delle ipotesi. Visto però che ci sia­mo beccati accuse pesanti e ingiuste, mi sento libero di fare io un'insinuazione seria. Attenzione, se i giovani non sono sensibilizzati sui diritti della democrazia diretta e sui loro doveri di cittadini, sarà molto più facile farci entrare nell'UE fra qualche anno senza resistenza da parte del popolo (la democrazia diretta è in­compatibile con l'UE) e la società ticinese sarà diversa da quella di oggi, seria e at­tenta alle decisioni dei politici. La civica è libertà e benessere; per questo la Svizze­ra è il miglior Paese per vivere, senza de­bito pubblico importante e una spesa statale accettabile e compatibile con una sana economia di mercato. Il consigliere di Stato Bertoli ha detto su «La Regione» che c'è qualcosa da fare. Facciamolo: cre­do che la gente se lo aspetti.

 

EDUCAZIONE CIVICA, I NODI DA SCIOGLIERE
Maurizio Binaghi, prsidente ATIS
Corriere del Ticino, 29 maggio 2013

L'editoriale di Giancarlo Dillena dal titolo La civica fra nodi e pregiu­dizi apparso saba­to 25 maggio espo­ne alcune interes­santi riflessioni che, pur non con­dividendole appie­no, contribuiscono a tenere vivo un dibattito sulla scuola che merita attenzione. Essendo già in­tervenuto sull'argomento, mi sento par­te in causa. Vorrei quindi soffermarmi su alcuni elementi esposti nell'editoria­le, puntualizzando il mio pensiero. Pri­mo punto: l'iniziativa ha ottenuto un importante sostegno popolare, rivelan­do una sensibilità diffusa sul tema dell'educazione alla cittadinanza. L'af­fermazione è molto giusta, infatti è pro­prio questo sostegno popolare che dà valore all'iniziativa e al dibattito che ne deriva. Secondo: è vero anche che que­sto sostegno popolare all'iniziativa è un sintomo della difficoltà che ha la scuola di comunicare il suo operato, è però anche un segnale dell'attenzione a in­termittenza data dalla popolazione al­la scuola (testimoniata ad esempio dal­le desolanti riunioni delle varie Assem­blee dei genitori).
Più debole, me lo si lasci dire, mi sem­bra la seconda parte dell'editoriale, quella che scinde l'iniziativa dal conte­sto politico in cui nasce. Perché, al di là dei contenuti, è innegabile che l'inizia­tiva ha anche un carattere politico che i promotori devono sciogliere e che rap­presenta il vero «nodo» della questione. I promotori dell'iniziativa infatti non provengono da Marte, ma da una ga­lassia ben definita che ruota attorno alla Lega dei Ticinesi, all'UDC, all'UDF e all'Alleanza Liberi e Svizzeri. Vista la mia formazione di storico, non intendo certamente affibbiare a queste forze po­litiche attributi che siano frutto dei miei meri pregiudizi, ma preferisco far par­lare le fonti, cioè i programmi e gli scrit­ti di questi movimenti. Quale politica scolastica promuovono gli iniziativisti? Lorenzo Quadri vorrebbe «un Ticino dove l'insegnamento valorizzi le poten­zialità dei nostri ragazzi invece di fre­nare i più brillanti perché bisogna livel­larsi verso il basso (anche a seguito dell'eccessiva presenza di allievi cosid­detti alloglotti)»; l'UDF si impegna «per il sostegno del regime delle note scolasti­che; per la reintroduzione della nota di condotta-comportamento in ogni ordi­ne di scuola»; l'UDC crede a una scuola «fondata sulle esigenze del mondo del lavoro e dell'economia» e «si oppone con forza alla falsa democratizzazione degli studi»; l'Alleanza Liberi e Svizzeri esalta il sistema scolastico comunista cinese (sic!) poiché «lo Stato non sta a correre dietro ai ragazzi che restano in­dietro; i ragazzi che restano indietro saranno operai poco qualificati e poco pagati e non ci si cura più di tanto del loro destino».
Come si inserisce in questo progetto l'e­ducazione alla cittadinanza? In questa scuola selettiva e identitaria, quale ruo­lo avrà la nuova materia che ha l'ambi­zione «dietro precise indicazioni agli insegnanti» di valutare la «svizzeritudi­ne» degli studenti? Appare evidente che la campagna contro l'iniziativa è emi­nentemente una campagna culturale. Io non voglio una scuola pubblica che favorisca una più severa selezione degli studenti, che reintroduca la nota di comportamento in tutti gli ordini scola­stici, che separi gli studenti svizzeri da quelli «alloglotti», che abbandoni gli studenti più deboli al loro destino e che emetta patenti di elveticità. Io chiedo che si metta in pratica, sempre e co­munque, la legge sulla scuola in vigore nel Canton Ticino (fino a che un'inizia­tiva abbia il coraggio di emendarla) in cui è chiaramente espresso che la scuola «promuove il principio di parità tra uomo e donna, si propone di correggere gli scompensi socio-culturali e di ridur­re gli ostacoli che pregiudicano la for­mazione degli allievi». E, mi piace sot­tolinearlo, questa non è una posizione né di sinistra né di destra, è una posi­zione che difende i valori legali della nostra Repubblica.

 

LA CIVICA FRA NODI E PREGIUDIZI
Giancarlo Dillena
Corriere del Ticino, 25 maggio 2013

Intorno all'iniziativa «Per edu­care i giovani alla cittadinanza - Diritti e doveri» si sta svilup­pando un dibattito interessante e sintomatico.
Interessante perché si innesta su una proposta che ha ottenuto in breve un importante sostegno po­polare, rivelando una sensibilità diffusa sul tema, insieme ad una scarsa soddisfazione per l'attenzio­ne e lo spazio che la scuola dedica a queste tematiche. È probabile che non tutti i firmatari sappiano con precisione quanto è stato fatto sulla scia della precedente iniziativa lan­ciata da GLRT nei primi anni due­mila e ritirata dopo il raggiungi­mento di un accordo col Governo sulla sostanza.
Tuttavia anche questo aspetto co­stituisce semmai un indicatore si­gnificativo dello scarso impatto che gli sforzi pur intrapresi hanno avuto fin qui. Come è possibile che la for­mula proposta dagli iniziativisti - l'inserimento nei programmi di storia di ore specificatamente dedi­cate alla civica, con voto separato - presti il fianco a delle critiche dal profilo pedagogico. Ma pretendere di liquidare il problema, come ha fatto qualcuno, bollando l'idea co­me prodotto di una visione retriva e nazionalista (per non dire regressi­va e xenofoba) è quanto meno su­perficiale e poco democratico, vista la diffusa sensibilità sulla questione che la rapida raccolta delle firme ha messo in evidenza. In questa chiave talune resistenze al progetto sono rivelatrici di pre­giudizi e ambiguità che rafforzano, altrettanto quanto l'iniziativa stes­sa, l'esigenza di un dibattito ampio, aperto e criticamente sereno sulla formazione dei futuri cittadini da parte del sistema educativo pubbli­co. Chi identifica nell'iniziativa solo l'espressione di una «destra populi­sta» che vorrebbe il ritorno a una chincaglieria didattica osboleta, con l'intento di veicolare attraverso di essa forme di indottrinamento ideologico di stampo nostalgico o addirittura «xenofobo», tradisce una visione curiosamente simme­trica del problema, nel senso di quell'«educazione politica» ideolo­gicamente orientata a sinistra, che il Ticino e la sua scuola hanno ben conosciuto in tempi non molto lon­tani, quando questa concezione era assai ben rappresentata nel corpo insegnante. Chi è ancorato a queste posizioni dovrebbe semmai interrogarsi proprio sugli effetti di segno opposto prodotti da quelle velleità, che non miravano propriamente al rafforzamento delle istituzioni democratiche elvetiche quali ancora oggi - fortunatamente - conosciamo.
Altro discorso meritano le osservazioni critiche relative all'impostazione di una formazione civile e democratica che non è certamente facile tradurre dai principi in modalità pedagogiche e didattiche efficaci. È senz'altro vero che una semplice illustrazione del sistema istituzionale non può bastare a stimolare e far crescere negli allievi un'autentica consapevolezza del loro futuro ruolo di cittadine e cittadini. Ma è altrettanto vero che da essa non si può comunque prescindere e che la pur necessaria contestualizzazione storica e filosofica deve essere commisurata ai limiti del quadro scolastico. Altrimenti sarebbe come pretendere che l'insegnamento delle lingue debba preventivamente passare da un percorso filologico volto a preparare i discenti alla comprensione delle sfumature che fanno la specificità di ognuna. Come dire: mission impossible. Ma l'alternativa è forse la rinuncia all'apprendimento delle lingue? O piuttosto un insegnamento che, con modestia e pazienza, cerca di gettare le fondamenta di competenze che solo il tempo, la pratica e l'esperienza potranno portare alla necessaria maturazione?
Un altro nodo cruciale - e inaggirabile - è la dimensione politica, intesa come scontro-incontro di visioni e quindi di valutazioni diverse circa il valore, la portata e i limiti dei diversi istituti democratici che oggi conosciamo nel nostro Paese, anche nel confronto con le soluzioni adottate altrove. Ma i timori circa le possibili derive non possono costituire un alibi per eludere il problema, poiché proprio l'ignoranza è la premessa migliore per favorire future e ben più insidiose derive. La questione va dunque affrontata in modo aperto e costruttivo, mettendo da parte per cominciare i pregiudizi ideologici e i processi alle intenzioni. E con essi anche certi sarcasmi, intrisi di malcelata sufficienza, con cui qualcuno pensa di poter liquidare, senza ulteriori fatiche, la faccenda.
Se si riuscirà a farlo sarà questa la prima fondamentale «lezione di civica» che le forze politiche - ma anche le istanze scolastiche - dimostreranno di saper offrire alle nuove generazioni.

 

LA CIVICA, LA SCUOLA E I CITTADINI
Massimo Chiaruttini, segretario ATIS
laRegione, 22 maggio 2013

L’iniziativa volta a potenziare l’insegnamento della civica lanciata nelle scorse settimane ha suscitato attenzione e simpatia, tanto che le ?rme necessarie alla sua riuscita sono state raccolte in poco tempo. Le ragioni di questo clamoroso successo? Un messaggio semplice: la scuola ha fallito; ha fallito nonostante il potenziamento dell’educazione alla cittadinanza introdotto a partire dal 2002 in seguito a un’iniziativa dei Giovani liberali. Lo sostengono gli iniziativisti sulla base di uno studio della Supsi pubblicato nel 2012. Io il rapporto della Supsi l’ho letto con attenzione e non sono arrivato alle medesime conclusioni. Anzi, ho notato che ben tre delle cinque argomentazioni su cui i promotori dell’iniziativa costruiscono il loro teorema catastro?sta sono false.
La prima: “Molti insegnanti non hanno neanche sentito parlare della suddetta riforma” (quella del 2002). Il rapporto della Supsi a pag. 33 smentisce questo dato, poiché rivela che “la netta maggioranza dei docenti interpellati (83%) afferma di essere a conoscenza dell’iniziativa volta a potenziare l’insegnamento della civica e dell’educazione alla cittadinanza”.
La seconda: “La maggioranza degli allievi dice che la scuola non ha loro insegnato ad essere cittadini impegnati”. Nel rapporto della Supsi, a a pag. 46, si legge invece che il 60% degli allievi concorda, seppure con sfumature diverse, con l’affermazione secondo cui “a scuola ho imparato a essere un cittadino impegnato del mio paese”. A non rispondere così è il 40%; non sarà un dato molto confortante, ma non si tratta della maggioranza. Terza affermazione scorretta: “L’indagine (della Supsi) ha rilevato che in molti casi si sia rilevata una totale ignoranza sugli argomenti di base (della civica), in molti altri una parziale e insuf?ciente conoscenza”. Una conclusione, questa, condizionata da una lettura molto disinvolta dei dati: basta andare a a pag. 48 dello studio per rendersene conto.
Mi chiedo allora: è “civicamente” accettabile che i promotori di un’iniziativa popolare volta a promuovere la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti democratici spieghino le ragioni che dovrebbero indurre i cittadini ad appoggiare il loro progetto attraverso l’arbitraria interpretazione di uno studio promosso da un istituto universitario?
Dopo avere esposto le loro argomentazioni “scienti?che”, gli iniziativisti si lanciano in un esercizio di analisi storico-istituzionale del nostro sistema democratico. Si legge infatti nel loro opuscolo che, grazie allo strumento della democrazia diretta, i cittadini hanno “bloccato (con il voto popolare) l’entrata in un’Europa sempre meno rispettosa dei diritti democratici e sempre più genu?essa a dettami sovranazionali di cerchie ristrette”. È vero: il 4 marzo 2002 i cittadini svizzeri hanno respinto l’iniziativa “Sì all’Europa”. Ma molti altri oggetti in votazione sono stati respinti dal 1848 a oggi, come quello sul titolo di capacità per il mestiere del calzolaio, del parrucchiere, del sellaio e del carradore nel 1953; oppure quello per l’introduzione di dodici domeniche annuali senza aerei e veicoli a motore nel 1978; o quella per una migliore protezione giuridica degli animali nel 2007. Mi chiedo allora: i pregi della democrazia diretta si misurano sulla base degli oggetti respinti o approvati dal popolo? Non basterebbe andare ?eri del fatto che agli amanti della tranquillità domenicale e degli animali, grazie al nostro sistema democratico, è data la possibilità di proporre modi?che costituzionali o referendum? Sull’Unione europea e sui rapporti tra la Svizzera e l’Ue ognuno può avere le proprie opinioni, così come ognuno di noi è libero di pensare che ai parrucchieri svizzeri si dovrebbe garantire, nella costituzione, una maggiore o una minore attenzione. Mi chiedo però se sia corretto sostenere un progetto teso a potenziare l’educazione civica nelle scuole pubbliche pretendendo di conferire uno statuto di scienti?cità alle equazioni Svizzera = democrazia, Europa = dispotismo. Questo non è un dogma: è un’opinione. E i dogmi con la democrazia e con la scuola hanno poco a che vedere.
Allo studio della Supsi e al lancio dell’iniziativa promossa da Quadri, Mellini, Siccardi e altri riconosco due grandi meriti. Il primo: aver rilanciato il dibattito sull’educazione alla cittadinanza in tutte le sue declinazioni, di cui l’insegnamento della civica costituisce una parte, non il tutto, ma alla quale anch’io attribuisco un’importanza fondamentale. Il secondo pregio consiste nell’aver dato modo alla destra populista ticinese di rendere manifesta la sua interpretazione demagogica del ruolo che l’educazione civica dovrebbe assumere nella scuola: non tanto quello di fornire agli studenti cittadini i mezzi indispensabili per interpretare la realtà e per apprezzare gli strumenti democratici di cui potranno disporre una volta entrati nella maggiore età, quanto piuttosto di propagandare il proprio credo politico nazional-popolare, indicando in maniera didascalica il prontuario ideologico che gli insegnanti dovranno seguire per istruire i ragazzi.
Ma attenzione: la scuola è una cosa seria e merita un approccio serio. Serio e corretto. E soprattutto onesto.

 

MA NON BANALIZZIAMO L'EDUCAZIONE CIVICA
Maurizio Binaghi, prsidente ATIS
Corriere del Ticino, 22 maggio 2013

Ho sempre avuto un rispetto quasi reverenzia­le per la demo­crazia diretta, considerandola una risorsa molto preziosa per la Svizzera, tanto preziosa da non essere sprecata. Tendo, per educazione e cultura poli­tica, ad ascoltare chi mi chiede di fir­mare un referendum e un'iniziativa. Per lo stesso motivo non ne firmo mol­te. Alcune volte, di fronte a decisioni politiche giudicate sbagliate, mi è ve­nuta la tentazione del referendum. Ma poi ho sempre desistito, non cre­dendomi all'altezza del compito. Cre­devo fosse necessaria una perfetta co­noscenza della materia. Essendo mol­to esigente, pretendo che anche gli al­tri lo siano.
Durante le elezioni comunali di Luga­no sono stato avvicinato da tre ragaz­zi che mi hanno invitato a firmare l'iniziativa «Educhiamo i giovani alla cittadinanza». Grazie alla mia profes­sione di docente ho collaborato con le attività di educazione alla cittadinan­za in diverse sedi e gradi di scuola. Ho così posto alcune domande e sono ri­masto stupito dalla poca conoscenza che questi ragazzi avevano della real­tà scolastica.
Come faccio spesso, ho dunque deciso di informarmi meglio. Il mio stupore è cresciuto leggendo i contenuti e le ar­gomentazioni alla base dell'iniziativa. Lo spunto è un rapporto pubblicato dalla SUPSI che «ha concluso che l'e­ducazione civica in Ticino non è inse­gnata in modo adeguato, creando malcontento e allarme in molti geni­tori e studenti» (cfr. www.civica.ch). Il rapporto indicherebbe che l'integra­zione della civica nell'insegnamento della storia si è dimostrata fallimenta­re. Per questa ragione gli iniziativisti chiedono, a scapito delle ore di storia, l'introduzione di una nuova materia, «l'educazione civica». Una materia che, tra l'altro, nasconde chiare finali­tà politiche che travalicano la sempli­ce conoscenza delle istituzioni: l'ambi­zione è, «dietro precise indicazioni agli insegnanti», di addestrare gli stu­denti alla «svizzeritudine», iniziando­li all'idea di «un'Europa sempre meno rispettosa dei diritti democratici e sempre più genuflessa a dettami so­vranazionali di cerchie ristrette» (cfr. www.civica.ch).
Mi ha insospettito che il rapporto del­la SUPSI, sebbene sia disponibile onli­ne, non venga mai né pubblicato, né citato direttamente. Sono invece ripre­se a chiare lettere le parole del docente e parlamentare Franco Celio che esprime preoccupazione per i risultati. Incuriosito, ho letto il rapporto (di cir­ca 80 pagine) e un suo compendio (di 7 pagine) per intero e non ho trovato al loro interno un giudizio così netto. Anzi, è ribadita «l'idea di una respon­sabilità maggiormente condivisa fra gli «attori sociali»: scuola, famiglia, altre agenzie di socializzazione, e non da ultimo i politici». In quest'ottica, infatti, «l'introduzione delle giovani generazioni alla vita politica, sociale ed economica è un compito impegna­tivo e risulta fondamentale rifuggire dalla tentazione di facili deleghe alla scuola, come talvolta emerge nel di­battito, ponendosi, ognuno nel pro­prio ambito, come modello di riferi­mento per quel che riguarda il vivere civile e democratico».
La lettura del rapporto mi ha convin­to che probabilmente i promotori dell'iniziativa il rapporto non l'abbia­no neppure sfogliato (ma neanche il suo «bignamino»). Le loro proposte non sarebbero altro che un sunto af­frettato di un'interrogazione parla­mentare rivolta da Celio il 4 dicembre 2012 al Governo e che chiedeva, man­co a dirlo, l'introduzione dell'educa­zione civica come materia. L'unico lavoro fatto, oltre all'imbarazzante scopiazzata, è l'aggiunta di elementi finalizzati agli scopi politici dei pro­motori. Infine, approfittando della concomitanza delle elezioni comuna­li, è stato confezionato un titolo am­miccante (chi può dire di no all'edu­cazione civica nelle scuole?) e, a rac­cogliere le firme davanti ai seggi, sono stati coinvolti a pagamento ragazzi inesperti (come ammette Giorgio Ghi­ringhelli, tra i promotori dell'iniziati­va. Cfr. www.ilguastafeste.ch). Ho sempre avuto un rispetto quasi reverenziale per la democrazia diret­ta. Per questo non posso accettare i metodi con cui un tema fondamentale come l'educazione alla cittadinanza sia strumentalizzato e banalizzato per fini politici. Il successo dell'iniziativa, d'altra parte, dimostra come questo tema sia sentito nella popolazione e che, dunque, meriti ancora di più di non essere sprecato e di non essere la­sciato in mano ad apprendisti strego­ni che usano con insostenibile legge­rezza il loro diritto democratico.

 

QUALE EDUCAZIONE CIVICA NELLA SCUOLA?
Franchino Sonzogni, coordinatore del progetto ‘La gioventù dibatte’
laRegione, 15 maggio 2013

Un gruppo interpartitico, primo ?rmatario Alberto Siccardi, ha lanciato il mese scorso un’iniziativa popolare legislativa generica denominata “Educazione Civica, alla Cittadinanza e alla Democrazia Diretta” allo scopo d’introdurre (almeno) due ore mensili di civica nelle scuole medie e post obbligatorie del Ticino. Secondo gli iniziativisti la civica dovrebbe essere insegnata in modo disgiunto da altre materie e avere una sua nota speci?ca. All’origine di questa proposta vi sono gli scarsi risultati nell’insegnamento della civica, evidenziati nel 2012 dallo studio di Donati, Marcionetti, Origoni, ricercatori della Supsi. Secondo questa indagine i giovani escono dalla scuola senza le necessarie conoscenze civiche per affrontare con piena consapevolezza di cittadini la realtà politica del nostro stato democratico.
Diversi studi, promossi dal Consiglio d’Europa, dalla rete Eurydice e dall’Iea in oltre trenta Paesi, rivelano che sono tre gli approcci adottati dai diversi sistemi scolastici nazionali per raggiungere gli obiettivi dell’educazione alla cittadinanza. Il primo consiste nell’af?dare questo compito a una materia speci?ca (proposta dell’iniziativa), il secondo a un gruppo di materie (come ?nora in Ticino), il terzo alle materie scolastiche nella loro globalità.
Pertanto la proposta rientra nelle vie possibili, adottate anche in altri Stati. Ma basterà scorporare la civica dalla storia o da altre materie alle quali oggi è associata per raggiungere gli obiettivi ?nora mancati? Dif?cile affermarlo con certezza.
Comunque all’iniziativa va riconosciuto il merito di aprire un dibattito – si spera il più ampio, serio e approfondito possibile – su questo nervo scoperto dell’insegnamento. L’esperienza pluriennale maturata nella scuola mi spinge a credere che non basterà quest’operazione sulla griglia oraria (per nulla facile perché nessuno vorrà cedere le proprie ore) per risolvere i problemi dell’educazione del futuro cittadino. Non sarà suf?ciente cambiare l’etichetta se non ci sarà un sostanziale rafforzamento dei contenuti e un rinnovamento delle metodologie in questo nevralgico settore formativo dei giovani. Come sempre, prima di ogni riforma, è essenziale chiarire i concetti di cui si parla. La letteratura specialistica ci insegna che l’educazione civica e l’educazione alla cittadinanza sono due elementi diversi e complementari, che non vanno confusi. La seconda possiede un signi?cato più ampio e ingloba la prima, che ne costituisce una parte importante, ma non suf?ciente nel percorso formativo del futuro cittadino.
L’educazione civica, alla quale sembra dare maggior peso il comitato degli iniziativisti, consiste, per de?nizione, nel formare il cittadino come soggetto dei diritti e dei doveri fondamentali in tutti gli aspetti della vita sociale, nel dargli le conoscenze e gli strumenti teorici necessari per diventare nella realtà quotidiana un cittadino attivo. In altre parole la civica trasmette un sapere oggettivo, ad esempio, come funzionano i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, la struttura del nostro Stato, i processi politici, gli strumenti dell’iniziativa e del referendum ecc. L’educazione alla cittadinanza, quantunque più dif?cile da de?nire perché multidirezionale, è un insieme di attività educative formali (a scuola) e informali (anche extrascolastiche) di natura interdisciplinare (educazione all’ambiente, al consumo consapevole, alla pace ecc.) che permettono ai giovani di apprendere i valori democratici e acquisire le competenze necessarie per diventare cittadini attivi nell’attuale società globalizzata, multietnica e multiculturale. L’educazione civica si muove essenzialmente su un piano cognitivo, giuridico, delle nozioni, delle conoscenze teoriche sul funzionamento dello Stato. L’educazione alla cittadinanza invece si muove prevalentemente su un piano etico-sociale, trasmettendo contenuti affettivi e valori, stimolando comportamenti coerenti. Promuove il rispetto delle persone, delle idee e dei diritti, soprattutto dei più deboli, favorisce la tolleranza e la solidarietà, tutela i valori della propria comunità, senza etnocentrismi e sciovinismi, combatte il razzismo, la violenza verbale e ?sica, garantisce la libertà individuale e la pluralità delle opinioni, grazie al dibattito, al confronto dialettico, fondato su solide argomentazioni e non sulla demagogia.
La democrazia deve sempre permettere un dibattito costruttivo, rispettoso dall’altro, senza ricorrere all’attacco personale, al dileggio e alla contumelia.
Rispetto, coerenza tra pensiero e azione, esempio. Sono tre pilastri della democrazia e dell’educazione alla cittadinanza. Da qui si dovrebbe partire per costruire il futuro cittadino. Tutti lo dovrebbero tenere ben presente soprattutto chi è attivo in politica e nella sua funzione pubblica utilizza i mezzi di comunicazione. Perché, come ci ricorda John Locke, nulla penetra così profondamente nell’animo umano, soprattutto dei giovani, come l’esempio.
Educazione civica nella scuola? Sì, se accanto alle oggettive e aride nozioni civiche, ci sarà pure un’autentica educazione alla cittadinanza. Sì, se i giovani saranno ascoltati e resi partecipi all’interno dell’istituto scolastico, tramite, ad esempio, l’assemblea degli allievi, prevista dalla Legge della scuola (art. 25, 39, 40), ma in poche sedi realmente operativa. Sì, se i giovani saranno veramente avvicinati al mondo politico, ai problemi della nostra società, coinvolti in attività e dibattiti stimolanti tramite progetti formativi di ampio respiro, che purtroppo ancora troppo raramente riescono a varcare le porte delle aule scolastiche. Sì, se servirà a formare dei giovani pronti a dare un contributo al modello democratico svizzero, non chiusi negli angusti con?ni nazionali ma aperti al mondo.

 

QUALE EDUCAZIONE CIVICA NELLA SCUOLA?
Franchino Sonzogni, docente storia
laRegione, 15 maggio 2013