ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO

Per l'Univesità della Svizzera Italiana
Riflessioni e problemi


L’Università della Svizzera italiana è una realizzazione importante che ha elevato il Ticino al rango di cantone universitario e nella quale è lecito riporre non poche speranze per la crescita culturale ed economica del Paese. Proprio per questo l’Associazione per la Scuola pubblica del Cantone e dei Comuni ne segue con attenzione l’evoluzione; e ora, anche alla luce degli ultimi sviluppi e delle dichiarate prospettive di crescita, ritiene opportuno rendere pubbliche le seguenti considerazioni, che se da un lato rilevano con soddisfazione il decollo di un’istituzione lungamente attesa, dall’altro vogliono mettere in guardia contro alcuni rischi possibili in questa fase di avvìo dell’ateneo.

Le principali perplessità derivano dallo statuto di ente autonomo di diritto pubblico, che conferisce all’USI una autonomia decisionale pressoché completa: ciò può essere vantaggioso per una gestione agile e dinamica, ma comporta anche il rischio di una crescita incontrollata e non necessariamente finalizzata all’interesse pubblico.

Indicheremo, qui di seguito, gli elementi che inducono a ritenere che forse le due logiche - quella dell’ente privato e quella dell’interesse pubblico - non sempre coincidono.

Una programmazione carente

Occorre in primo luogo considerare che la nascita stessa dell’USI è avvenuta sulla spinta di iniziative individuali e in assenza di un piano generale di coordinamento. L’assenza di un tale piano e di una programmazione consapevole si è avvertita in tutti questi primi anni della sua esistenza; sicché, osservandone gli sviluppi, è ragionevole trarne l’impressione che si è trattato di una crescita disordinata, talvolta all’insegna di un’improvvisazione suggerita da circostanze fortuite più che da una programmazione consapevole. Riassumiamo i principali momenti di questa crescita:

Se si considera che tutta questa complessa struttura, con le sue molteplici ramificazioni e differenziazioni interne, è avvenuta in soli sette anni, e non di rado cogliendo al volo opportunità occasionali che non rientravano in un preciso piano di programmazione, sono possibili due differenti valutazioni: da un lato, va riconosciuta la vitalità e l’iniziativa delle quali gli organi dirigenti dell’USI hanno dato prova; dall’altro, la crescita costante e a ritmi incalzanti dell’ateneo non sempre appare perfettamente coerente e funzionale alla finalità di formazione accademica che deve rimanere il suo obiettivo primario.

Un altro aspetto che merita attenzione riguarda il numero e lo statuto dei docenti. Sono attualmente 44 alla Facoltà di Economia, 42 all’Accademia di Architettura (che però deve provvedere a 6 anni di corsi, anziché 5) e ben 72 alla Facoltà di Scienze della comunicazione. La crescita abnorme del corpo docente di quest’ultima facoltà non si spiega solo con il proliferare di corsi di master, ma anche con il fatto che molti dei docenti svolgono un numero piuttosto basso di lezioni e assicurano una presenza minima. Di fatto, i dati relativi all’anno accademico 2002/2003 indicano che i professori stabili (con contratto quadriennale e rapporto d’impiego da 2/3 a 1/1) sono solo 8 nella Facoltà di Architettura, 12 in quella di Economia, 13 in quella di Scienza della comunicazione. Per tutti gli altri casi si tratta di docenti che svolgono la loro attività primaria in altre università: se da un lato questo può comportare un vantaggio economico per l’USI, consentendole di retribuire modestamente i docenti che collaborano con essa solo parzialmente, dall’altro lato è evidente che la scarsità di docenti stabili non può contribuire a definire un indirizzo consolidato e una continuità d’insegnamento alle facoltà dell’USI.

Nel mondo accademico non mancano certo i docenti - anche di indubbio valore e di buona fama - che risultano disponibili per un incarico annuale o per un insegnamento ridotto: si tratta, in genere, di docenti che hanno raggiunto l’età del pensionamento presso l’ateneo nel quale erano nominati; oppure, di docenti che fruendo di un anno di congedo sabbatico dedicano parte del loro tempo all’insegnamento in università estere; oppure ancora, di tutti coloro che trovano finanziariamente conveniente integrare la retribuzione per il loro incarico principale con un secondo, un terzo o un quarto stipendio, sia pure ridotti. Nelle facoltà dell’USI infatti non sono rari i casi di docenti con tre o quattro incarichi diversi in atenei e istituti di ricerca spesso anche molto distanti tra loro. Ora, è legittimo chiedersi se l’apporto didattico e scientifico che essi sono disposti a fornire alla nostra istituzione accademica risulti adeguato e conforme alle sue finalità formative.

È anche legittimo supporre che il ricorso a docenti secondo la loro disponibilità occasionale possa influire sulla struttura curricolare e sui piani di studio. In effetti, un’analisi longitudinale dei curricoli di formazione (in particolare quello di Scienze della comunicazione) mostra che dall’inizio del suo insegnamento ad oggi i cambiamenti e le correzioni di rotta non sono certo mancati: vi sono insegnamenti attivati e poi soppressi, altri modificati in itinere, numerosi cambiamenti di docenti o delle discipline loro assegnate. Tutto ciò può dare l’impressione di una eccessiva elasticità nell’organizzazione dei curricoli, di una certa tendenza all’improvvisazione e di una politica di assunzione del corpo insegnante secondo la disponibilità occasionale o la convenienza economica.

Occorre peraltro considerare che facoltà di nuova nascita quasi inevitabilmente devono introdurre modifiche e assestamenti nei loro curricoli di formazione. Tuttavia è più che legittimo concluderne che l’USI sta ancora cercando un assestamento per i curricoli esistenti e che il suo massimo impegno dovrebbe ora consistere nel definire con chiarezza i suoi indirizzi formativi e di ricerca e nel consolidarli, sia con la chiara e coerente definizione dei curricoli, sia con una programmazione attenta delle assunzioni del personale docente. Appare dunque poco opportuno che l’USI persegua una politica di espansione e di crescita costante aggiungendosi nuove facoltà, nuovi curricoli e nuovi masters quando ancora deve essere verificata la validità di quelli esistenti.

Su un aspetto soprattutto bisognerebbe fare chiarezza: l’USI vuole in primo luogo essere attrattiva per il più gran numero possibile di potenziali studenti/clienti, oppure vuole primariamente costituire una valida via di formazione per gli studenti che la frequentano? Nel primo caso la strategia conseguente consisterebbe nel moltiplicare l’offerta di “prodotti” e nel crescere secondo una visione di marketing, così da raggiungere un mercato notevolmente ampio e accrescere il numero delle iscrizioni attirandole soprattutto dall’estero (non dimentichiamo che gli introiti derivanti dall’iscrizione di uno studente straniero risultano più redditizi di quelle di studenti confederati); nel secondo caso, la strategia da adottare consisterebbe invece piuttosto nel puntare sull’eccellenza della formazione fornita agli studenti.
Le due strategie, forse, non sono incompatibili e ci piacerebbe pensare che l’USI punta decisamente alla loro conciliazione: ma ci sono invece segnali che lasciano intendere che l’obiettivo primario della nostra istituzione accademica sia quello di crescere, inserendo nuovi polloni o fagocitando strutture già esistenti, senza una vera programmazione scientifica e didattica.
A tale riguardo va ricordato che lo Statuto dell’USI - ossia il quadro normativo generale che deve disciplinarne il funzionamento, espressamente previsto dalla Legge sull’USI (art.6, cpv.2) - è in vigore solamente dal 2 maggio 2003; sino a quel momento vigeva uno “Statuto provvisorio” del 31 maggio 1997. Tale Statuto provvisorio - la cui provvisorietà è durata quasi sei anni - faceva dipendere le due Facoltà luganesi da una Fondazione privata e rendeva di fatto difficile, se non impossibile, un reale coordinamento con l’Accademia di Architettura, nonché una politica universitaria globale pensata secondo una programmazione coerente e unitaria. Di fatto, le singole Facoltà hanno perseguito scopi e strategie di crescita diverse, rilevabili da divergenze anche notevoli - per numero e tipo di docenti, per le modalità della loro assunzione e per le diverse logiche di sviluppo.

La nuova Facoltà di Scienze

Nel marzo 2002, poi, si affaccia l’ipotesi - anzi, la volontà - di aggiungere alle tre Facoltà esistenti una nuova Facoltà di Scienze, prevista inizialmente con indirizzo informatico. La denominazione “Facoltà di Scienze”, ha spiegato il presidente Marco Baggiolini, è “una definizione che “non necessariamente deve assumere carattere definitivo e che in effetti può apparire generica. Ma che, questo è certo, rispecchia gli indirizzi che si intendono percorrere in collaborazione con le altre principali istituzioni accademiche e di ricerca cantonali: a partire dalla SUPSI, dal Centro di calcolo scientifico di Manno e dall’IRB di Bellinzona, solo per citare le principali”. In concreto, la nuova facoltà dell’USI, dovrà assumere le sembianze di un “contenitore nel quale poter inserire una serie di attività mirate in campi dove c’è eccellenza, i quali, però, possono far parte di un conglomerato scientifico ben preciso. Diciamo quindi che, per fugare ogni dubbio, nella Facoltà di scienze l’indirizzo di informatica sarà il primo ad essere sviluppato fino in fondo”” (“Corriere del Ticino”, 8 marzo 2002).

Il disegno generale è dunque abbastanza trasparente: la futura Facoltà di Scienze partirebbe con un curricolo a livello superiore di studi informatici, per agganciare progressivamente altri istituti e di lì crescere secondo le opportunità offerte via via dal caso e dalle alleanze strategiche possibili. Lo stesso Studio di fattibilità per una nuova Facoltà di scienze dell’USI (11 luglio 2002) lascia intendere prospettive più ampie: “Anche vari ambienti ticinesi hanno sottolineato come la scelta delle discipline dell’USI permetta di incidere solo in modo limitato sullo sviluppo del Cantone. Le scienze informatiche e le scienze biomediche vengono insistentemente indicate come possibili campi di ulteriori sviluppi” (p.2).

Lo sfruttamento delle risorse esistenti e l’introduzione di sinergie sono, ovviamente, apprezzabili e utili; ma non va dimenticato che quanto più cresce la complessità di un’organizzazione, tanto più le sinergie e il coordinamento rischiano di rimanere buoni propositi e di produrre uno stato di confusione anziché di potenziamento. Qualcosa del genere sembra essersi verificato, ad esempio, con l’IRE: aggregato alla nuova Facoltà di Economia e trasferito nel campus luganese, ha traslocato a Lugano anche la sua documentazione e il patrimonio librario; ma lo scorso mese di maggio questo materiale documentaristico ha ripreso la strada di Bellinzona. Episodi come questi danno l’impressione, più che di sinergie raggiunte, di scarsa chiarezza nelle forme della collaborazione e di un’evanescente programmazione.

Al di là di queste considerazioni, rimangono comunque due punti particolarmente problematici nella proposta di una nuova facoltà ad indirizzo informatico. Il primo riguarda la specificità del curricolo di formazione e l’eventuale duplicazione della formazione professionale già fornita dalla SUPSI. Perplessità di questo genere si sono già avute per quanto riguarda la Facoltà di Architettura e per quella di Economia, per le quali alcune vie di formazione possono sembrare eccessivamente simili e sovrapponibili. Molto si è detto e scritto in proposito e al riguardo rimangono comunque pareri divergenti. Il permanere di divergenze fra competenze ugualmente autorevoli (si ricordano, ad es., le perplessità e le riserve di un ricercatore di indubbio valore, il prof. Sergio Albeverio) non consente di sciogliere la questione: il nuovo curricolo di informatica dell’USI potrebbe essere un doppione di quello della SUPSI, con in più un livello di formazione teorica superiore; ma potrebbe anche essere sufficientemente diversificato, tanto da giustificare una sua specificità non invasiva delle competenze della SUPSI.

Anche il secondo punto debole è ben lontano dalla chiarezza che sarebbe necessaria. Quali possibilità di assorbimento offre il mercato del lavoro per i futuri diplomati della Facoltà luganese di informatica? Nel marzo dello scorso anno il direttore del DECS, presentando il progetto di nuova facoltà, dichiarava: “Occorre compiere una seria verifica di mercato [...] per individuare i potenziali concorrenti nel panorama universitario svizzero ed estero, evitando, soprattutto, doppioni con gli istituti esistenti: in primis la SUPSI” (“Corriere del Ticino”, 21 marzo 2002). Non sappiamo se questa seria verifica di mercato sia stata fatta; sappiamo che nella redazione del Programma di laurea triennale in Scienze informatiche dell’USI (10 marzo 2003) hanno collaborato docenti dell’USI e della SUPSI nel tentativo di differenziare ragionevolmente i rispettivi curricoli; ma rimane incerto (malgrado le assicurazioni generiche dello Studio di fattibilità) in che misura una formazione - che dovrebbe essere fortemente orientata in senso teorico e culturale - saprà colmare un effettivo vuoto formativo nell’attuale offerta accademica delle regioni limitrofe che comprende curricoli di formazione in ingegneria informatica al Politecnico di Milano, al suo distaccamento di Como, all’Università dell’Insubria di Como, all’Università dell’Insubria di Varese (per considerare solo i curricoli di 5 anni, corrispondenti a quello della facoltà luganese; ma vi sono poi i curricoli di 3 anni offerti dal distaccamento cremonese del Politecnico di Milano, dall’Università Statale di Milano e dalla Bicocca di Milano; dall’Università di Pavia e da quella di Castellanza); ai quali si aggiungono i curricoli di diversa durata offerti dall’ETHZ, dall’EPFL, dalle Università di Zurigo, Basilea, Berna, Friburgo, Neuchâtel, Losanna e Ginevra.
Un’altra incognita è rappresentata dagli sbocchi professionali dei diplomati, in un mercato del lavoro che sembra aver già raggiunto e superato il punto di saturazione (secondo un’osservazione espressa dall’ex direttore della SUPSI, prof. Angelo Rossi).
E infine resta da vedere se l’offerta formativa del primo triennio dalla facoltà - quello che risulta più vicino all’attuale formazione offerta dalla SUPSI - non rischi di togliere iscrizioni a quest’ultima scuola, condannandola conseguentemente alla riduzione dei fondi pubblici ad essa destinati e destituendola da un ruolo che ha finora svolto a vantaggio del Cantone. La crescita dell’USI deve starci a cuore, ma non al costo di impoverire l’altra scuola universitaria che svolge per il Cantone una funzione altrettanto essenziale.

Occorre poi considerare la dimensione dei costi. L’art.1 della Legge USI/SUPSI stabilisce che l’attivazione di nuove facoltà deve sottostare a due condizioni fondamentali: “a. una qualità scientifica di rilevanza internazionale; b. uno sviluppo conforme alle risorse disponibili e alla domanda”.
Quanto al punto a), la rilevanza scientifica internazionale della futura facoltà è assicurata dal gruppo di lavoro che ha elaborato il progetto, servendosi della collaborazione di esperti dei Politecnici di Zurigo e di Milano, oltre che di docenti ticinesi. Occorrerà però osservare che due autorevoli esponenti della Scuola politecnica federale di Zurigo appartengono al Consiglio dell’USI, e che la collaborazione con il Politecnico di Milano è stata assicurata nella persona del prof. Roberto Negrini, che è pure docente nella Facoltà luganese di Scienze della comunicazione: il che suggerisce che al progetto stesso è mancata una valutazione esterna, ad opera di studiosi non direttamente coinvolti nella gestione o nella didattica dell’USI.
Quanto al punto b), lo Studio di fattibilità dell’11 luglio 2002 prevede costi di gestione e di investimenti crescenti dai 2'578’964 del primo anno di attivazione della nuova facoltà agli 8'629’286 dell’anno accademico 2007/08, quando il curricolo previsto fosse completamente attivato. Di queste somme, risulterebbero a carico del Cantone 253'000 frs. nel primo anno, destinati a crescere fino a 4'303'000 a curricolo completamente attivato. Lo Studio citato non permette, però, di stabilire in che misura il preventivo dei costi relativi alle infrastrutture tenga conto di investimenti straordinari che in parte sono già previsti e menzionati: a titolo d’esempio, si ricorda quanto è affermato a pag.5 dello Studio di fattibilità: “[...] il maggior partner scientifico del progetto, il CSCS, trasferirà la direzione e l’area scientifica da Manno a Lugano, di fronte al Campus dell’USI, proprio per motivi di sinergia accademica [...]”.
A questo proposito è bene ricordare che le tre facoltà attualmente esistenti hanno già comportato investimenti per quasi 100 milioni fra il 1996 e il 2002; e che, giusto nel marzo di quest’anno, nell’ambito delle misure di risparmio decise dall’autorità politica, sono stati attuati tagli ai crediti già concordati per l’USI e la SUPSI (con una riduzione di circa 430'000 frs. per l’USI e di oltre un milione per la SUPSI). In questa cornice, l’oscillazione fra la tendenza al risparmio e una politica universitaria di crescita a ritmi accelerati sembra voler risparmiare una briciola per donare una torta intera.

Conclusioni

L’Associazione per la Scuola pubblica del Cantone e dei Comuni ha voluto segnalare le perplessità che hanno fatto seguito alla sua analisi dell’USI e dei suoi primi anni di esistenza.
La crescita esponenziale di una Università che ha appena sette anni di vita non sembra rispondere a una programmazione ponderata e consapevole: si ha invece la forte impressione che l’ambizione prevalente della neonata università sia di crescere comunque - non importa se in modo coerente e funzionale agli scopi. Una nuova realizzazione non ha il tempo di consolidarsi e di verificare la propria efficacia che subito si promuovono una nuova propaggine o un nuovo indirizzo formativo.
La Facoltà di Scienze sopravverrebbe quando ancora non si ha una verifica della validità della formazione fornita dalle tre facoltà già esistenti e dell’accettazione dei neodiplomati da parte del mercato del lavoro. E ora che la nuova Facoltà di Scienze è alle porte, già circolano ipotesi di assorbimento dell’Istituto svizzero di pedagogia per la formazione professionale in un nuovo indirizzo della Facoltà di Scienze della comunicazione; la quale Facoltà, giusto nel giugno di quest’anno, si è data un nuovo master (in aggiunta agli otto già istituiti nei suoi sette anni di esistenza). Questi ritmi vertiginosi di crescita suggeriscono un’immagine dell’USI simile a quella di un organismo onnivoro che mangia qualsiasi cosa pur di crescere continuamente.
Una crescita dell’istituzione universitaria ticinese è senz’altro auspicabile, ma sarebbe probabilmente opportuno procedere senza fretta: occorrerebbe in primo luogo consolidare gli istituti esistenti, definire meglio i curricoli di formazione (almeno per Scienze della comunicazione), fare ordine e chiarezza nelle ramificazioni che l’USI si è già data anche in modo estemporaneo. Invece, la fretta sembra essere l’elemento imperativo: forse proprio perché la crescita avviene non sulla base di una precisa programmazione, ma improvvisando in base alle opportunità che emergono a caso, alle alleanze interuniversitarie stabilite, o a una logica di crescita più propria di un’azienda commerciale che di un istituto didattico e di ricerca.

Per evitare il rischio che l’USI si avvii verso una strategia di crescita incontrollata e non necessariamente funzionale agli scopi per i quali è stata istituita, alcuni provvedimenti sembrano raccomandabili:

  1. sospendere l’attivazione di nuove strutture e nuovi curricoli e concentrarsi per il momento sulla migliore definizione di quelli esistenti e sul perfezionamento delle vie di formazione già attivate;

  2. procedere a una verifica rigorosa della validità scientifica e didattica delle formazioni fornite, anche in rapporto alle esigenze del mercato del lavoro e alle sue reazioni nei confronti dei primi diplomati. Lo Statuto dell’USI, in vigore da pochi mesi, prevede (art. 8, cpvv. 1 e 2) solamente una valutazione interna: “L’USI valuta regolarmente la qualità dell’insegnamento, della ricerca e dei servizi. La valutazione ha lo scopo di garantire la qualità nell’adempimento dei compiti fissati nei mandati di prestazione dell’USI, dei suoi istituti e di altre sezioni.”. Sembra poco ragionevole che l’ente che riceve i mandati sia anche quello che valuta e certifica la qualità con la quale i mandati sono svolti: una verifica rigorosa richiederebbe d’essere affidata a un organo di controllo esterno;

  3. avviare una programmazione a medio-lungo termine, in modo che la crescita futura, con l’aggiunta di nuove facoltà e istituti di ricerca, avvenga nel quadro di una visione d’assieme coerente e ordinata, giustificata da una politica universitaria complessiva e attentamente progettata.

Affinché almeno gli ultimi due suggerimenti possano trovare applicazione pratica, sembra però opportuno che il Consiglio dell’USI sia affiancato da un organismo scientifico indipendente di controllo della qualità dell’insegnamento e della ricerca, che abbia il compito di conciliare le esigenze di crescita dell’USI con quelle del Cantone e dei suoi bisogni formativi ed economici.
Tale organismo potrebbe dipendere, per il suo mandato, direttamente dalla Commissione scolastica del Gran Consiglio, che ne diverrebbe l’interlocutore preferenziale; e la Commissione granconsigliare potrebbe anche trarne la consulenza necessaria per valutare questioni complesse e prettamente tecniche quali quelle di verifica dei curricoli e delle proposte di sviluppo avanzate dalla programmazione universitaria.

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