La disciplina denominata ‘Insegnamento religioso’ nella vigente Legge della scuola ci è sembrata insoddisfacente e quindi da ristudiare:
a) per lo statuto che la regola nella legge (frutto di un vecchio compromesso tra lo Stato liberale e la Chiesa cattolica);
b) per come viene recepita e utilizzata, o rifiutata, dagli utenti della scuola.a) Il quadro istituzionale.
Sotto l’aspetto legale l’”Insegnamento religioso” è così regolato nel Capitolo V della vigente Legge della scuola:
Art. 23.1: “L’insegnamento della religione cattolica e della religione evangelica è impartito in tutte le scuole obbligatorie e post obbligatorie a tempo pieno e nel rispetto delle finalità della scuola stessa e del disposto dell’art. 49 della Costituzione federale.”
(Si tratta dunque di insegnare due religioni particolari, quelle riconosciute di diritto pubblico dall’articolo 24 della Costituz. Cantonale, nient’altro).Art. 23.2: “La frequenza degli allievi all’insegnamento religioso è accertata all’inizio di ogni anno dall’autorità scolastica mediante esplicita richiesta alle autorità parentali, rispettivamente agli allievi se essi hanno superato i sedici anni di età.”
(Oggi tale accertamento viene eseguito con la modalità dell’iscrizione anno per anno).Art. 23.3: “La designazione degli insegnanti, la definizione dei programmi di insegnamento, la scelta dei libri di testo, del materiale scolastico e la vigilanza didattica competono alle autorità ecclesiastiche.”
(L’insegnamento delle due religioni risulta così ‘appaltato’ alle due chiese rispettive, senza che lo Stato - la società nella sua interezza - possa interferire in qualsiasi maniera).Art. 23.4: “La vigilanza amministrativa compete alle autorità scolastiche.”
(Queste devono insomma organizzare l’insegnamento religioso in tutte le scuole, metterlo in orario, registrare presenze/assenze degli allievi, rubricarne i voti…).Art. 23.5: “Lo stipendio degli insegnanti di religione delle scuole cantonali è a carico dello Stato.”
(Lo Stato finanzia così un insegnamento non suo, fornito in pratica dalle Chiese ai rispettivi appartenenti).L’Art 23. 6 precisa ancora che lo statuto dell’insegnante di religione e l’organizzazione dell’insegnamento religioso sono regolati da convenzioni tra Consiglio di Stato e autorità religiose.
(Questo conferma che l’insegnamento religioso è diverso dagli altri: chi lo impartisce può avere uno statuto diverso dagli altri insegnanti, così come diversa può esserne l’organizzazione).b) Conseguenze pratiche:
Indipendentemente da come le Chiese intendono e svolgono il loro mandato, secondo queste norme la loro resta una presenza di due confessioni religiose (cattolica ed evangelica) all’interno della scuola di tutti, per insegnare ad libitum la propria ‘religione’ (testi e dottrina, valori e precetti, organizzazione e rapporti gerarchici, sacramenti e riti…).
Almeno per la Chiesa cattolica questa presenza è un dovere da mettere in relazione con il proprio compito di evangelizzazione: ‘La Chiesa (…) deve rendersi presente (…) ai moltissimi suoi figli che vengono educati nelle scuole non cattoliche. (…) Questo ella fa sia (…), sia soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici, che insegnano loro la dottrina della salvezza (…)’ (Concilio Vaticano II, ‘Gravissimum educationis’, n. 7).
Insegnamento, sì, dunque, ma in qualche misura anche persuasione e proselitismo.Per tradizione, questo tipo di mandato, o di appalto che dir si voglia, fa sì che l’insegnamento religioso nella nostra scuola pubblica venga frequentato dai soli adepti delle due confessioni e che sia impossibile renderlo obbligatorio per tutti.
Gli allievi estranei alle due Chiese ‘ufficiali’, ormai molto numerosi nella società ticinese di oggi, sentono tale insegnamento come estraneo all’impostazione generale della scuola pubblica (laica e critica), ma soprattutto non rivolto a loro, per cui si rifiutano di frequentarlo.Tale insegnamento religioso, malgrado gli sforzi fatti dalle Chiese per adattarlo alle finalità della scuola pubblica, alle sensibilità ed età degli allievi, rimane disciplina piuttosto avulsa dal quadro generale, poco integrata nella nostra scuola pubblica (per la sua provenienza da Chiese, per i programmi elaborati e svolti dalle Chiese stesse, per gli orari spesso forzatamente marginali, ecc.) e viene spesso criticato perfino dagli allievi che lo frequentano (come troppo finalizzato alla dottrina o, all’opposto, come troppo lasciato a discussioni improvvisate). Molti di questi giovani cessano infatti di iscriversi a ‘religione’ non appena possono disporre personalmente, così che la frequenza scende spesso a limiti minimi, con percentuali insignificanti (fino al 5% in certe classi del Medio Superiore).
Gli allievi che non frequentano l’insegnamento religioso delle Chiese passano attraverso la nostra scuola pubblica senza poter fruire di un discorso strutturato che li istruisca convenientemente sul fenomeno religioso, sulla/e religione/i del posto (mentre lo devono fare per la lingua del posto, eccome!) e, tanto meno, sulla geografia-storia religiosa dell’umanità. Troppi giovani escono perciò dalla scuola insufficientemente informati sugli aspetti religiosi della nostra cultura, incapaci di comprendere parte delle fondamenta della nostra civiltà (il contributo giudaico-cristiano, con le sue espressioni dottrinali, sociali e artistiche).
Noi riteniamo che questa mancanza li privi di una ricchezza: l’abitudine e quindi la capacità di riflettere sulla condizione dell’uomo nel mondo, sul senso e i modi del vivere insieme, sulla storia dell’umanità, che molto contribuiscono alla promozione personale e alla coesione sociale.
Tale insufficiente preparazione espone i giovani ad aspetti inquietanti della vita di oggi: conformismo acritico, superficialità materialista, superstizioni e propagande settarie, consumismo onnivoro, libertarismo irresponsabile, individualismo indifferente alla sorte comune, ecc. e contribuisce non poco ad aggravare tanti problemi sociali (egoismo e disgregazione della società, spreco di beni e risorse, indifferenza verso gli altri e verso il futuro…).c) Un’alternativa è possibile
Queste considerazioni ci inducono a postulare una sostanziale riforma dell’offerta scolastica in tema di ‘religione’.
Non possono infatti bastare i ricorrenti richiami alla responsabilità dei genitori prima e degli stessi allievi poi, ad una maggiore attenzione della scuola pubblica per ‘l’ora di religione’, appelli generici ad un insegnamento migliore, ecc. La situazione attuale non soddisfa più nessuno e non può esser resa soddisfacente con simili palliativi.
Escludiamo pure che si possa sistematicamente affiancare all’attuale insegnamento religioso delle Chiese un corso parallelo di ‘cultura religiosa’ per gli altri allievi. Si tratta di un’idea avanzata anni addietro col nome di doppio binario; un tentativo sperimentato qua e là, che però non possiamo accettare come soluzione definitiva del problema. Sarebbe infatti come avallare una separazione tra allievi cattolici ed evangelici da una parte e allievi non…, ossia ‘di altro genere’ (Come definirli? A-religiosi e/o di altre religioni?) dall’altro. La scuola pubblica non può far proprie simili ripartizioni. Sarebbe come accettare che ai primi la scuola (lo Stato) debba offrire un complemento di formazione nella propria confessione assicurato direttamente dalle rispettive Chiese, mentre per gli altri debba riempire in qualche modo una lacuna (di che genere?) con un corso ‘statale’ di informazione religiosa. Senza dire che in tal caso i fedeli di altre religioni potrebbero rivendicare loro corsi specifici, e saremmo da capo con la ripartizione degli allievi secondo appartenenze secondarie rispetto all’unica appartenenza primaria alla società civile, l’unica valida per la scuola pubblica. Sarebbe infine un modo per privare gli allievi di ogni confronto tra esperienze e sensibilità religiose diverse, con risultati di impoverimento, di chiusura e magari di intolleranza.
Proponiamo pertanto una soluzione sostitutiva di tutte le situazioni attuali e in particolare alternativa (non compatibile) all’insegnamento religioso così com’è formulato nella vigente Legge della scuola. La nostra proposta si fonda sulle convinzioni seguenti:
la ‘religiosità’ (come interrogazione dell’ignoto in cui si vede immerso) costituisce una caratteristica dell’uomo, la ‘religione’ (come offerta di risposte) una costante di ogni società umana, la ‘risposta religiosa’ (come disamina e scelta personale) un problema che interpella ogni individuo ed ogni società.
In una società pluralista come la nostra, la scuola dello Stato deve garantire a tutti gli allievi, indipendentemente da ogni loro eventuale appartenenza ecclesiale, un’introduzione al fenomeno religioso in generale (l’uomo che si interroga sulla propria condizione e funzione nell’universo, sul senso e l’impiego della propria esistenza, sui rapporti con gli altri), alle sue manifestazioni soprattutto nella nostra area (le risposte del cristianesimo prima di tutto, senza escludere quelle di altre religioni ormai presenti tra noi) e a quegli elementi culturali della dottrina cristiana, senza i quali i giovani resterebbero incapaci di comprendere gran parte della storia, della filosofia e dell’arte del mondo in cui vivono.
E’ pure doveroso informare i giovani dell’esistenza di concezioni non religiose della vita e affermare la pari dignità di chi non crede. Tali concezioni, sullo sfondo dell’Illuminismo, hanno avuto ed hanno una parte importante nella nostra cultura e nella storia.
Va pure tenuta presente l’importanza per ogni società di elaborare e trasmettere valori etici e di indicare ai suoi giovani dove questi valori abbiano radice.
L’apertura al discorso religioso deve contribuire alla reciproca conoscenza degli uomini (quindi dei giovani allievi) e al rafforzarsi del mutuo rispetto.
La compresenza di diversi atteggiamenti nei confronti del religioso e delle religioni in una stessa società induce a rendersi meglio conto di come sia opportuno e conveniente per tutti lo Stato laico, che tutti rappresenta e tiene uniti con la propria legge.
Si tratta di aspetti così importanti e gravi di conseguenze da non poter essere ignorati nella formazione di giovani moderni. Una loro trattazione deve essere presa in considerazione per tutti, nel più scrupoloso rispetto della “libertà di coscienza e di religione” (garantita dall’articolo 8, lett. b della Costituzione cantonale), nonché dell’articolo 7, secondo il quale “nessuno deve subire svantaggio o trarre privilegio per motivi di origine, razza, posizione sociale, convinzione religiosa, filosofica, politica o stato di salute.”
Dal punto di vista istituzionale la nostra proposta si articola come segue:
In tutte le scuole obbligatorie e post-obbligatorie a tempo pieno viene dato lo spazio equivalente di un’ora-lezione settimanale ad un approccio obbligatorio al fenomeno religioso conformemente alle finalità della scuola. (Il pieno rispetto dell’art. 8 della Costituzione cantonale sulla libertà di coscienza e di religione è garantito dall’impostazione stessa della disciplina, non più confessionale e persuasiva, bensì laica e conoscitiva).
Tale insegnamento compete totalmente allo Stato, che garantisce la vigilanza generale mediante propri organismi ed esperti. La sua impostazione è laica e conoscitiva, ossia imparziale e scevra da fini di proselitismo; i suoi programmi rispettano le peculiarità dei vari gradi e ordini di scuola; i suoi insegnanti sono insegnanti statali ed hanno la formazione richiesta dalle autorità dello Stato, una formazione di livello comunque equivalente a quella richiesta per le altre discipline; libri di testo e materiale didattico sono scelti con le stesse modalità seguite per le altre discipline; la collocazione da riservare nei diversi ordini di scuola e l’eventuale certificazione dei risultati sono di competenza dello Stato.Indicazioni programmatiche di massima (solo per dimostrare che tale insegnamento non è ipotesi accademica, bensì concreta possibilità).
Per armonizzarsi con l’impostazione generale della Scuola Elementare, l’insegnamento religioso dovrebbe qui contribuire all’esplorazione-conoscenza dell’ambiente: il nostro ambiente è ricco di manifestazioni della religiosità:ci sono edifici sparsi sul territorio (cattolici: chiese e conventi, campanili e cappelle, soste e stazioni, battisteri e cimiteri; ma, più recenti, anche di altre confessioni e religioni), con le rispettive strutture, funzioni e storie, con i loro contenuti rituali (libri e messali, colori e paramenti, oggetti del culto), devozionali (ex voto, per esempio) e artistici (siti scelti, materiali utilizzati, forme costitutive, elementi architettonici ricorrenti, immagini, suppellettili)…;
c’è il calendario cristiano con i suoi numeri e nomi, i suoi cicli, le festività, le tradizioni locali, i santi ricordati, i proverbi…; ma ci sono anche altri calendari ai quali fanno capo persone che oggi vivono con noi;
ci sono le cerimonie, talune più familiari (come battesimi e matrimoni), altre più comunitarie (messe, processioni e funerali);
ci sono appellativi e toponimi, detti e leggende, preghiere e canti…
Un ricco patrimonio presente sul territorio, al quale si tratterebbe di avvicinare gli allievi, per incuriosirli, aiutarli a formulare domande, dare risposte e spiegazioni, arricchire via via le conoscenze (a partire dai racconti biblici e dalla storia del posto).
Si tratta di attività note e in parte già presenti nella scuola, svolte sia dai maestri, sia dai catechisti, specialmente in occasione delle maggiori festività; si tratterebbe di organizzarle in sequenze didattiche più coerenti con il resto del programma (geografia, storia, lingua), più consapevolmente finalizzate (alla conoscenza dei segni della religiosità locale) e condotte con didattica impeccabile.
A nostro parere simili sequenze didattiche dovrebbero essere organizzate dai docenti generalisti e svolte da loro stessi. Soprattutto nella fase transitoria, in attesa cioè che la scuola magistrale li formi anche a queste attività, essi dovrebbero poter fare ricorso all’aiuto di specialisti di storia e/o di storia dell’arte locale, di lingua, di testi religiosi.Nelle Scuole Medie si potrebbero estendere simili ricognizioni al comprensorio regionale e svilupparle maggiormente in direzione dei testi religiosi (cristiani, ma non solo), ossia dei testi in cui l’uomo esprime il proprio rapporto con la divinità (comunque intesa). Tali testi sono di vario genere: vanno dal testo Narrativo (racconti, a loro volta molto diversificati: racconti biblici, biografie, atti, parabole, miti, leggende…) a quello Espressivo (preghiere, lamentazioni e invocazioni), dal testo Prescrittivo (comandamenti, leggi, prescrizioni rituali) a quello Poetico (salmi, canti e cantici, drammi e sacre rappresentazioni)… C’è solo l’imbarazzo della scelta!
Per questa parte andrebbero elaborati programmi specifici con funzione introduttiva ed esemplificativa, il cui svolgimento dovrebbe essere affidato a docenti specializzati (si potrebbero cercare tra i docenti di storia e di lettere debitamente aggiornati, oltre che, con il tempo, tra persone preparate ad hoc).
Come per i docenti delle altre discipline, anche per questi occorrerebbero ovviamente corsi di abilitazione e di formazione continua.Nelle Scuole Superiori (Licei e Scuole professionali a tempo pieno) si potrebbero da un lato proseguire gli studi sui testi, dall’altro aprire percorsi nuovi funzionali ad ogni ordine di scuola, tenendo conto degli interessi manifestati dai giovani. Per esempio, conoscenze di antropologia religiosa (l’uomo che, da sempre, interroga l’universo misterioso in cui scopre di trovarsi e si ingegna a elaborare risposte; la diversità di tali risposte; la libertà umana di accettare e di rifiutare); figure e storie di fondatori di religioni; attività di comparazione tra religioni (che cos’hanno in comune e che cosa le distingue?) e anche tra religioni e visioni non religiose; attività di introduzione all’etica; momenti di storia del cristianesimo ed ev. di altre religioni…
Per i docenti valgono le osservazioni fatte per le Scuole Medie, con l’avvertenza che qui occorrono docenti particolarmente preparati sia nei contenuti disciplinari sia nella didattica.