ASSOCIAZIONE PER LA SCUOLA PUBBLICA DEL CANTONE E DEI COMUNI IN TICINO


La scuola, l’integrazione e i modelli


Si sa che ogni società disegna e costruisce i propri sistemi istituzionali secondo principi che si ritengono essere ampiamente condi­visi. Gli uni e gli altri non sono eterni: quando mutano gli orientamenti della prima, cambiano inevitabilmente anche i secondi. Ciò vale anche per la sfera della scuola, che certamente è uno dei settori più sensibili in tal senso.
La comunità ticinese, oltre trent’anni fa, ha fat­to delle scelte precise in quest’ambito delicato: scelte che hanno originato (e applicato) un mo­dello formativo che allora appariva coraggioso e che – non penso possano esservi dubbi in propo­sito – ha dato a conti fatti buoni frutti.
Mi riferi­sco alla creazione della scuola media unica, che rispondeva e tuttora risponde ad un anelito fon­damentale: quello di assicurare pari opportuni­tà ad ogni allievo e di garantire inoltre la massi­ma integrazione fra i ragazzi, evitando il più pos­sibile le rispettive ghettizzazioni prima ben pre­senti (di natura sociale, ma anche semplicemen­te geografica) fra maggiori e ginnasio. In più si è cercato di limitare la via, ben più comoda e al­trove assai praticata, delle cosiddette «scuole spe­ciali » , preferendo puntare semmai sull’azione di un sostegno pedagogico diffuso e dinamico pe­r aiutare gli allievi in palese difficoltà.
Sinceramente non mi pare che oggi siano dati i presupposti, a livello socio-politico, per rimette­re in discussione questo modello, che in ogni ca­so – è ovvio – deve sempre essere oggetto d’ag­giornamento (come per altro è sempre stato il caso). Eppure negli ultimi tempi non passa set­timana che non si alzino voci che ne vorrebbe­ro stravolgere la sostanza. Si tratta più che al­tro di critiche isolate, di singole persone, quin­di non ancora di gruppo, ma che in ogni cas­o appaiono insistenti, e mi sembra giusto quindi cercare di capire e analizzare il fe­nomeno.
L’accusa principale, quella esterna­ta pubblicamente, concerne il fatt­o che gli allievi « dotati » vengono pe­nalizzati dal contatto con i compa­gni che invece faticano maggiormen­te a raggiungere gli stessi obiettivi formativi. Da qui la richiesta di un­a separazione fra le categorie, di crea­re corsie preferenziali, di dividere in­somma i buoni dai cattivi (nella fat­tispecie: gli intelligenti dai «cretini»). La domanda non risponde certo ai criteri di una logica pedagogica stringente. Diciamo la verità: un ra­gazzo « debole » intellettualmente re­sta tale e un intelligente resta intel­ligente sebbene vengano a contatto, anzi è il primo che può trarre gio­vamento dal secondo e certamente questo non ci perde nulla. Si può di­scettare sui tempi, ma anche qui cer­chiamo di essere seri: non conosco alcun giovane dotato che nella re­altà effettuale delle cose non abbia mostrato le risorse per riuscire ap­pieno nel proseguimento degli stu­di medio superiori e poi accademi­ci, denotando cioè « ritardi formati­vi » irrecuperabili.
Il fatto è che la critica in parola è i­l frutto di una mentalità precisa, che immagina che i ragazzi, per riusci­re in una società come purtroppo è diventata quella odierna (costruita sull’efficientismo spicciolo quanto effimero), debbano apprendere il maggior numero di cose ovviamen­te nel minor tempo possibile, pena il loro restar fuori « dal giro » . Chi può, può; chi non ci arriva, pazien­za, farà l’attore di serie B o C. L’im­portante è che non disturbi, non crei scompensi anche minimi alla riu­scita dei primi. E poco importa se poi nella vita reale (intesa nella su­a complessa interezza) i falliti saran­no spesso proprio gli « arrivati » , sta­tisticamente (e assai tristemente) fa­cili allo « scoppio » ben più degli al­tri, anche perché perennemente stres­sati sin dalla scuola dell’infanzia.
A quest’accusa al nostro sistema sco­lastico si accompagna spesso e vo­lentieri, in maniera stretta e conse­quenziale, una seconda idea che s­i spaccia per moderna e innovativa, quando in realtà non è che la ri­chiesta di un ritorno al passato re­moto: poter scegliere liberamente (almeno per intanto – di grazia! – solo nel settore medio superiore) l’istituto che si desidera e che si con­sidera (chissà mai sulla base di qua­li criteri) migliore. Ciò favorirebbe la nascita (vien detto) di una « sa­na » competizione fra questi, a tut­to vantaggio – una volta ancora – di una presunta qualità dell’inse­gnamento di cui dovrebbero gode­re i rampolli di turno.
L’invocazione dell’efficientismo, del­la competitività, della rapidità, del­la concretezza utilitaristica sono in­somma i criteri fondanti di questo genere di critiche al nostro modello scolastico. Ad esse risponde una vi­sione ideologica liberista chiara, , ma che non è ancora della maggio­ranza della comunità. Da qui a­d immaginare che si debba voltar pa­gina per qualche voce grossa che si fa sentire in tal senso ne passa, pe­r la fortuna non tanto del sistema, m­a dell’intera comunità civile­.
Ma un’ulteriore osservazione meri­ta d’essere fatta. C’è un’altra critica che nella stragrande maggioranza delle volte non si ha il coraggio di dichiarare pubblicamente, ma che non nasce da ambienti molto diver­si, anzi: la questione dell’integrazio­ne scolastica proposta dal modello ticinese non piace a coloro che so­no infastiditi dalla presenza nume­ricamente rilevante (almeno in ta­lune sedi « sensibili » ) di allievi pro­venienti da altri Paesi a stretto con­tatto con gli autoctoni. È ovvio che­, nella fattispecie, chi non padroneg­gia bene la nostra lingua e viene da lontano crea problemi, ma voglia­mo ridurre tutto a una questione di­dattico- pedagogica? Le radici del problema (perché di problema pu­r si tratta) non sono forse altre, non vanno forse cercate ben al di fuor­i della scuola, nel mondo globalizza­to i cui vantaggi (contraddittoria­mente) non si finisce di vantare an­che nel nostro fazzoletto ticinese­?
Non voglio citare una volta ancora le parole sempre profetiche di don Milani in proposito, ma certo pe­r fortuna esiste la scuola (la nostr­a scuola, con il suo preciso e positiv­o modello) che aiuta a parare disa­stri ben maggiori per la società, che aiuta ad insegnare (a loro, agli « al­tri », e a noi parimenti) la costruzio­ne di una comune, inevitabile, con­vivenza

louis vuitton outlet jordan 6 black infrared louis vuitton outlet jordan 6 black infrared louis vuitton outlet jordan 11 legend blue black infrared 6s louis vuitton outlet michael kors black friday black infrared 6s black infrared 6s uggs black friday jordan 6 black infrared louis vuitton outlet black infrared 6s michael kors black friday black infrared 6s hologram 13s barons 13s michael kors outlet jordan retro 11 uggs black friday jordan 11 legend blue jordan retro 6 black infrared 6s uggs cyber monday louis vuitton outlet louis vuitton outlet beats by dre outlet beats by dre outlet beats by dre black friday michael kors black friday jordan 13 grey toe jordan 6 black infrared Hologram 13s jordan 6 black infrared grey toe 13s michael kors outlet uggs black friday michael kors outlet